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Cor-rispondenze

lunedì 15 febbraio 2010

Nuova concezione di Dio


Un’esperienza che ha cambiato il mio modo di vedere Dio.
Ho ricevuto un'educazione cattolica, e nei miei anni d'infanzia sono stata molto credente.
Tuttavia, dopo la cresima, mi sono resa conto di aver accettato questa religione più per abitudine che per vera fede. Ho cominciato a chiedermi se era davvero possibile che tutto ciò che diceva la Chiesa fosse vero. Ho capito che dentro di me non ci avevo mai creduto. Sono diventata atea. Le parole della Chiesa mi sembravano sempre più assurde e prive di senso. Ho continuato tuttavia a frequentare il gruppo scout di Fossano, nel quale ero entrata ormai da tempo. L'esperienza prevede anche un cammino di fede, ma io non ci ho mai dato molta importanza.
Almeno fino ad un anno fa.
Tra le varie attività, ci sono anche gli “hike”, esperienze di due o tre giorni da vivere in gruppi di due o tre ragazzi, spesso facendo volontariato presso qualche parrocchia. La scorsa primavera sono capitata, insieme a un altro ragazzo, in un monastero ortodosso vicino a Revello. Mi aspettavo tre giorni di noiose preghiere e messe interminabili. Invece è stata un'esperienza unica. A parte la bellezza del posto, immerso nella natura, sono proprio entrata a contatto con un modo diverso di intendere la religione. Non mi hanno imposto nessuna preghiera e nessuna messa, ma mi hanno invitato a parlare di religione e di Chiesa in generale. Questi monaci avevano spesso idee diverse rispetto alla Chiesa, ma era incredibile quante cose conoscessero non solo sulla Bibbia e sulla teologia cristiana, ma anche riguardo ad altre religioni. Adesso mi è difficile ricordare di quante cose abbiamo parlato, ma ricordo che mi aveva stupito il grande rispetto che avevano per me, nonostante sapessero bene che non la pensavo come loro. Ma soprattutto mi hanno aiutato a capire una cosa che in effetti era ovvia, ma che io avevo totalmente ignorato: che Dio non è legato alla religione o alla Chiesa. L'idea di Dio è innata, è in ogni uomo. Prima non avevo mai saputo separare Dio da Gesù, dal Papa e da tutte le tradizioni cristiane. E mi sono accorta che, se ero certa che il Dio cristiano fosse falso, non ero affatto certa che Dio, in quanto ente supremo, non esistesse. Il mio modo materialistico di vedere la realtà è crollato, dopo quell'esperienza, riaprendo tante questioni che pensavo di aver risolto abbandonando la religione cattolica. Molte delle domande che sono ricomparse in quei tre giorni sono ancora senza risposta, ma sono felice di non essermi fermata al semplice materialismo scientifico. Forse non arriverò mai a condividere il pensiero di quei monaci, ma è ancora presto per dirlo.
Giulia



Cara Giulia,
Dall’infanzia all’adolescenza sono davvero molti i cambiamenti a cui andiamo incontro: di solito ci soffermiamo soprattutto sui mutamenti del corpo, per la metamorfosi radicale che in esso avviene in questo periodo e consideriamo meno le trasformazioni culturali, che sono delle vere e proprie rivoluzioni. Non solo semplici preoccupazioni momentanee che tormentano, ma veri e propri cambiamenti di orbita rispetto alle convinzioni del passato. A volte, per non deludere la famiglia o il gruppo di appartenenza, le persone continuano ad accettare e ad accogliere quello che è stato loro insegnato: non vogliono disattendere le aspettative dei genitori o quelle della comunità in cui vivono. Ma, prima o poi, ognuno deve fare i conti con definizioni che vanno a formare il senso delle idee, con concetti che orientano le valutazioni sugli eventi della vita, con espressioni che si radicano a fondo nella mente. E la ragione non si fa attendere. Si diventa allora rapidamente allergici verso ciò che non persuade a fondo, insofferenti alle banalizzazioni, ribelli nei confronti di ciò che è infantile. Le persone non accettano certamente di essere sprovvedute, ingenue, ridicole e desiderano sbarazzarsi presto di pezzi di cultura incoerenti che sopravvivono nei pensieri.
Gli antichi filosofi della Scolastica avrebbero detto però: “fides quaerens intellectum”, ossia che la fede ha bisogno della ragione, ne esige il chiarimento. Il monaco benedettino Anselmo d’Aosta (1033-1109) scriveva: “Così anche se il giusto ordine esige che prima di presumere di discuterla razionalmente, crediamo nella profondità della fede cristiana, mi sembra pigrizia mentale il non cercare di comprendere ciò che crediamo, dopo essere stati confermati nella fede” (Cur Deus homo). Pigrizia mentale era dunque considerata la rinuncia ad approfondire con la ragione le questioni della fede.
Certo, la ragione non necessariamente può condurre a credere, e i sentieri della ragione possono avere approdi molto diversi; ma non si può fare a meno della ragione se non si vuole buttare via tutto. Gli psicologi dell’età evolutiva dicono che i bambini quando non riescono a mettere insieme i pezzi di un giocattolo lo buttano via incolleriti. Anche per la fede credo che accada qualcosa di simile: se non si riescono più a mettere insieme i pezzi, si rigetta tutto in blocco. Per questo occorre mettere in atto un comportamento maturo, adulto. Credo che anche nelle questioni di fede ci voglia pazienza e anche sforzo: attenzione nel riconsiderare le risposte che la tradizione culturale ha consegnato, interesse a lasciare aperto lo spazio del mistero; coraggio nell’approfondire il senso di certe esperienze che provengono da una tradizione e che con il passare del tempo si sono cristallizzate e talvolta svuotate di significato.
Credo che, a distanza di tempo, la ragione ci possa condurre a due posizioni: in questo momento non penso tanto all’alternativa radicale tra un energico e definitivo disprezzo per le idee trasmesse e un’accettazione irrazionale: una dicotomia a cui la cultura contemporanea ci ha spesso abituati. Penso piuttosto a due alternative più moderate. La prima, incarnata dal filosofo francese contemporaneo André Comte-Sponville che, consapevole della storia che costituisce ognuno di noi, non respinge con asprezza la religione, ma con essa convive e dialoga, pur da una posizione diversa: “Sono stato educato nella religione cristiana, - scrive - e nei suoi confronti non nutro animosità né collera, anzi: a quella religione, e quindi anche a quella Chiesa (nel caso specifico la Chiesa cattolica), devo una parte essenziale di ciò che sono, o di ciò che cerco di essere. La mia morale, anche dopo che ho smesso di credere, non è per nulla cambiata, e neppure la mia sensibilità. Persino il mio modo di essere ateo resta marchiato dalla fede della mia infanzia e della mia adolescenza. Perché dovrei vergognarmene? Perché dovrei stupirmene? È la mia storia, o meglio: è la nostra storia. Cosa sarebbe l'Occidente senza il cristianesimo? Cosa sarebbe il mondo senza i suoi dèi? Essere atei non è una buona ragione per perdere la memoria. L'umanità è una sola e la religione ne fa parte, l'irreligione anche, e l'una non può fare a meno dell'altra”. (Lo spirito dell’ateismo [2006] 2007)
La seconda posizione, invece, è più simile a quella del teologo italiano Vito Mancuso. In molti libri si sforza di verificare cosa oggi della religione si accorda con la scienza e cosa invece deve essere riveduto. Egli indaga soprattutto alcune posizioni che nel corso della storia si sono trasformate in certezze metafisiche e che oggi invece sono meno giustificate. Ha scritto alcuni libri interessanti, Rifondazione della fede [2005] 2008 e L’anima e il suo destino [2007]. Mancuso ad es. fa riferimento ad una fede più matura che non ha paura di abbandonare alcune idee che nel corso del tempo si sono rivelate errate e si concentra di più sui contenuti essenziali della religione; egli parla dell’amore come movente principale che porta l’uomo alla fede in Dio. Così scrive: “l'amore (esistenziale e insieme intellettuale) è l'unico vero motore che porta a credere in Dio. Tutte le altre argomentazioni elaborate dalla teologia lungo i secoli per motivare la fede (grazia divina, obbedienza a Dio che si rivela e alla Chiesa che ne annuncia la rivelazione, fedeltà alla tradizione) non sono altro che tentativi indiretti di fondare l'unico, perenne, a mio avviso indistruttibile motivo che, da sempre, è alla base dello sguardo che dalla terra si rivolge al cielo, e che consiste precisamente nell'amore per la vita e per gli uomini in essa. È l'amore per gli uomini a condurre la mente a postulare l'esistenza di un senso alle loro esistenze che appaiono e scompaiono nel tempo, e a chiamare questo senso "Dio".”
Anch’io penso che tu faccia bene a rinunciare al materialismo scientifico. Il mondo è più complesso di quanto riusciamo a comprendere. Roberto Giovanni Timossi ha scritto un libro dal titolo L’Illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio (Milano, San Paolo 2009) in cui valuta le perentorie affermazioni di alcuni scienziati che presentano come scientifiche anche le loro convinzioni personali e, tra le altre, riporta questa bella frase di Louis Pasteur: “Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”.
Ho sempre apprezzato un grande matematico del Novecento, Alfred North Whitehead che in un libro dal titolo La scienza e il mondo moderno [1926] (Boringhieri 1979) dice che non dobbiamo spaventarci delle divergenze che possono nascere in noi o dei contemporanei conflitti tra religione e scienza perché: “il contrasto è segno che vi sono verità più ampie e prospettive più raffinate nel cui ambito si troverà la conciliazione di una religione più profonda e di una scienza più acuta” […] “un contrasto di teorie non è una sciagura; è una possibilità da sfruttare”.
E più avanti dice che mentre la scienza continua a cercare di rinnovarsi e di migliorare, la religione per molto tempo “è rimasta sulla difensiva, una fiacca difensiva” […]; quando Darwin o Einstein proclamano teorie che modificano le nostre idee riconosciamo che si tratta di un trionfo della scienza. Non ci preoccupiamo affatto che si dica che la scienza ha subìto un’altra sconfitta per il fatto di aver abbandonato sue vecchie convinzioni. Siamo invece ben consci che si è compiuto un nuovo passo avanti nella comprensione scientifica. La religione non recupererà la sua vecchia forza finché non riuscirà ad affrontare i cambiamenti con lo stesso spirito della scienza. I suoi principi possono essere eterni, ma la loro espressione necessita di un costante sviluppo”.
Whitehead intende questo sviluppo come una liberazione di alcune idee che sono state concepite in altri tempi per comprendere il messaggio autentico.
A me è sempre piaciuto molto un passo dei Pensieri di Pascal. Di quel Pascal grande matematico e uomo sensibilissimo che, pur ricordando che la ragione è ciò che l’uomo ha di più elevato, ha anche l’audacia (e l’umiltà) di dire che la razionalità ha comunque dei limiti e che pertanto occorre ricordare che “l’ultimo passo della ragione sta nel comprendere che vi sono infinite ragioni che la sorpassano”.
Un caro saluto,
Alberto

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