Caro professore,
talvolta mi ritrovo a guardare documentari sull’arte e a rimanere
affascinato dalla magnificenza dei capolavori mostrati. Inoltre, ultimamente, i
telegiornali riportano anche le scelte operate dai turisti per queste vacanze:
vi è stato un boom di visitatori nei siti museali. Io stesso, nel corso degli
ultimi anni ne ho visti parecchi. Mi sorge sovente un dubbio che le illustrerò
brevemente. Alcune opere d’arte, come la “Pietà” di Michelangelo o la “Nascita
di Venere” di Botticelli, vengono riconosciute da tutti come capolavori
assoluti di esimia bellezza. Bellezza che suscita in noi grandi emozioni
portando addirittura alcuni soggetti a manifestare la Sindrome di Stendhal, la
quale determina l’insorgere di uno stato temporaneo di sofferenza psichica in
taluni individui che si trovino ad ammirare meraviglie dell’arte,
principalmente se conservate in spazi ristretti. È vero però che l’arte può
assumere altre forme. Basti pensare alla corrente contemporanea, che in molti
casi divide l’opinione pubblica: mentre alcuni ne esaltano la bellezza, altri
la negano. Insomma, la prima corrente porta a pensare che la bellezza sia
insita nel capolavoro stesso, mentre dalla seconda si evince che la stessa non
esiste in assoluto, ma viene suscitata dall’opera nell’animo di chi la osserva.
Allora, io le chiedo: “La bellezza nell’arte è una qualità oggettiva o
soggettiva?”
Samuele, 4H
Caro Samuele,
Il filosofo polacco Władysław
Tatarkiewicz ci ricorda che l’estetica antica aveva proposto tre teorie del
bello: quella matematica dei
pitagorici, secondo cui la bellezza deriva «da
misura, proporzione, ordine e armonia», quella soggettivistica dei sofisti, secondo cui la bellezza scaturisce «dal piacere dell'occhio e dell'orecchio»,
e una teoria funzionalistica di
Socrate, secondo cui «la bellezza delle
cose risiede nell'essere appropriate ai fini a cui devono servire». Nell’epoca
classica vi era l’idea che la bellezza fosse evidente e che dipendesse da proporzioni
perfette. Armonia, misura e simmetria rappresentavano così anche il criterio
per valutare. All’opposto, si è pensato che la bellezza obbedisse
sostanzialmente al gusto individuale, esattamente come la scelta di un vestito,
di una canzone o di un arredamento. Da questo punto di vista, come non si può raggiungere
l’uniformità in materia di gusto, secondo l’antico detto che “De gustibus non est disputandum”,
bisognerebbe accontentarsi di riconoscere che la soggettività è il criterio fondamentale
per giudicare l’opera d’arte. E poiché il soggetto è condizionato dalla propria
sensibilità e dalla propria storia, la bellezza non sarebbe insita nel
capolavoro, ma nelle peculiari capacità ricettive di ciascuno. Nella storia
dell’arte la bellezza è stata considerata sia come espressione della perfetta
riproduzione di un oggetto sia come rivelazione del soggetto che sulla tela
esprime la propria esclusiva modalità di sentire il mondo. Quando penso
all’arte come rappresentazione oggettiva mi vengono in mente quelle bellissime dispute
tra i pittori avvenute nell’antichità e raccontate da Plinio nella “Storia naturale” (Libro XXXV). Al
termine di una gara di pittura tra due fuoriclasse, Zeusi si complimenta con Parrasio per aver dipinto
dell’uva con così tanta perfezione che gli uccelli volavano attorno alla tela per
beccarla. E così, dopo aver ricevuto i complimenti del collega, Parrasio invita
Zeusi a togliere il sottile velo che ricopre la sua opera per poterla ammirare
pienamente. Appena scopre che non si tratta di un velo reale, ma dell’illusione
prodotta dalla pittura, Parrasio comprende immediatamente di aver perso la gara
e riconosce che l’altra imitazione è stata più convincente in quanto in grado
di ingannare anche un pittore esperto. Se qui il valore della bellezza è
stabilito dal grado di somiglianza dell’oggetto rappresentato con la realtà, a
partire dal Novecento si è giunti, ad esempio con l’espressionismo, a valorizzare
soprattutto la soggettività dell’artista e non più l’oggettività del mondo
esterno. Sono cambiati i criteri della bellezza e tutte le successive correnti dell’arte
contemporanea hanno ulteriormente frantumato i canoni antichi. Ed è per questo
che molte opere risultano ostiche ai più e spesso si dubita che abbiano a che
fare con l’arte. Allora, la bellezza è oggettiva o soggettiva? Umberto Eco
nella “Storia della bruttezza” ricorda che, dal cinema alla moda, le bellezze che oggi vengono proposte (Brad Pitt o Sharon Stone) non sono poi
così diverse da quelle dei rinascimentali. Come se ci fossero configurazioni comuni
negli esseri umani. Ciò significa che Kant ha prodotto un insegnamento che
credo sia ancora insuperato. Coerentemente alla sua visione sulla teoria della
conoscenza, egli ha affermato che gli uomini possiedono delle strutture che
vengono attivate quando essi avvertono ordine e armonia. Quando ciò che è
esterno risveglia in loro un senso di ordine, essi tendono a definirlo bello. Il
bello non è dunque una proprietà degli oggetti, ma neppure un’arbitraria
valutazione del soggetto: nasce piuttosto da una relazione del nostro spirito
con la realtà. Il neurobiologo Semir Zeki che studia i rapporti tra cervello e
arte (“La visione dall'interno. Arte e
cervello” [1999] 2007), ha messo in luce come l’attivazione di diverse aree
cerebrali dipenda da colori, forme e linee. L’esperienza estetica ha dunque basi
biologiche e Kant lo aveva già capito benissimo troncando il dualismo
soggettivo-oggettivo.
Un caro saluto,
Alberto