Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 6 gennaio 2014

Grazie fotografia!



Caro professore,
La fotografia è la mia più grande passione ed è anche una delle cose che più mi accomuna a mia nonna! Anche lei alla mia età aveva iniziato ad appassionarsi a questa meravigliosa forma d’arte e dopo aver lavorato un anno intero in Francia si era comprata la sua prima macchina fotografica. E anche per me è stato così, quest’estate ho lavorato e con i soldi guadagnati mi sono comprata la mia prima Reflex! Quando ho la macchina fotografica in mano è come se tutto ciò che mi circonda diventasse più bello e meritasse di essere immortalato per essere ricordato! Io non ho soggetti particolari che amo fotografare, anzi, tutte le volte che esco di casa porto con me la mia Nikon e la appendo al collo, sperando di vedere qualcosa che attiri la mia attenzione. Bisogna saper cogliere all’istante ciò che ci fa venire i brividi! Le foto sono la più grande arma che abbiamo per poter ricostruire la nostra vita, infatti, sulle ante del mio armadio ho incollato più di 100 foto che ritraggono i miei amici, la mia famiglia e me nei nostri momenti più significativi: ci sono foto dalla mia nascita fino ad oggi! Amo guardarle perché mi ricordano costantemente chi sono e grazie a chi sono diventata quella che sono, ogni persona ha il suo peso e la sua influenza ed è bello ritrovare i loro visi costantemente davanti a me! Persone con cui non ci si sente più, con cui si ha litigato, ma a cui vuoi ancora bene sono ancora lì, principalmente nei tuoi ricordi, ma anche stampate, a portata di mano. A me piace spesso dire: "Grazie fotografia", perché è grazie a lei se possiamo ricordare anche i dettagli che non riusciamo a far riaffiorare con la mente.
Giulia, 5C


Cara Giulia,
L’apparizione della fotografia è stata un rivoluzione. Prima c’erano solo i quadri, le litografie, i disegni. Se nel quadro è evidente la mano dell’artista, nella foto – scrittura con la luce – sembra che appaia esattamente la realtà. Il filosofo Walter Banjamin (1892-1940) ha evidenziato non solo la disponibilità illimitata del ricordo, l’accessibilità di un evento anche a distanza spazio-temporale, la ricezione collettiva simultanea per la massa (cosa non possibile per l’opera d’arte), o ancora la sparizione del rapporto tra originale e copia, ma ha parlato di un aspetto inconsapevole del contenuto fotografico. Infatti, anche se non sei perfettamente concentrata, la tua Nikon registra ciò che sfugge al tuo occhio. Siamo abituati a sentir parlare dell’«inconscio pulsionale» di Freud, forse meno dell’«inconscio ottico» di cui parla Walter Benjamin in due opere, nella “Piccola storia della fotografia” del 1931 e poi ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, 1935-36. Come la psicoanalisi si propone di rivelare ciò che si cela alla coscienza, così un ingrandimento fotografico rivela l’«inconscio ottico» – ciò che l’occhio non vede né percepisce nel momento in cui si concentra sul soggetto da fotografare – che manifesta molti più dettagli di quanti siamo in grado di percepire ad occhio nudo. Dici giustamente che la fotografia consente di ricostruire la vita. Infatti, oltre all’inconscio personale abbiamo a disposizione anche un inconscio extrasomatico per ricomporre il passato, archiviato nei raccoglitori o in centinaia di cartelle nel computer, da aprire occasionalmente per cercare un amico, un volto, un luogo, dei legami. La fotografia non preserva solo l’inconscio extrasomatico individuale, ma anche quello della collettività, che in ogni scatto conserva ciò ha rimosso, protegge ciò che sfugge alle coscienze di un certo periodo. I particolari su quali ci fermiamo ci dicono che la realtà fissata nell’immagine non si è ancora esaurita del tutto, e quindi la foto continua a rivelare del passato molte più informazioni di quante non ne contenga esplicitamente. Quando ci soffermiamo a distanza di anni su un’immagine dell’infanzia non contempliamo solo un neonato nella braccia dei genitori, ma osserviamo anche i particolari che emergono dallo sfondo: l’orologio del papà, il pavimento della casa, la stufa, gli oggetti in lontananza, altre persone. Per questo la foto non ci consegna solo un mondo lontano, ma ci permette di interagire con ciò che un tempo non avevamo considerato o di cui non sentivamo il bisogno. Ci sono molte cose lì, sotto il nostro sguardo, ma sfuggono. Abbiamo dunque enormemente bisogno della fotografia e di quell’«inconscio ottico» per salvare la nostra vita e, più in generale, la storia di una comunità.
Un caro saluto,
Alberto

P.S. la foto è dell'artista rumeno Caras Ionut 

Nessun commento: