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Cor-rispondenze

lunedì 8 dicembre 2008

Le aspettative


Caro professore,
Mi piacerebbe sapere la sua opinione riguardo un particolare aspetto della mia vita che in questo momento suscita in me tristezza e desolazione... il mio problema, se così può essere definito, è abbastanza personale e riguarda le terribili aspettative e che incombono su di me come una affilata spada di Damocle. Soffro molto per queste aspettative che sono riversate sulla mia persona in particolare dai miei genitori, e la mia più grande paura è quella di non esserne all'altezza e di deluderli. In questo modo il reale scopo della scuola, cioè quello di apprendere, confrontarsi ed anche divertirsi passa in secondo piano e tutto si trasforma in una serrata lotta voto a voto per essere i migliori, per rendere i genitori orgogliosi dei propri figli... ma che senso ha tutto questo se alla fine non si riesce neppure a realizzare il proprio scopo? La nostra vita inizia ad essere vissuta solamente in funzione del giudizio delle altre persone e l'unica cosa che veramente ci interessa è il risultato finale. Eppure non dovrebbe essere così: bisognerebbe essere felici di poter imparare e trascorrere il tempo a scambiarsi le idee invece di tentare in ogni modo di distruggere l'opinione altrui in continui ed inutili scontri solo per apparire, risultare "i migliori "
""...
... che tristezza...
Alice



Dici bene, le aspettative degli altri pendono sopra di noi come una spada di Damocle. Essere al centro di uno splendido banchetto, ma sapere che sopra di noi vi è una spada sguainata appesa a un solo crine di cavallo tramuta la gioia in ansia, la spensieratezza in timore, il nostro agire in angoscia. Cominciano presto, le aspettative. Prima quelle dei genitori, poi quelle degli insegnanti, degli amici, dei colleghi; nella scuola, a casa, nel luogo di lavoro. Poi anche nelle attività libere, nello sport, negli hobbies. Tutti si aspettano qualcosa da noi, e noi sempre a chiederci se saremo in grado di soddisfare le aspettative degli altri. Così ci carichiamo di bisogni da soddisfare e non riusciamo più a sentire la voce interiore delle nostre necessità. Sovrapponendosi alle nostre, talvolta le attese degli altri diventano le nostre attese; i loro desideri si trasformano per noi in doveri e mete da raggiungere. Desideriamo quello che gli altri desiderano per noi, per poter essere accettati, per non deludere genitori, insegnanti e amici; e, a volte, – anche inconsapevolmente - pensiamo persino che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere nella vita. Il buon Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785) aveva proposto di seguire questa legge morale: “Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona sia nella persona di ogni altro sempre anche come scopo e mai come mezzo”. Considerare una persona come un fine significa considerare che ha un valore in sé e non per gli obiettivi che raggiunge. Se da una parte non dobbiamo usare gli altri come mezzi per raggiungere le nostre mete, dall’altra non dobbiamo neppure utilizzare la nostra persona solo come una macchina per conseguire degli scopi. Il valore di una persona non dipende dagli obiettivi raggiunti, è bene ricordarlo. Certo, è importante avere delle aspettative. Motivano la nostra azione in una direzione o in un’altra, ci permettono dunque di esplorare i nostri interessi e di coltivarli. Gli psichiatri dicono però che le aspettative dei genitori sono la matrice di tutte le attese senza fine in cui siamo immersi nel corso della vita. Poiché non riusciamo a sottrarci, come dici tu, possono diventare “terribili” e farci soffrire. A volte le attese sono esagerate e noi ci dobbiamo trasformare negli eroi delle fiabe e combattere con mostri e draghi per sentirci accettati, per veder brillare gli occhi dei genitori e degli insegnanti, per sentirci dire “bravo”, “brava” o “ti voglio bene”. Se le aspettative sono troppo elevate ci sentiamo inadeguati o rifiutati. Sviluppiamo un senso di inferiorità e per meritare l’approvazione dei genitori siamo disposti a sobbarcarci fatiche da Ercole, per non deluderli e per ottenere la loro approvazione. Uno psichiatra francese contemporaneo, Alain Ehrenberg, ha per questo intitolato un libro proprio: La fatica di essere se stessi [Einaudi, 1999], in cui sostiene che una volta le depressioni erano provocate da eccessivi divieti, mentre oggi queste sofferenze si manifestano come “malattie della responsabilità, in cui predomina un sentimento d'insufficienza: il depresso non si sente all'altezza, è stanco di dover diventare se stesso”. Troppo spesso ci sentiamo inadeguati, non ci sentiamo all’altezza. Ma siamo davvero stanchi di dover continuamente diventare noi stessi attraverso nuovi standard da raggiungere, nuove prove da superare. Questa continua corsa per essere accettati provoca sofferenze e sensi di colpa. Allora che cosa fare? Vale la pena di indagare che cos’è veramente un’aspettativa, poi lo potrai ricordare ai genitori e a noi insegnanti. L’aspettativa è un’attesa. Attendere significa aspettare (expectare), e aspettare è un guardare (spectare). Allora l’aspettativa è un attendere che presuppone un guardare. Chi guarda è vicino, si dice anche che una persona che ci guarda ci accompagna con lo sguardo. Ci sono dunque due bellissime componenti nell’aspettativa: l’osservazione e l’attesa. Bisogna dunque che noi educatori impariamo veramente a guardare e che impariamo maggiormente ad aspettare. Guardare da vicino e aspettare. Così si cresce e ci si sente compresi. Chi sa guardare non sovrappone la propria volontà a quella dell’altro, ma lo guarda nel suo sviluppo, lo accompagna con lo sguardo. E attende. Perché nessuno si può sostituire all’altro, anche chi ci ama profondamente non può sostituirsi a noi nelle difficoltà della vita.
Hai capito una cosa molto importante: se badiamo solo alla meta, perdiamo di vista la bellezza e il valore della quotidianità. Il grande filosofo Nietzsche ha scritto pagine molto belle sul fatto che spesso ci dimentichiamo di vivere il momento presente che è unico, per vivere come in un tempo lineare dove ogni attività in cui oggi ci impegniamo avrà un senso in futuro. Come se ciò che facciamo fosse solo in funzione di qualcos’altro. Anche tu dici: Eppure non dovrebbe essere così: bisognerebbe essere felici di poter imparare e trascorrere il tempo a scambiarsi le idee. È vero: dobbiamo infatti imparare a dare valore alle cose che facciamo nel momento in cui le facciamo. E allora anche gli adulti si devono rendere conto che senza imporre il loro ritmo al cambiamento, alla crescita degli altri, possono seguire passo passo le loro metamorfosi. Anche gli adulti devono saper aspettare, perché come dice il filosofo: “Abbiamo tutti, celati dentro di noi, giardini e piantagioni e, per usare un'altra similitudine, siamo tutti vulcani in via di sviluppo, che avranno la loro ora di eruzione: se questa sia vicina o lontana, francamente non lo sa nessuno, neppure il buon Dio”.
Un caro saluto,
Alberto

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