Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 23 settembre 2013

Speranza o illusione?


 
Caro professore,
In questi giorni mi è capitato di sentire il discorso pronunciato da Papa Francesco qualche mese fa in cui dice: «ragazzi non perdete la speranza». Quest'ultima parola mi ha fatto riflettere. Speranza. Una parola che di questi tempi non è molto vicina agli Italiani. Forse perché hanno capito che poche delle cose in cui sperano poi si realizzano veramente. Allora ecco che speranza diventa sinonimo di illusione. E chi sceglie di illudersi già sapendolo? Allora c'é differenza tra speranza e illusione? Dov'è che finisce una e inizia l'altra?
Tommaso, IVB
 

Caro Tommaso,
C’è una grande differenza tra speranza e illusione. Anche se entrambe esprimono un rapporto del soggetto con il tempo, diverse sono le relazioni. Il verbo illudere contiene la parola “ludus”, gioco, e significa letteralmente “giocare”. Il filologo italiano Giovanni Semerano (1911-2005), rilevante studioso delle antiche lingue mesopotamiche, ci ricorda che la radice latina “ludus” avrebbe un antenato nella lingua accadica, ossia nella lingua parlata in Mesopotamia dagli Assiri e dai Babilonesi. “Ludus” quindi da “ulsu” ed “elesu” che significano rispettivamente “piacere”, ed “essere sereno” o “giubilare”. Ci si diverte e ci si rallegra con una rappresentazione giocosa della realtà. Credo che l’illusione si snodi nelle tre dimensioni del tempo. Ci si illude che il passato sia andato in un certo modo, e si commettono errori. Ci si illude sul presente, e si fantastica con l’immaginazione; ci si illude sul futuro individuale o, come dici tu, collettivo, e si prendono degli abbagli. L’illusione è un gioco seduttivo che altera il rapporto con la realtà. Non deve essere considerata negativa. L’arte, la letteratura e la musica, ma anche le interpretazioni del mondo sono una forma di “il-lusione”, di gioco e di divertimento. Ogni rappresentazione è in fondo un “ludus”, un tentativo di comprendere la complessità dell’esistenza. Nietzsche ricorda come nel rapporto dionisiaco-apollineo, ossia tra caoticità del mondo e tentativo di razionalizzazione, vi sia uno scarto: ogni tentativo di razionalizzare la vita è destinato al fallimento, in quanto la vita è divenire che può essere colto solo parzialmente dalla ragione. Secondo Nietzsche tutte le visioni del mondo sono in fondo “giochi” apollinei (razionali), per sopportare il dionisiaco (l’irrazionalità della vita). E la speranza? La filosofa spagnola Maria Zambrano (1904-1991) nel libro “Verso un sapere dell’anima” [1991], (Raffaelleo Cortina Editore, 1996) ritiene che la speranza implichi invece la generazione continua dell’uomo. Assai diversa dall’illusione. Ella ritiene che l’uomo debba creare continuamente il proprio essere, perché non lo ha ricevuto già definito. Scrive Zambrano: «L'animale nasce una volta per tutte, l'uomo invece non è mai nato del tutto, deve affrontare la fatica di generarsi di nuovo o sperare di essere generato. La speranza è fame di nascere del tutto, di portare a compimento ciò che portiamo dentro di noi solo in modo abbozzato. In questo senso la speranza è la sostanza della nostra vita, il suo fondo ultimo; grazie a essa siamo figli dei nostri sogni, di ciò che non vediamo e non possiamo verificare. Affidiamo così il compimento della nostra vita a un qualcosa che non è ancora, a un’incertezza». La speranza è dunque la «sostanza della nostra vita», di una vita che non è già segnata né determinata biologicamente, ma in divenire. L’idea di dover creare il proprio essere è un’idea bellissima: implica l’attività del soggetto: immaginazione di sé e lavoro su di sé. A partire dalle caratteristiche personali, dalla possibilità di intravedere cosa si potrebbe diventare. Mi sembra quindi che la speranza, a differenza dell’illusione, sia solo rivolta al futuro, e poiché quel futuro ha radici nel presente – in quanto si cerca di perfezionare ciò su cui si sta già lavorando –, la speranza non si riduce ad un semplice gioco interpretativo, ma implica uno sforzo per portare a compimento se stessi. Un’impresa lunga una vita. Credo che il senso delle parole del Papa sia questo: l’invito a non perdere la speranza è un invito a non perdere il contatto con la natura specifica di ciascuno per far nascere ciò che è ancora embrionale, per portare a compimento la vita senza abbandonarsi all’idea che tutto sia illusione.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: