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Cor-rispondenze

lunedì 10 marzo 2014

Tollerare l'intolleranza?

-     La tolleranza   -     La tolleranza       -
 
Caro Professore,
sono rimasto particolarmente colpito dalle riflessioni del filosofo inglese John Locke riguardo al tema della tolleranza. [...] Ammettendo pure di riuscire a rimanere tolleranti in ogni situazione, c’è un caso che mi lascia alquanto perplesso: può un cittadino tollerante, e più in generale un’intera società che si definisca tale, accettare ugualmente chi non riconosce il principio della tolleranza? Di getto mi verrebbe da rispondere: “Certo! Altrimenti perderebbe la propria identità, venendo meno a ciò in cui crede”; d’altra parte, ragionando più a fondo, ritengo che permettendo anche a chi non tollera il prossimo di manifestare e mettere in pratica il proprio ideale, si rischia di diventarne complice, difatti “chi tace acconsente” e di nuovo la propria tolleranza non sarebbe più tale, sapendo che magari ha acconsentito al rifiuto di altri esseri umani. Com’è meglio comportarsi, allora, con chi non è capace di tollerare?
Riccardo, 4E
 
Caro Riccardo,
In una linea ideale che va da Baruch Spinoza, John Locke, fino a Voltaire, il tema della tolleranza è stato un tema cruciale, soprattutto dopo le devastanti guerre di religione avvenute tra Cinquecento e Seicento. Preoccupato per la realizzazione di una convivenza pacifica tra gli uomini, John Locke scriveva che «la tolleranza verso coloro che hanno opinioni diverse in materia di religione è a tal punto consona al Vangelo e alla ragione, che appare una mostruosità che ci siano uomini ciechi di fronte a una luce così chiara». Ma la tolleranza torna ad essere un tema fondamentale anche per la nostra società, spesso angosciata da intransigenze ed estremismi. La tua riflessione fa riferimento a ciò che in filosofia è stato chiamato il «paradosso della tolleranza». Karl Popper, in “La società aperta e i suoi nemici” (Armando 1996), lo ha tradotto così: «la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi». Nella storia della filosofia ci sono stati modi diversi di intendere questo valore e ci sono stati autori assai critici proprio nei confronti della tolleranza assoluta. Richard Wolff, Moore Barrington jr. e Herbert Marcuse anni fa hanno scritto un libro dal titolo “Critica della tolleranza, 1965” (Einaudi 1968), per segnalare le ambivalenze di questo concetto. C’è una tolleranza attiva, segno di apertura verso le novità, le differenze di opinioni e usanze di persone e culture; una forma di comprensione dell’altro che è rispetto e apertura mentale, ed è praticata da chi considera ogni uomo con pari dignità e accetta che vi sia una pluralità di visioni del mondo (Weltanschauungen). Ma c’è anche una forma di tolleranza che è profondamente negativa e certamente inopportuna: tollerare che una persona venga discriminata o che non possa godere dei diritti civili, oppure non opporsi alle ingiustizie e agli abusi di potere non è più tolleranza, ma apatia e indifferenza. L’imperturbabilità di fronte al fanatismo o la mancanza di considerazione verso coloro che soffrono sotto la guida di tiranni, potremmo dire con Moore Barrington Jr., «diventa vigliaccheria intellettuale ed evasione». Herbert Marcuse insegna che la tolleranza, pur essendo un valore importantissimo, dipende da obiettivi superiori; non è un valore incondizionato, ma è subordinato al valore primario dell’uguaglianza dei diritti. Anche se il filosofo della scuola di Francoforte ritiene che la tolleranza indiscriminata potrebbe (forse) essere accettata nei «dibattiti innocui» e nelle «conversazioni» – non certo quando vengono messe in discussione la pace, la libertà e persino la felicità –, egli afferma che il fine della tolleranza è la verità («Il telos della tolleranza è la verità»), in quanto è grazie alla diversità e al confronto che una società progredisce, mentre l’intolleranza impedisce la crescita collettiva, fa soffrire persone innocenti e aumenta il numero delle vittime. Ogni società fissa pertanto delle regole di convivenza, che potremmo chiamare le «regole del gioco». Essa ha quindi il dovere di difendersi da coloro che manifestano precise forme di settarismo. Come si può fare allora? Karl Popper diceva che fino a quando le idee intolleranti si possono arginare con argomentazioni razionali, allora non è necessario mettere in atto ulteriori misure repressive. Ma quando gli intolleranti pretendono di «ripudiare ogni argomentazione», allora una società ha il diritto, anche con la forza, di arginare l’intolleranza. Gli estremisti si pongono infatti al di fuori delle regole e delle leggi. Ma ci sono valori imprescindibili o – come dicono le costituzioni – inalienabili, che uno Stato democratico deve sempre tutelare per non tramutarsi nella dittatura del più potente.
Un caro saluto,
Alberto

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