venerdì 10 febbraio 2012
Il fallimento della vita
Caro professore,
Mi capita spesso di dover rispondere alla domanda "Cosa pensi di fare dopo il Liceo?" e ogni volta mi sento in dovere di riflettere sul mio futuro e su ciò che sarò e farò fra circa 2 anni. Ammetto che la cosa mi spaventa alquanto e tuttora non ho ancora trovato la risposta alla domanda che a prima vista appare semplice. Le voci che si sentono alla radio o alla televisione, quelle scritte sui giornali e nelle riviste non mi rassicurano sul mio futuro e nemmeno sul futuro della nazione ma soprattutto trovo sempre più difficoltà nel trovare una giusta decisione da prendere. La paura di fallire o di non riuscire a soddisfare le mie aspettative e quelle dei miei cari forse è la prima cosa che mi blocca nelle scelte e credo che la prima cosa da fare prima ancora di trovare la risposta a quella domanda sarebbe proprio vanificare questo concetto di paura. Ma dopo tutto ciò che sento, leggo e ascolto, lo trovo sempre più difficile.
Nicole
Cara Nicole,
In televisione ho sentito da una psicologa questa espressione:
«Meglio un fallimento scolastico che fallire nella vita». «Fallire nella vita?» e che cosa vuol dire «Fallire nella vita»? Vuol forse dire che non siamo diventati manager?, che non abbiamo i quattro bicchieri nella guida dei vini come grandi produttori?, che non abbiamo sposato la ragazza più bella della classe? Ma un uomo che non riesce a trovare una persona con cui condividere la vita è un fallito? Se uno si separa, è un fallito? Se uno non ha figli, è un fallito? Se uno non appoggia un’ideologia o un credo di qualsiasi tipo, è un fallito? A volte le parole fanno più paura e danni del lenimento che possono procurare. L’espressione «fallire nella vita» è molto pericolosa, perché sottende l’idea che la vita sia come un compito da svolgere, piuttosto che un’avventura da inventare. Chi ragiona così ha semplicemente spostato il problema del fallimento scolastico su un altro piano, ma il modo di ragionare è analogo. Come se anche la vita fosse il compito da consegnare per ricevere un voto. La tua vita va bene, 6; la tua vita è fallita, voto 4. Tra i colleghi si narra di una insegnante di filosofia che, pur di ottenere quello che voleva nella sua misera vita, ha dichiarato il falso nell’anno di prova e in combutta con una dirigente amorale (ma anche il marito ha le sue qualità: ha infatti patteggiato una pena) si è scelta le classi che voleva. Questa persona crede di aver svolto tutti i compiti della vita: ha ottenuto quello che voleva nel lavoro, anche se con comportamenti scorretti (è amorale anche lei, quindi non sente l’imperativo kantiano, con buona pace di Kant), si è sposata, ha battezzato i figli (le persone amorali conciliano bene religione pubblica e inganno privato). Insomma, una truffaldina borghese di bassa lega come tante. E questa sarebbe una vita da imitare? Una vita che le altre persone dovrebbero prendere a modello? O forse non è una vita di una fallita, indifferente al prossimo, che crede di aver svolto bene i propri compiti borghesi in attesa del premio divino? Questa persona crede che la vita sia una corsa in cui è meglio buttare nel fosso il vicino per poter arrivare primi, per poter salire sul podio e per ritirare il premio divino. Quante sofferenze procurano al prossimo coloro che sono disposti a tutto pur di avere ciò che vogliono. Ma l’espressione «Fallire nella vita» non sottende forse che la strada da percorrere per tutti sia la stessa e che la vita sia come una raccolta punti, in cui vince (è realizzato) chi totalizza più punti? (casa-marito-in-carriera-figli-lavoro-chiesa). Per queste persone il prossimo è un accidente da ingannare per raggiungere la perfezione della Barbie. Per raccontare poi a tutti le Istruzioni-per-la-vita.
E tutte le persone per bene che pensano che la vita non sia una raccolta punti o non sono disposte a raccogliere i punti con qualsiasi mezzo, sono fallite? La vita è una strada già segnata, un compito in cui - come a scuola - si deve copiare per ottenere il voto più alto? O non è forse un’avventura da inventare e da condividere con gli altri?
In realtà, chi racconta la barzelletta del «Fallire nella vita», invece di liberare le persone dagli schemi di un’ideologia penalizzante, guarda la vita proprio con schemi pesanti e molto pericolosi. E alimenta l’idiozia di alcune persone (anche laureate in filosofia) che sostengono i dittatori e parlano di dialogo, che dichiarano il falso ma predicano l’osservanza delle leggi, che usano la religione per i loro comodi, ma l’unico amore a cui sono interessate è quello di se stesse moltiplicato all’infinito. Anche la psicologa si è sbagliata: dichiara di non voler fornire istruzioni giuste o sbagliate, ma anch’essa crede alle Istruzioni-per-l’uso-della-vita. Quante sofferenze vengono procurate dalle illusioni. Soprattutto da queste illusioni.
Allora voglio dirti che nella vita non fallisci: non stai svolgendo approssimativamente un compito che altri elaborano meglio di te. Ogni giorno ti devi inventare come relazionarti con il prossimo, e non devi smettere di cercare ragioni per dare senso al tuo agire. Cerca di essere una persona per bene, e non preoccuparti per il resto. Cerca di voler bene alle cose che farai e alle persone che incontrerai, vedrai che non sarai mai una fallita. Nessuna scelta scolastica dopo il Liceo conduce al fallimento; ti porta solo ad esplorare campi differenti della conoscenza. La vita offre tante possibilità. Talvolta siamo un po’ stanchi e assuefatti e non riusciamo a vederle tutte. Ma una vita buona non è mai fallita.
Un caro saluto,
alberto
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