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Cor-rispondenze

lunedì 9 febbraio 2015

Saggezza e bicchieri



Caro professore,
stavo pensando al consiglio che mia madre mi ha sempre ripetuto fin dall’infanzia: «cerca sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto»… finora ho seguito questo suggerimento e sono sempre stata molto ottimista, ma ultimamente ho realizzato che forse non è un bene essere ottimisti. Infatti, pensare che le cose andranno bene non ci protegge dalle delusioni, come invece, per certi versi, fa il pessimismo, che, sotto questo punto di vista, parrebbe la scelta più saggia: in questo modo, se le cose andassero male, sarei già preparata ad affrontare la situazione, mentre, nel migliore dei casi, rimarrei piacevolmente sorpresa dal modo il cui tutto si è concluso, quindi sarei più felice. In definitiva: ha ancora un senso essere ottimisti?
Deborah, IVA


Cara Deborah,
Hai giustamente notato che il pessimista, nel peggiore dei casi, può sempre affermare: «io l’avevo detto» e nel migliore dei casi può temporaneamente stemperare il proprio sguardo cupo sulla vita, mentre l’ottimista sembra soffrire maggiormente le delusioni. La logica, tuttavia, ci insegna che, date due alternative, le possibilità sono quattro. Ossia possono essere felici o delusi sia gli ottimisti sia i pessimisti. Se consideriamo solo l’aspetto logico non emergono particolari vantaggi o svantaggi, ma se consideriamo la componente psicologica, allora il pessimista sembra subire meno frustrazioni, perché già predisposto per eventuali esiti negativi. In verità, entrambi descrivono uno stato di cose – il bicchiere è infatti sia mezzo pieno sia mezzo vuoto – e le loro posizioni seguono una sorta di lettura “realistica” del mondo. Allora, se tutti e due hanno parzialmente ragione, perché percepiamo delle differenze? E chi è più felice? Nella storia della filosofia ci sono stati incorreggibili ottimisti come Leibniz, secondo cui questo mondo «è il migliore dei mondi possibili» o Rousseau, secondo cui «l’uomo è buono per natura», oppure Hegel che vedeva il mondo retto da una struttura razionale e che nelle “Lezioni sulla filosofia della storia” ribadiva costantemente la coincidenza tra Realtà e Ragione. Ma ci sono stati filosofi pessimisti, come Schopenhauer, il quale scriveva: «Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono». Capita spesso che si consideri l’ottimista un uomo ingenuo e il pessimista un uomo profondo. Il filosofo milanese Remo Cantoni (1914-1978), analizzando l’opera sulla bomba atomica e il futuro dell’uomo di Karl Jaspers, ricordava che «Non è facile nel mondo contemporaneo essere ottimisti senza essere su­perficiali». Scriveva infatti che «Chi non è stato turbato nella sua limpida fede nel progresso, nella tecnica e nella scienza, nell'uomo in genere, da tutti gli eventi tragici che si sono verificati nel secolo ventesimo, è un uomo che non ha messo la sua fede a cimento, che non ha assimilato e sofferto la negatività del proprio tempo e rischia di parlare in astratto di umanità, di scienza, di verità, di progresso, col tono falso e retorico in cui ne parlano i filistei». C’è dunque un “ottimismo ingenuo”, quello criticato ad esempio anche da Voltaire nel suo “Candide” (1759), quando Cacambo chiede all’amico Candido: «Che cos’è quest’ottimismo? Ah, risponde Candido, è la maniera di sostenere che tutto va bene quando si sta male», che consiste in una visione eccessivamente rosea della vita, spesso indice di un animo ingenuo o di incapacità di analisi appropriate. È un ottimismo privo di fondamento, che può esporre maggiormente all’insuccesso e far precipitare le persone nella disperazione se i risultati attesi, che spesso sono semplicemente fantasticati, non si avverano. Tuttavia, c’è anche l’ottimismo di coloro che, dopo aver «assimilato e sofferto la negatività del proprio tempo», preferiscono serbare uno sguardo fiducioso e mettere in risalto maggiormente gli elementi positivi rispetto a quelli negativi. Li potremmo chiamare gli “ottimisti realisti”. Se alla coppia ottimismo/pessimismo sostituiamo la coppia ragione/azione, manteniamo le quattro alternative della logica. Ci sono stati ottimisti della ragione che hanno agito per il bene comune e ottimisti indifferenti alle sorti dell’umanità. All’opposto, il pessimismo della ragione ha condotto molti uomini sia all’apatia sia alla perseveranza dell’agire. Molti grandi pensatori, pur avendo una visione tragica della realtà, si sono impegnati per costruire un mondo migliore. Direi pertanto che c’è un “ottimista ingenuo” che attende invano che vengano soddisfatte le proprie fantasticherie e c’è un “ottimista realista” che si impegna nel lavoro e nella vita e trae fiducia dagli aspetti positivi della propria attività; così come c’è un “pessimista ingenuo”, che si può deprimere fino a rinunciare alla vita, e c'è un “pessimista tragico”, che può vivere con maggiore intensità il tempo che gli è concesso. Non è detto, pertanto, che rinunciare all’ottimismo ti permetterà di essere più felice. Il giudizio pessimistico o ottimistico sulla realtà non illumina infatti la realtà stessa, ma rivela la disposizione cognitiva e affettiva di colui che giudica. È sul versante psicologico allora che dobbiamo cercare una soluzione. Oggi conosciamo i benefici dell’ottimismo: offre una sensazione di maggiore autocontrollo sulla propria vita e vantaggi addirittura sul sistema immunitario. Se il pessimismo sembra proteggerci, l’ottimismo realistico ci aiuta ad affrontare con fiducia la vita. Nonostante le difficoltà.
Un caro saluto,
Alberto

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