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Cor-rispondenze

giovedì 11 dicembre 2008

Oscillazioni


Caro professore,

La mia vita è l’altalena più oscillante. Vivo momenti di felicità straordinaria, altissima, mi ritengo fortunata perché gli impegni da me presi sono sempre un successo: scolastico, sportivo, a livello relazionale. Motivo di questa felicità è fondamentalmente una persona: solo con lei il mio mondo si colora, si carica di un’energia potentissima che mi dà la forza di affrontare qualsiasi cosa. Per me è un sostegno e un faro nella tempesta più minacciosa che si scatena nel mio mare. È un mare molto spesso di solitudine: mi sento lontana da molte cose, che ora non mi suscitano alcuno stato d’animo, che prima credevo fossero parte del mio quotidiano. Spesso mi capita di non avere alcun pensiero, emozione, interesse: soffro per questo, ma non ho voglia di trovare una soluzione. Mi viene da piangere per le cose più banali, soffocata dallo sconforto, dalla noia, dalla consapevolezza di essere lontana da ciò che mi circonda. Come posso essere così felice ed innamorata, ma allo stesso tempo così triste e impaurita dalla solitudine?

Alessia

Hai la sensazione di essere capace e ricevi molti riconoscimenti sociali. L’amore e l’innamoramento nutrono la tua fiducia nei confronti della vita e danno senso alle tue esperienze. Le variazioni d’umore, cara Alessia, sono però proprie delle persone normali. Le oscillazioni dello stato d’animo fanno parte di quel movimento del mare interiore a cui fai riferimento, un movimento dato da un’onda che va verso il mondo e che poi si ritrae da esso, per la sua natura; un flusso e un riflusso dell’onda interiore, perché i pensieri e le emozioni sono sempre in movimento. Quindi, si può essere enormemente felici e innamorati e anche insicuri e tristi. Le preoccupazioni semmai nascono quando uno è sempre felice o euforico oppure è sempre triste e impaurito. Il problema sorge dalla cristallizzazione del movimento che consente la nostra evoluzione. La “patologia” è data dall’incapacità di creare o di accettare il movimento. Non temere la solitudine, Alessia. Pensa che Seneca aveva così fiducia nel suo amico Lucilio che gli disse: “E nota quale stima ho di te: oso affidarti a te stesso”. Lo affida a se stesso, perché sa che farà buon uso della solitudine e che, essendo un brava persona, acquisirà nuove energie e nuova forza proprio attraverso i momenti di ritiro in se stesso. Mi dici che riesci ad avere buone relazioni con le persone e che riesci ad ottenere risultati positivi nelle tue occupazioni. Quindi anche quando ti senti sola, sappi che sei in buona compagnia. Pensa che Seneca, a questo proposito, racconta un episodio divertente. Un certo Cratete, vedendo un ragazzo che andava a passeggio in un luogo appartato, gli chiese che cosa facesse lì da solo. «Parlo con me stesso», rispose. E Cratete replicò: «Mi raccomando, fa’ molta attenzione: stai parlando con un cattivo soggetto». Noi non siamo dei cattivi soggetti e non ci dobbiamo spaventare della solitudine. Seneca aveva molta fiducia nel suo amico e confidente e per questo lo raccomandava a se stesso. La tua non è una solitudine che evita le amicizie, che evita di simpatizzare con gli altri, quindi non è una solitudine negativa. Nel mare della solitudine senti l’angoscia dell’esistenza, e la difficoltà di sopravvivere da sola, perché la solitudine ci mette a contatto con la nostra vera natura: mette in discussione le sicurezze, le certezze, le abitudini. La solitudine però è un momento di passaggio, è come dici tu, un’altalena e non è il tuo destino. Nella solitudine, certamente, talvolta ci perdiamo o percepiamo le cose in modo differente. Dici che a volte nulla sembra avere valore, e che a volte non hai “voglia di trovare una soluzione”, forse perché le soluzioni a volte implicano dei cambiamenti e non sempre abbiamo voglia di cambiare. L’oscillazione è la conferma di un costante adattamento tra noi e ciò che ci accade. È come l’oscillazione del respiro, un movimento necessario per vivere. Anche Agostino racconta l’esperienza del pianto nella solitudine. Nelle “Confessioni”, scrive: “Quando da un fondo arcano la profonda meditazione ebbe scavata tutta la mia tristezza e l’ebbe accumulata sotto gli occhi del cuore, una tempesta si scatenò violenta, e greve d’un diluvio di lacrime. […] Io mi trovai non so come disteso sotto un albero di fico, e diedi libero sfogo alle lacrime, due fiumi in piena nel cavo degli occhi”. Nella solitudine – dice l’autore - abbiamo un rapporto intimo con noi stessi, la meditazione scava la tristezza, l’accumula sotto gli occhi del cuore e la consegna alle lacrime che come fiumi in piena la consegnano al mondo. La solitudine può far paura e riempirci di tristezza, ma come vedi nella solitudine scaviamo dentro di noi, ascoltiamo il riverbero profondo dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri, riusciamo dare il giusto valore alle parole dette o ascoltate e alle attività che compiamo. In questa forma di isolamento e di provvisorio distacco dal mondo sembra che le cose non ci interessino più e non “suscitino più i nostri stati d’animo”, invece riconsideriamo le esperienze della vita: quelle che fino a poco tempo prima erano rilevanti, vengono nuovamente interrogate e valutate. A volte, proviamo sofferenza perché ci rendiamo conto di dover abbandonare alcune certezze a cui eravamo affezionati. I piccoli cambiamenti, e insieme il distacco da ciò che ci ha accompagnato nel corso del tempo, creano sempre smarrimento, paura, tristezza. Dis-orientamento. Ci sentiamo provvisoriamente dis-orientati, perché non riconosciamo più la nostra direzione. Poiché la direzione della nostra vita non è già stata decisa, è proprio grazie a queste continue valutazioni delle situazioni che noi creiamo il nostro percorso: che è fatto di piccoli o grandi distacchi, di riconsiderazioni delle nozioni che abbiamo ritenuto importanti, perché vogliamo che la nostra vita sia autentica e non si disperda nell’esteriorità o segua le idee e le valutazioni degli altri. È grazie a questi momenti che la tua vita diventa più vera. È grazie alla tua capacità di ascoltare la tua voce interiore che riuscirai a dare giusto valore a quello che senti importante, e non rimarrai delusa dalla vita. Se ti sai ascoltare nel profondo, saprai scegliere quello che vale veramente per te e ti rende felice. Gli psicologi dicono che la solitudine è una sorta di “porta stretta” di un processo che si chiama individuazione, ossia del percorso che ognuno di noi deve fare per diventare se stesso. Ci si interroga su ciò che sembrava immutabile: sulle idee e sui sentimenti che sembravano eterni, sulle amicizie, sull’appartenenza ad un gruppo, sui valori. Forse è questo il senso dell’ “altalena oscillante”, che non è altro che un costante movimento verso il mondo e verso noi stessi; nella solitudine ci poniamo domande e ascoltiamo che si riveli il senso delle nostre esperienze, ma poi ritorniamo nella relazione con gli altri e con le “cose”, e tutto acquista un colore nuovo o semplicemente diverso. Dall’esteriorità all’interiorità e viceversa, in un movimento continuo, come un costante esercizio che consente di creare rapporti autentici attraverso un instancabile apporto di alimento alle relazioni e alle idee. Nella solitudine nasce la nostra soggettività non come esclusione dal mondo, ma come presa di coscienza del mondo e consapevolezza di noi stessi. Ci vuole tempo per costruire la nostra individualità e i momenti dell’interiorità e della solitudine sono indispensabili perché ognuno coltivi la propria natura, la propria sensibilità. E la solitudine è indispensabile non solo per la maturità psicologica, ma anche per la crescita esistenziale. Martin Buber (Il principio dialogico) dice che: “la solitudine è la condizione perché l'uomo si ponga il problema dell'uomo”. È vero, la solitudine a volte ci impaurisce perché ci getta in una situazione di crisi, ma è solo grazie a questi momenti di crisi che diventiamo capaci di porci in modo autentico il problema della nostra vita. Nella solitudine diventiamo sensibili a noi stessi, agli altri e al mondo. Questa sensibilità ci fa sentire la nostra fragilità, ma questa delicatezza ci consente di sentire veramente quello che ci si muove dentro di noi e di adattarci creativamente al mondo. A volte si scatenano delle “tempeste minacciose nel nostro mare interiore”, perché noi non siamo degli oggetti. Il mare interiore non è mai fermo, è in continuo movimento, alcuni movimenti sono lenti, impercettibili, altri più impetuosi. Ma non è mai fermo. Ed è grazie a questo continuo movimento che prendiamo consapevolezza del mondo che ci ospita, dei nostri desideri autentici, e delle necessità degli altri. È grazie al movimento incessante e inesauribile di questo mare interiore che formiamo la nostra autenticità e ci possiamo prendere cura dei nostri veri bisogni e, insieme, dei bisogni degli altri.

Un caro saluto,
Alberto

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