Caro professore,
pochi giorni fa mi trovavo al mare e dati i miei non
brillanti voti in alcune materie di studio ho deciso di portare sulla spiaggia
con me i libri. In un momento di pausa durante le letture, mi sono incantato a
guardare una famigliola poco distante da dove mi trovavo. La mia mente
viaggiava e per un attimo, riabbassando lo sguardo sui libri, mi sono posto
alcune domande: gli sforzi che facciamo nello studio, anche se talvolta
piccoli, in realtà servono realmente a qualcosa? A quanto percepisco, tutto
sembra un continuo rincorrersi di fatiche, dobbiamo studiare per prendere un
titolo di studio, che ci permetta un giorno di avere un lavoro dignitoso, che
possa darci soldi per mantenere uno stile di vita medio alto e una serenità che
ci viene "consigliata" da un modello di vita da seguire, che fin da
piccoli vediamo in giro o alla TV. La vita mi sembra una continua ruota che
gira, dove la gente dentro deve correre e saltare gli ostacoli, perché se
ipoteticamente uno inciampasse, tutti avrebbero pregiudizi sul perché sia
caduto. Voglio dire, dove sta scritto quello che realmente dobbiamo fare? A
cosa serve costruirci un futuro? Cosa vuol dire costruirci un futuro? Poco più
in là da dove me ne stavo seduto sulla spiaggia c'era un adulto con moglie e
bambino vicini, aveva parcheggiato accanto a noi la sua Audi nuova di pacco,
tutta bella lucida, sorrideva prendendo il sole con i suoi Ray Ban
probabilmente nuovi di pacco, e stava leggendo il giornale. L’uomo aveva un
aspetto poco curato, barba incolta e pochi capelli, la moglie sembrava una
modella, entrambi davano poche considerazioni al bimbo, che se ne stava a
giocare con la sabbia. Io ero in spiaggia con la mia fidanzata, la guardavo
mentre prendeva il sole ed era bellissima, io però non potevo stare accanto a
lei perché dovevo studiare, e per cosa dovevo studiare? Per un giorno essere
come quell'uomo che magari aveva pure le corna da sua moglie mentre pensava a
come portare a casa più denaro? A cosa servono realmente tutti i nostri sforzi?
Perché vivere di doveri imposti dalla società quando non possiamo godere della
felicità che ogni giorno ci viene data gratuitamente? Mi scuso per le troppe
domande e il mio lessico un po’ semplice e confuso, non so se capirà bene cosa
intendo realmente chiederle...
Saluti, Andrea (IVD)
Caro Andrea,
Leggendo la tua lettera ho
pensato ad una malattia dell’anima che si chiama accidia ben descritta dalla
seguente frase dello scrittore britannico Jerome K. Jerome: «
Il lavoro mi
piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo». Ma ho
provato anche una doppia fitta al cuore. Per la tua fidanzata e per i tuoi
vicini. Povera fidanzata. Andare un giorno al mare con un ragazzo che fa i
compiti in spiaggia. A meno che tu non la voglia scaricare, non farlo più,
perché, se è sana, ti lascerà lei. Ho provato anche una certa compassione per
la sventura del tuo vicino. Aveva la macchina nuova, gli occhiali nuovi, la
moglie modella, ma forse era cornuto, perché pensava a come portare a casa «di
più». E se fosse stata lei ad essere cornuta e lui si fosse infilato gli
occhiali per non vedere la sua metamorfosi? E se fossero spuntate ad entrambi
le appendici ossee, tacitamente ignari o spudoratamente consapevoli l’uno
dell’altra, e il bambino divertito e all'oscuro di tutto avesse scavato delle
buche nella sabbia con corna trafugate? E se nessuno della famiglia fosse
cornuto? Non ti sembra un’immaginazione un po’ banale? Anche questa senza
sforzo? Già, caro Andrea, anche per immaginare ci vuole un lievissimo dispendio
di energia, altrimenti si dicono solo banalità per perditempo. Poiché hai avuto
modo di contemplare il mondo del tuo vicino e il fascino della tua fidanzata,
probabilmente quello che tu chiami “sforzo” per lo studio anche questa volta
non è stato un “affaticamento” produttivo. Il problema, purtroppo, non è della
società. È tuo. La società non ti obbliga a nulla. Usi le parole «sforzo» e
«costruzione», ma ne ignori il significato. Che sforzo hai fatto al mare e cosa
hai costruito? Se vuoi crescere, devi capire cosa leggi, se vuoi una relazione,
ti devi dedicare, se vuoi fantasticare sui vicini, devi ideare. Se credi
erroneamente che la felicità non passi attraverso quei vocaboli, devi invece
sapere che è molto più grande e duratura la felicità che discende dalla
costruzione di sé di quella che accade “gratuitamente”. Un pianista suona tante
ore, ma è libero di inventare e di interpretare, così una ballerina di tango è
in grado di disegnare geometrie impensabili per uno che incespica ogni due
passi. Fino a quando non stabilisci delle regole, disciplini il tuo tempo e
comprendi che i momenti che investi servono per dare forza a te stesso non
riuscirai ad essere felice. Dare forma alla propria vita non significa
edificare qualcosa che verrà rapidamente annientato da un’onda che si distende
sulla sabbia, ma comporre il proprio sguardo sul mondo, il proprio pensiero, e
magari anche la tua fidanzata ti troverà più interessante, perché di solito le
ragazze non si perdono nel luccichio degli occhiali, ma puntano dritto negli
occhi. E se gli occhi sono insignificanti, fissano lo sguardo altrove.
Coraggio, Andrea, non ingigantire la sventura, ma organizza bene il tuo tempo.
Un caro saluto,
Alberto