Cari ragazzi,
da questa settimana alcune lettere saranno presenti anche sul settimanale «La Guida» di Cuneo.
Potete inviare le lettere direttamente a
corrispondenze@laguida.it
un caro saluto,
alberto
lunedì 19 novembre 2012
lunedì 12 novembre 2012
Segui il tuo cuore per essere felice
Cor sequi ut felicem esse
Segui il cuore per essere
Io ho scelto il motto: "Segui il tuo cuore per essere felice", perché credo che se si fa una cosa che piace, questa, rende felici. Però prima di fare una cosa che ci piace dobbiamo sceglierla, e per scegliere ciò che ci deve rendere felici mentre lo facciamo, non possiamo ascoltare consigli provenienti da altre persone, ma dobbiamo scegliere noi stessi, magari cercando di capire ciò che ci sta più a cuore, cosicché la felicità sia maggiore. Da questo, il mio motto "Segui il cuore per essere felice".
SaraCara Sara,
Si è più felici se si cerca di capire cosa sta a cuore e se lo si sceglie. E ciò che scegliamo deve renderci felici mentre lo facciamo. Sono perfettamente d’accordo con te. Joseph Campbell, uno dei più importanti studiosi di mitologia comparata, parla anche del «destino vocazionale» di ciascuno. Una sorta di vocazione inscritta nella nostra natura, che sarebbe bene seguire, proprio per essere felici. Scrive Campbell: «Sono diventato vecchio e sono arrivato a pensare queste cose. Non so cosa sia essere. Non so cosa sia coscienza. Ma so cos'è la felicità: è il senso profondo di essere presente, di stare facendo ciò che dobbiamo assolutamente fare per essere noi stessi». Egli era anche un insegnante e racconta di aver insegnato ai propri studenti che di fronte alla vita vi possono essere due atteggiamenti: «uno è seguire la propria felicità; l’altro è seguire le previsioni economiche dopo il diploma. Ma tutto cambia così in fretta; questo è l'anno dell'informatico; l'anno prossimo del dentista, e così via. Non importa quel che il giovane decide; quando arriva il momento, è tutto cambiato. Ma se ha trovato il centro della propria reale felicità, può avere quello. Si può non avere denaro, ma si può avere la felicità». Già, poiché la società cambia in fretta, quello che oggi sembra importante, domani forse non lo è più. Pertanto siamo così sicuri che ascoltando i consigli di chi crede di conoscere ciò che è meglio per noi, saremo soddisfatti del traguardo raggiunto?
Dalla lettura di un libro sulla mitologia scritto dall’autore (Percorsi di felicità [2012]), mi vengono in mente alcuni esempi che fanno riflettere sulla necessità di ascoltare, quello che convenzionalmente chimiamo «il cuore» per essere felici. 1. La tecnologia ha permesso di eseguire i lavori faticosi di un tempo molto più rapidamente. Quindi gli uomini hanno risparmiato tempo nelle lunghe giornate dedicate al lavoro. Ma dove è finito il tempo risparmiato? Non è forse stato nuovamente impiegato per legare gli uomini ad altre attività? Si sente spesso dire: «non ho più tempo», «non ho abbastanza tempo», oppure «mi dedicherò a questi piaceri quando avrò tempo». Ma il tempo economizzato sappiamo che non è mai abbastanza e si continuano a rinviare le cose che si amano. 2. Alcune persone dicono: «quando sarò in pensione potrò finalmente dedicarmi alle mie passioni». In questo caso, Campbell riferisce di un signore che desidera andare in pensione per andare tranquillamente a pescare. Per fare cioè quell’attività che lo rendeva felice quando era bambino. Sembra un paradosso: «Lavorava per andare a pescare», scrive scherzosamente l’autore. 3. Campbell ricorda anche la storia del grande pittore francese Paul Gauguin e la riassume così: « Era un ricco uomo d'affari con casa e famiglia; a un certo punto fu semplicemente affascinato da ciò che per lui cominciava a dischiudersi nella pittura. Si comincia scarabocchiando disegnini e i disegnini scarabocchiano la vita; è quel che successe a Gauguin. Si buttò in questa avventura, dimenticando famiglia e tutto il resto. Il suo risveglio lo portò a Tahiti e a tutti quei bellissimi quadri». Come dici tu, bisogna lasciar parlare il cuore, per non ritrovarsi a rimpiangere un tempo irrecuperabile, un’età dell’oro della giovinezza che non ci sarà più, o un modo migliore di vivere le esperienze. Penso anch’io che, invece di sopravvivere seguendo i consigli degli altri, i quali, per quanto in buona fede, non conoscono i nostri reali bisogni, sia preferibile ascoltare il proprio cuore, o per meglio dire il proprio «inconscio». Come scriveva un importante psichiatra: per essere felici bisogna capire ciò che si vuole (a livello conscio e inconscio) e farlo.
Un caro saluto,
alberto
lunedì 5 novembre 2012
Il mio motto è "Non mollare mai"
Non mollare mai
Ho scelto questa frase come quella che mi rappresenta perché è quello che mi hanno sempre insegnato i miei genitori... mi dicevano " se vuoi qualcosa, vai a prenderla ", secondo me se qualcuno ha un sogno è giusto che provi a realizzarlo, se poi questo sogno non si avvera è dovere di una persona porsi altri traguardi, perché bisogna sempre rialzarsi dopo una sconfitta... Io sono appassionato di calcio e praticante e credo che lo sport sia il miglior modo per imparare questo modo di vivere..
Luca
Nunquam redonis
Non arrenderti mai
Davanti ad ognuno di noi ci sono ostacoli da superare per raggiungere il traguardo che ci siamo prefissati. Anche se alcune volte gli ostacoli sembrano insormontabili bisogna insistere e lottare, senza arrendersi. Solo con la tenacia, la determinazione, la grinta e la voglia si arriva alla meta. Arrendersi vuol dire uscire sconfitti, perdenti, alzare "bandiera bianca"; è ammettere di non riuscire a fare qualcosa e quindi darsi per vinti. Bisogna continuare a lavorare per raggiungere la meta prefissata senza rassegnarsi davanti alle difficoltà che si incontrano.
Alessia
Cari Luca e Alessia,
«Provare a realizzare i propri sogni», «rialzarsi dopo le sconfitte», «porsi nuovi traguardi», «insistere e lottare» per i propri obiettivi sono incoraggiamenti importanti per sostenere le proprie attività, per coltivare i propri progetti. Le vostre parole mi fanno venire in mente due autori che recentemente hanno parlato dell’importanza di non arrendersi di fronte alle difficoltà: Massimo Gramellini e Michela Marzano. Massimo Gramellini nel libro Fai bei sogni (2012) rivela che da piccolo aveva gridato «Non mollare» a Pulici, il grande attaccante del Torino (squadra di cui anch’io sono tifoso), forse in un momento in cui anche il grande atleta stava sperimentando qualche inconveniente sportivo. Ma poi, più avanti nel libro, racconta di una lettera di una mamma che in fin di vita sussurra al figlio: «Non mollare mai, sei in gamba ed è stato un onore per me averti come figlio». L’altra immagine mi conduce al libro della filosofa Michela Marzano che, con un atto di coraggio, ha raccontato in Volevo essere una farfalla la sua lotta contro l’anoressia. Marzano scrive: «Perché accanto all’abisso c’è sempre un ponte. Un filo sottile che separa il riso dal pianto. L’odio dall’amore. La morte dalla vita. Basta saperlo afferrare e non mollare mai, qualunque cosa succeda». Ho scelto questi due autori, perché entrambi hanno sentito come fondamentale l’invito a non mollare nella vita e nelle difficoltà: il primo ha ricevuto questo messaggio dalla fonte primaria della vita e dell’amore che è la madre, la seconda ha sentito emergere questa esortazione dentro di sé. É la vita, in fondo, che ci chiede di «non mollare», la vita che ci parla con il linguaggio vitale dell’amore e quella che ci parla con il linguaggio interiore della sopravvivenza. È un invito non tanto a non cadere, ma semplicemente a non cedere definitivamente alle difficoltà, alle paure, agli insuccessi, alle carenze affettive di ogni tipo. In fondo, credo che tutti i genitori vorrebbero trasmettere questa volontà di vita, questa capacità positiva di reggere le difficoltà, questa forza residua nei momenti bui che permette di non cedere negli inciampi o di soccombere alla commiserazione. «Qualunque cosa succeda», perché vorrebbero farci sentire che gli insuccessi non devono spegnere i nostri sogni e che nessun «abisso» può annullare o esaurire le nostre potenzialità.
Quando è mancata mia mamma ho cercato dentro di me se c’era ancora della forza residua. Anche se molte persone mi hanno fatto sentire il loro affetto, non sapevo se l’abisso che si era spalancato avrebbe avuto una qualche fine. Col passare delle prime ore l’unica cosa che ho sentito dentro di me era il riverbero di antiche parole che conoscevo e che mi sono tornate alla mente in quei momenti. Parole antiche, degli stoici, che dicevano «substine» e «abstine», ossia sostieniti e non pensare di poter modificare ciò che è accaduto. «Sostieniti», però, è il verbo che nello stesso tempo mi ha fatto sentire bisognoso di prendermi cura di me. «Sustine», sostieniti, o come preferite voi «non mollare» è un invito che proviene da molto lontano. Da chi conosce la vulnerabilità dell’uomo e la necessità di sorreggere la sua fragilità.
Un caro saluto,
alberto
Iscriviti a:
Post (Atom)