Caro professore,
Vorrei raccontarle un dubbio che è nato dalla mia inconsapevolezza. Fin
da piccola sono sempre stata molto tranquilla e pensavo che non esistesse il
male: il dolore, la guerra, la povertà. Tutto è nato quando un giorno mentre
guardavo la televisione, e c’era un documentario sulla seconda guerra mondiale,
mi sono sorti un sacco di interrogativi. Poi, non sapendo nulla di tutto quello
che era accaduto ho iniziato a fare delle domande a mia mamma, a mio papà, a
tutti. Mi hanno risposto e lì per lì non ho pensato alle risposte che mi sono
state date, ma a distanza di giorni, mesi, anni, tutto mi è più chiaro. Perciò
la mia domanda è: ci sarà mai una fine a tutto il male?Elena, ID
Cara Elena,
Il grande Leibniz, nei “Saggi di teodicea” (parte I, par. 21), ricorda che il male può essere inteso in senso metafisico, fisico e morale. Scrive Leibniz: «Il male metafisico consiste nella semplice imperfezione, il male fisico nella sofferenza, il male morale nel peccato». Tutto ciò che è finito è lontano dalla perfezione e la natura corruttibile della materia contiene già in sé l’origine della propria decadenza. La natura è imperfetta e il gioco delle sue forze è indifferente all’uomo: essa non soffre per gli uomini né per gli animali né per i vegetali. Allora, se rispondessimo come Arthur Schopenhauer, potremmo dire che «La morte è la fine del male e del dolore». Così ripeteva anche l’importante critico letterario Francesco De Sanctis nell’articolo su Schopenhauer e Leopardi pubblicato su «Rivista Contemporanea» nel 1858. Anche per il mondo greco, che nelle grandi opere tragiche aveva messo in luce l’indifferenza della natura per l’uomo, il male fa parte dell’esistenza ed è inemendabile: con il male si convive, talvolta si subisce la sua furia e ad esso si soccombe, talvolta si lotta contro di esso per affermare la vita, ma solo provvisoriamente si ha la meglio. Questo tipo di male non è legato all’intenzionalità dell’uomo, ma ai mutamenti della natura e al suo incessante fluire. Anche il dolore fisico, che deriva dalla malattia o da una menomazione, è in fondo legato alla natura caduca dell’uomo. C’è il dolore subìto, ma c’è anche il dolore provocato intenzionalmente dall’uomo, dalla guerra, dalla violenza e dallo sfruttamento. Se da una parte c’è il corpo che soffre per il proprio decadimento dall’altra vi sono corpi devastati dall’odio e dalla brutalità degli uomini stessi in ogni epoca storica e ad ogni latitudine. Ma poi c’è il male morale che Leibniz indentifica con il peccato, ossia con l’incapacità della volontà di fare il bene o di riconoscere il bene, ma che oggi potremmo intendere anche in senso lato come le varie forme di crudeltà, disonestà o indifferenza nei confronti del prossimo e dell’ambiente. Nelle “Istorie fiorentine” Niccolò Machiavelli racconta nelle lotte tra guelfi e ghibellini di un certo messer Giorgio Scali che, prima di essere decapitato a seguito di false accuse, intravede tra le persone armate il vecchio conoscente Benedetto Alberti, e a lui si rivolge così: «E tu, messer Benedetto, consenti che a me sia fatta quella ingiuria che, se io fussi costì non permetterei mai che la fusse fatta a te? Ma io ti annunzio che questo dì è fine del male mio e principio del tuo». Anche Benedetto avrà poi la propria sventura, sarà infatti anch’egli cacciato dalla città con la famiglia. La fine di un male è l’origine di un altro non meno grave. Allora dove possiamo agire? Sulle forze della natura probabilmente no. Possiamo però conoscerle meglio e quindi avvertire i vantaggi e i pericoli e pertanto ridurre sofferenze inutili. Oggi siamo anche in grado di agire sul dolore fisico: la medicina si occupa infatti della riduzione del dolore: dall’anestesia agli antidolorifici, fino alla terapia contro i mali più gravi. Sicuramente nel tempo, almeno in certe società, il dolore fisico è calato rispetto al passato. Forse non si eliminerà mai del tutto, ma la riduzione del dolore è evidente ed è un obiettivo della ricerca medica. Possiamo agire anche sul male morale? Scrive Schopenhauer: «In genere esistono soltanto tre impulsi fondamentali delle azioni umane; e solo sollecitando questi impulsi si ha l'influsso di tutti gli altri motivi possibili. Essi sono a) l'egoismo che vuole il bene proprio (ed è sconfinato); b) la cattiveria che vuole il male altrui (e arriva fino all'estrema crudeltà); c) la compassione che vuole il bene altrui (e arriva fino alla nobiltà d'animo e alla magnanimità)». Possiamo evitare di far soffrire gli altri controllando il nostro linguaggio e le nostre azioni. Si tratta di un’assunzione di responsabilità. Evitando di commettere torti, prevaricazioni, comportamenti spregiudicati e varie forme di illegalità possiamo contenere la sofferenza. Schopenhauer ritiene che con la crescita della nostra capacità di provare compassione migliori anche la giustizia. Scrive l’autore: «La sconfinata pietà per tutti gli esseri viventi è la più salda garanzia del buon comportamento morale e non ha bisogno di alcuna casistica. Chi ne è compreso non offenderà certo nessuno, non danneggerà nessuno, non farà del male a nessuno, avrà invece indulgenza con tutti, perdonerà, aiuterà, fin dove può, e tutte le sue azioni recheranno l'impronta della giustizia e della filantropia». Non ci sarà mai fine al male, ma ci sono dei mali di cui siamo responsabili. Senza bisogno di pubblici elogi, basta seguire una propria deontologia personale: nel lavoro come nella vita privata e in quella pubblica. Aiuta a limitare afflizioni e dispiaceri.
Un caro saluto,
Alberto