lunedì 30 maggio 2011
Quando si diventa maturi?
Caro professore,
Un film che mi ha davvero colpito particolarmente e di cui consiglio la visione anche a lei è “Il bambino con il pigiama a righe”. È un film che su di me ha avuto un impatto emotivo abbastanza drastico. Mi ha dato molto a pensare, vedendo immagini così crude e violente sono rimasta davvero impressionata del male che hanno potuto fare certi uomini ad altri solo perché avevano il colore della pelle diverso o parlavano una lingua straniera. Il bello è che ora uno, se ha 18 anni è maggiorenne e ha tutti i diritti e i doveri di questo mondo. Ma ragionandoci su io vivo tutti i giorni con mia sorella più piccola accanto e vedo che lei gioca, parla e aiuta tutti i suoi amici. Non fa differenza tra lei e una sua amica con la pelle più scura e riesce lo stesso a farsi capire da quella sua amica che parla diversamente. Perché usa il cuore, parla con amore e l’amore non ha nessun confine. Io ora mi chiedo, ma davvero a 18 anni si è già maturi? A che età uno è davvero consapevole di quello che gli sta intorno?
Gaia, Ib
Cara Gaia,
Il film a cui fai riferimento è davvero molto bello e anche su di me ha avuto un impatto emotivo forte e spiazzante. Il dubbio che sollevi è importante, potremmo dire che è sia sulla maturità di una persona, sia sul processo di umanizzazione degli uomini. Credo che una risposta alla riflessione sia già contenuta nella tua domanda: non c’è un’età precisa per diventare uomini e donne maturi, intendo moralmente e non solo biologicamente. Ci sono vari aspetti della maturità: biologica, psichica, giuridica (con cui assumiamo i diritti e doveri nella comunità civile). Ma c’è una maturità, più importante, che ha a che fare con il nostro processo di umanizzazione. Non è caratterizzata da una data precisa, perché ha a che fare con un’evoluzione che si snoda nel corso della vita, e potremmo chiamarla maturità etica. È molto bella la tua osservazione: tua sorella, che sotto certi aspetti consideriamo ancora immatura, si comporta con i suoi simili in modo più umano di molti adulti che, pur avendo conseguito maturità psicofisica e giuridica, considerano le differenze tra le persone non da un punto di vista descrittivo (come osservazioni), ma valutativo (o meglio svalutativo). Se consideriamo che entriamo in relazione con gli altri sia con le emozioni sia con la ragione, possiamo fare alcune considerazioni. Dal punto di vista emotivo o empatico, come hai giustamente notato nel comportamento di tuo sorella, entriamo in relazione con il prossimo in modo positivo molto presto. Il prof. Michael Tomasello (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology. Department of Developmental and Comparative Psychology), nel libro “Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli” [2009] Bollati-Boringhieri 2010, mostra come i bambini si prestino attenzione, aiuto reciproco e siano cooperativi già in tenera età. Egli mostra come “Altruismo” (un individuo si sacrifica in qualche modo per un altro) e “Collaborazione” (più individui lavorano insieme per un vantaggio comune) siano comportamenti che probabilmente appartengono non solo al singolo individuo, ma alla specie stessa. Quindi i dati sperimentali sembrano confermare il comportamento manifestato da tua sorella. Fin qui sul piano emotivo. E sul piano razionale? Emmanuel Kant diceva che gli uomini sono “naturaliter maiorennes”, cioè tendono per natura a diventare maggiorenni. Già, ma la ragione e la maturità come entrano in relazione? Si può essere razionali senza essere maturi, come mostri nella tua lettera e come la storia spesso insegna. Mi viene da parafrasare una famosa lettera di Kant. Il filosofo prussiano, rispondendo alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo” [1783], scriveva: “L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso”. Ora per Kant l’Illuminismo era un’atmosfera culturale che aveva come obiettivo quello di rendere gli uomini maturi e responsabili delle loro azioni. Ma per rispondere alla tua domanda credo che possiamo servirci della stessa espressione, perché ogni minorità (la condizione di minorenne): “è da imputare a lui stesso”, da attribuire solamente all’uomo stesso. Kant spiega bene in che cosa consiste questa condizione. Per egoismo personale, per pigrizia, per viltà gli uomini evitano di usare la loro ragione e preferiscono ripetere slogan e formulette che banalizzano la realtà e il prossimo. Kant scrive: “Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono ceppi di una eterna minorità”. Sappiamo bene che gli adulti mascherano le loro paure, i loro egoismo e i loro interessi dietro pseudo-teorie. Talvolta parlano di umanità e temono il diverso, parlano di diritti, ma si riferiscono ai diritti di una minoranza. Dietro parole che semplificano e distorcono la vita, si nascondono paure e violenza (eterna minorità). E allora anche la maturità psicofisica non è più sufficiente per garantire la maturità delle persone. Per questo all’inizio parlavo di umanizzazione e di maturità etica. Perché un’azione sia morale occorre che l’uomo sia libero. La libertà implica lo sviluppo della razionalità, affinché l’uomo possa decidere e non semplicemente agire per istinto. Ma lo sviluppo della libertà è tale quando la razionalità permette di assumere la responsabilità delle proprie azioni davanti agli altri. Il processo di umanizzazione si può dire avvenuto quando un uomo non si accontenta più di recitare di formule, ma decide di assumere pienamente la propria responsabilità di uomo razionale nei confronti del prossimo, e quando è in grado di rispondere anche ai bisogni degli altri. Quando, come dici tu, “usa il cuore e parla con amore perché l’amore non ha nessun confine”.
Un caro saluto,
alberto
Puoi dare un’occhiata al sito di Michael Tomasello in:
http://wwwstaff.eva.mpg.de/~tomas/
Puoi leggere il testo di Kant in:
http://www2.units.it/storia/Docenti/Abbattista/Moderna_03/Kant_Was%20ist%20aufklaerung.htm
lunedì 23 maggio 2011
Ti racconto un libro (II anno)
Storie di prof. Attraverso i libri
Lo scorso Venerdì 13 Maggio, alle ore 21, l'ampia ed accogliente tensostruttura posta in Piazza Giolitti per la dodicesima edizione del "Salone del Libro per Ragazzi" (manifestazione che ha avuto un grande riscontro, come abbiamo riportato a pag. 2 ndr) ha ospitato un simpatico ed originale evento letterario giunto alla sua seconda edizione: si tratta di "Ti racconto un libro", un progetto nato nel Liceo Scientifico, Classico e Linguistico "G.Giolitti-G.B.Gandino" di Bra, che partendo dall'idea di una scuola concretamente aperta, in cui gli insegnanti desiderano dialogare con i ragazzi e mettersi personalmente in gioco raccontando alle più giovani generazioni autori e libri che li hanno particolarmente appassionati o che sono stati essenziali in alcuni momenti della loro vita, vuole trasmettere agli adolescenti il valore di una cultura veramente umana ed importante per l'esistenza stessa. Le condizioni, quindi, per un appuntamento in un clima rilassato, ma di riflessione al tempo stesso, c’erano tutte grazie anche alla possibilità di spaziare tra alcune delle opere più importanti e significative della vasta produzione letteraria nazionale. La serata, ideata e progettata dal prof. Alberto Lusso, è stata efficacemente presentata dalla prof.ssa Daniela Oddenino ed è stata strutturata in nove interventi, inframmezzati da alcuni brani musicali interpretati in modo molto elegante dagli ex allievi del Liceo Gianluca Milano (chitarra classica) e Simone Rinaldi (voce). Ha iniziato la prof.ssa Anna Bruno, che ha raccontato al numeroso pubblico presente le opinioni sulla scuola e sugli studenti di Paola Mastrocola, così come sono stati scritti nel suo libro “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare". È stata poi la volta della prof.ssa Daniela Brussino, che ha coinvolto al massimo tutti gli intervenuti con "La rivoluzione celeste" di Oliviero Cigada; il prof. Flavio Russo, Presidente del Consiglio d'Istituto del Liceo, con grande passione ci ha parlato di Carlo Levi e del suo "L'orologio", mentre il prof. Pier Paolo Faccio si è soffermato su "Il buio e il miele" di Giovanni Arpino; il prof. Emanuele Forzinetti, successivamente, ha portato al Salone del Libro di Bra alcune importanti riflessioni, nell'anno del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia, condotte a partire dal saggio di Alberto Maria Banti "Sublime patria nostra". La prof.ssa Anna Rinaldi, invece, ha trattato con grande partecipazione del libro di Roberto Saviano "La bellezza e l'inferno", seguita dalla prof.ssa Antonella Viassone, che ha presentato "Acciaio" di Silvia Avallone. Infine, dopo le toccanti riflessioni di Daniela Oddenino partendo dal libro "Lasciami andare, madre" di Elga Schneider, ha chiuso la serata l'intervento del prof. Alberto Lusso [con “Oceano-mare” di Alessandro Baricco]. Non sono mancati, durante la serata, momenti ironici e divertenti messi in scena dalla presentatrice, che hanno contribuito a rendere brillante un evento che ha ottenuto un lusinghiero (e meritato) successo di pubblico. [ppf]
Pier Paolo Faccio, Storie di prof. Attraverso i libri, in «Il Nuovo Braidese», sabato 21 maggio 2011, p. 9.
Le letture dei professori
Serata a raccontarsi per quelli del liceo
BRA – Seconda edizione di “Ti racconto un libro", a cura degli insegnanti del Liceo Giolitti-Gandino, venerdì scorso nell'ambito della Fiera del libro per ragazzi di Bra. I docenti Anna Bruno, Daniela Brussino, Pier Paolo Faccio, Emanuele Forzinetti, Alberto Lusso, Daniela Oddenino, Anna Rinaldi, Antonella Viassone e il presidente del Consiglio d'istituto del Liceo, Flavio Russo, si sono alternati su un palco improvvisato tra gli stand dei libri. La serata, nella quale gl'interventi sono stati inframmezzati dalle canzoni eseguite da Gianluca Milano e Simone Rinaldi, ex allievi della scuola, ha permesso di scoprire ì docenti in un contesto diverso da quello scolastico. Nelle oltre due ore sono scorse riflessioni su Giovanni Arpino, Alessandro Baricco, Carlo Levi, Roberto Saviano, passando attraverso il Risorgimento e altri autori meno noti. Per una volta i professori non hanno assegnato pagine da studiare, ma hanno parlato di letture fondamentali nel proprio percorso formativo.
Emanuele Forzinetti, Le letture dei professori, in «Il Corriere di Bra, Cherasco e Sommariva», lunedì 16 maggio 2011, p. 12.
lunedì 16 maggio 2011
Cherasco storia
Anche quest'anno, grazie al premio "Cherasco Storia", abbiamo potuto incontrare un importante studioso e scrittore di storia. Il premio è stato assegnato a Giusto Traina per il volume La resa di Roma. Battaglia a Carre, 9 giugno 53 a.C., Roma-Bari, Laterza 2010.
Nella stessa mattinata la "Fondazione De Benedetti Cherasco 1547" ha assegnato anche un altro premio per meriti nella divulgazione storica a Paolo Mieli.
Ringrazio l'organizzazione, tutti i ragazzi che hanno letto il libro e le professoresse Daniela Brussino e Daniela Oddenino che hanno preparato l'incontro. Nella foto con Giusto Traina sono presenti i ragazzi della 2C, della 3A e della 4A del Liceo Scientifico.
lunedì 9 maggio 2011
Il valore della filosofia (II parte)
Caro professore,
Penso che la filosofia possa aiutarmi a maturare e ad arricchire il mio modo di pensare e di comunicare.
Olga
Mi aspetto di riuscire a crescere e ottenere un modo di ragionare e di pensare più completo.
Beatrice
Care Olga e Beatrice,
Il grande matematico Bertrand Russell, [Galles 1872], studioso di filosofia (vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1950 proprio per la sua Storia della filosofia), conosciuto anche per i suoi interventi e le sue prese di posizione su problemi politici e morali, in un libretto a carattere divulgativo dal titolo "I problemi della filosofia" si esprime così:
"L'uomo che non ha neanche un'infarinatura di filosofia passa attraverso la vita chiuso nei pregiudizi dettati dal senso comune, dalle opinioni piú comuni del suo tempo e del suo paese, e dalle convinzioni cresciute nella sua mente senza la cooperazione né il consenso della volontà e della ragione. Per un tale uomo il mondo tende a divenire definito, finito, ovvio; gli oggetti della vita quotidiana non pongono problemi, e le possibilità insolite vengono respinte con disprezzo. Non appena ci accostiamo alla filosofia scopriamo invece, […] che anche le cose piú quotidiane conducono a problemi ai quali possiamo dare solo risposte molto incomplete. […] Diminuendo il nostro senso di sicurezza nei riguardi delle cose come sono, essa aumenta grandemente la nostra conoscenza di come possono essere; scuote il dogmatismo alquanto arrogante di coloro che non sono mai entrati nella regione del dubbio liberatore, e tiene desta la nostra meraviglia mostrandoci cose familiari sotto un aspetto inconsueto. A parte questa utilità di mostrarci possibilità inattese, il valore della filosofia - forse il suo valore più grande - viene dalla grandezza degli oggetti che essa contempla e dalla liberazione dagli scopi personali e meschini che ci viene da questa contemplazione. La vita dell'uomo guidato dal puro istinto e tutta chiusa nel cerchio dei suoi interessi privati: vi possono essere inclusi la famiglia e gli amici, ma il mondo esterno interessa solo in quanto possa favorire od ostacolare ciò che rientra nel cerchio dei desideri istintivi. In una vita così c'e qualcosa di febbrile e di costretto, al cui confronto la vita filosofica e calma e libera".
Un caro saluto,
alberto
lunedì 2 maggio 2011
Il valore della filosofia
Caro professore,
Ho sentito dire che la filosofia è porsi domande. Per me è scoprire e/o scoprirsi, e penso che possa essere affascinante. Da questa materia non so ancora bene cosa aspettarmi e per questo mi incuriosisce più delle altre.
Manuela
Cara Manuela,
Il II libro di De rerum natura di Lucrezio si apre con una bella immagine di uno spettatore che, poggiando sulla terraferma, contempla il travaglio di un naufragio lontano. Non essendo coinvolto dagli eventi, può guardare con distacco la scena che si svolge dinanzi a lui. Da una parte, dunque, il mare in tempesta, una nave che si inabissa sotto la forza congiunta del vento e delle onde; dall'altra, un uomo che, su un solido terreno, contempla un disastro in lontananza. Lucrezio dice che ciò che rallegra lo spettatore non è lo spettacolo della rovina altrui, ma la distanza da una simile sorte.
L'esempio della nave è una metafora: l'uomo che poggia su certezze può guardare e dominare la vita che sta davanti a lui. Il fatto è che oggi sembra che non ci sia un posto dove lo spettatore possa contemplare con distacco. Non c'è una terraferma, e la posizione dello spettatore è cambiata. Il naufragio (certezze, valori, speranze, ecc.) è diventato molto più vicino e inevitabile. Oggi sembra che il dramma si sia avvicinato. E nel dramma, oggi, è coinvolto lo spettatore .
Il filosofo e psichiatra Umberto Galimberti ha recentemente pubblicato un libro sul disagio dei giovani (L’ospite inquietante). Citando il Nietzsche degli “Scritti postumi”, egli riflette su quella che viene individuata come malattia culturale del nostro tempo: il nichilismo.
Cosa significa nichilismo? Nietzsche è stato molto chiaro:
“Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?". Che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi perdono ogni valore” .
L'uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo, ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto; si avverte sempre più il vuoto e la povertà di valori; il movimento è inarrestabile – sebbene si sia tentato in grande stile di rallentarlo. Alla fine l'uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l'origine; conosce abbastanza per non credere più in nessun valore; ecco il pathos, il nuovo brivido... Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli... (VIII, II, 266) .
Galimberti, dall’analisi di questa condizione culturale, giunge a questa conclusione:
"Perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa ".
Ma il disagio ha radici profonde: non psicologiche, ma culturali:
"Va da sé che quando il disagio non è del singolo individuo, ma l'individuo è solo la vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi, come accade nella nostra cultura, è ovvio che risultano inefficaci le cure farmacologiche cui oggi si ricorre fin dalla prima infanzia o quelle psicoterapiche che curano le sofferenze che originano nel singolo individuo.
E questo perché se l'uomo, come dice Goethe, è un essere volto alla costruzione di senso (Sinngebung), nel deserto dell'insensatezza che l'atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un'implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime ".
La pratica della filosofia, allora diventa un rimedio importante. Secondo Seneca:
"La filosofia non è un'arte popolare o fatta per essere ostentata; consiste non in parole, ma in fatti. E non la si usa per trascorrere piacevolmente le giornate o per scacciare la nausea che viene dall'ozio: forma e plasma l'animo, regola la vita, governa le azioni, siede al timone e dirige il corso in mezzo ai pericoli del mare in tempesta. Senza di essa nessuno può vivere tranquillo, nessuno sicuro; in ogni istante capitano innumerevoli eventi che richiedono una direttiva, e questa deve essere chiesta alla filosofia" .
In una lettera a Lucilio (la n.15: ricordo che le lettere vengono composte tra l'autunno del 63 e la fine del 64), Seneca avverte il suo caro amico (a lui dedica anche le Questioni Naturali) che è importante curare soprattutto la salute dell'anima, e poi quella dei corpo, perché se l’anima sta male anche il corpo sta male.
" Gli antichi avevano l'abitudine, che si è conservata fino ai nostri tempi, di scrivere all'inizio delle lettere: «Se stai bene, ne sono contento, io sto bene». Noi giustamente diciamo: «Se ti dedichi alla filosofia, ne sono contento». Stare bene, infatti, è precisamente questo. Senza la filosofia l'anima è malato; anche il corpo, se pure è in forze, è sano come può esserlo quello di un pazzo o di un forsennato. [2] Perciò, se vorrai star bene, cura soprattutto la salute dell'anima, e poi quella del corpo, la quale non ti costerà molto" .
Ma allora, ancora con Seneca
"Non devi dedicarti alla filosofia quando hai tempo libero, ma devi procurarti del tempo libero per dedicarti alla filosofia". ...(Continua)
Un caro saluto,
alberto
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