Caro professore,
passando gran parte del mio tempo con persone che dico essere “miei
amici”, mi son chiesto più volte come si possa definire un’amicizia. Si può
considerare amico una qualunque persona che non sia un tuo nemico oppure ci
deve essere qualcosa di più? Per diventare amico di una persona bisogna averci
passato dei momenti felici assieme o esiste un altro modo per instaurare un
rapporto di amicizia? E infine si può vivere senza amici?
Giacomo 4H
Caro Giacomo,
Se è vero quello che ha scritto
Vasilij Grosmann in “Vita e destino”,
ossia che «L'amicizia è uno specchio in
cui l'uomo vede se stesso», pensare che si possa considerare amico chi non
è dichiaratamente un nemico mi sembra una valutazione inadeguata. Certo, là
dove non c’è inimicizia si apre uno spazio per la relazione, ma si tratta di semplice
potenzialità. E la disponibilità all’incontro segnala un terreno da esplorare,
non una forma di amicizia. Per vedere se stessi occorrono alcuni elementi. Ne
scelgo tre: affinità, relazione e condivisione. Anche se è vero che l’amicizia può
nascere tra persone molto diverse, è più facile che il simile cerchi il
simile, per una sorta di facilità relazionale. Forse siamo pigri anche in
questo, ma riusciamo ad accettare le differenze se scopriamo che da qualche
parte ci sono delle affinità; la pura differenza ci può entusiasmare, ma dietro
la diversità aspiriamo ad un terreno comune per la condivisione. Anche se molti
studiosi ci ricordano che il desiderio di amicizia è insito nella natura umana,
Aristotele ci ha insegnato in alcune pagine bellissime dell’ “Etica nicomachea” che «il desiderio di amicizia sorge rapidamente,
ma l'amicizia no». Il desiderio di avere nuovi amici è immediato, ma l’amicizia
richiede tempo. Non tutti coloro per i quali proviamo simpatia diventeranno
amici, così come non tutti quelli con cui ti relazioni oggi a scuola o nei
gruppi che frequenti si confermeranno tuoi amici. E anche se un tempo si diceva
che «l'abbondanza di amici sembra essere
una delle cose decorose», forse perché segnalava il buon carattere della
persona e la capacità di creare rapporti positivi con il prossimo, la
sovrabbondanza di amici esibita oggi sui social
si può trasformare in una semplice ostentazione di potenza. E la forza non ha
nulla a che fare con l’amicizia che si basa sulla qualità e non sul numero. L’amicizia
richiede inoltre un elemento imprescindibile: la condivisione di esperienze. Nella
nuova raccolta di articoli intitolata “Il
nuovo barnum” (Feltrinelli 2016), lo
scrittore Alessandro Baricco ha raccontato “L’amicizia
prima di Facebook”. Poiché appartengo più o meno anch’io alla sua
generazione, che è poi quella dei tuoi genitori, ritengo che ci sia molta
verità nelle sue parole. Lo scrittore è chiaro: «Essere amici significava fare delle cose. Non parlarne, o raccontarle:
farle». E ricorda che un tempo le telefonate “interminabili” erano
riservate solo alle ragazze. Il legame era dato dall’attività che si svolgeva
con qualcuno: giocare a pallone, andare a pescare, trascorrere le domeniche in
piazza ad inventarsi qualcosa da fare, camminare per scoprire una porzione più
ampia del mondo in cui si era nati. La profondità di un’amicizia era legata
all’intensità dell’attività svolta con gli altri. Nessuna parola scambiata sui
computer, poche al telefono, ma tantissimo tempo insieme a condividere delle
esperienze. Nella sua riflessione ho ritrovato parte del mio vissuto, ma anche
nuovamente le parole di Vasilij Grossman quando scrive che «Forse la forma suprema di amicizia abbraccia
l’amicizia operativa, l’amicizia nel lavoro e nella lotta e l’amicizia di chi
dialoga e si confronta». Grossman mostra il prolungamento di quel “fare
insieme” che poi si manifesta nel mondo adulto nuovamente come condivisione di
esperienze, di ideali, di visioni del mondo. Il fatto che l’autore sottolinei “l’operatività”
segnala che il “fare insieme” genera un legame esclusivo, e che la condivisione
aumenta la qualità della relazione. Chiedi se si possa vivere senza amici. Non
mi sento di escluderlo, perché in condizioni estreme gli uomini si sono
abituati un po’ a tutto. Però, nonostante vi possano essere difficoltà nelle
relazioni e oggi sia aumentata la tendenza a sottolineare i difetti dell’amicizia,
trovo sempre vera l’idea di Aristotele secondo cui «senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti
gli altri beni. (Etica Nicomachea
1155 a). Ho recentemente scoperto una riflessione analoga anche nel libro “Tutti i fiumi vanno al mare” (Bompiani
1996) di Elie Wiesel. Scrive l’autore: «La
maledizione peggiore? Per un padre, la mancanza di figli. Per un bambino, la
mancanza di un focolare. Per un credente, la mancanza di giustizia. Per un
ricercatore, la mancanza di verità. Per un prigioniero, la mancanza di
speranza. Per ogni essere umano, la mancanza di amici. Senza amici, la libertà
non ha senso né valore. Chi non ha amici è solo un prigioniero fuori dalla
prigione». La mancanza di amicizia è presentata come una disgrazia o una dannazione.
Abbiamo bisogno di condividere la vita, magari anche con poche persone. Ma
abbiamo bisogno di vedere noi stessi attraverso l’altro e grazie all’altro.
Un caro saluto,
Alberto