Caro professore,
è dall'età di 7-8 anni
che sono molto dubbioso su tutto il mondo che ci circonda; ed è da pochi anni,
forse un paio, che sto provando a rispondere e a risolvere le mie perplessità.
Tutto ha avuto inizio quando un giorno davanti ad un programma televisivo ho
visto la seguente scena: una persona, che si trovava nel giardino di casa sua,
veniva ripresa da una telecamera. La particolarità di questa telecamera era che
essa ha iniziato a rimpicciolire l'immagine della persona, mostrando prima la
casa vista dall'alto, poi successivamente il quartiere, la città, la regione,
lo stato, la Terra, il sistema solare, la nostra galassia, il nostro universo.
Ciò che mi ha fatto pensare è stato il fatto che il nostro universo andava a
formare un componente di una ipotetica cellula e che questa cellula componeva
un organismo e quindi un altro essere a sua volta. Credo che quella scena non
me la dimenticherò mai, perché quel giorno rimasi a bocca aperta davanti alla
TV nonostante avessi solo 13 anni. Per quanto quel rimpicciolimento potrebbe
continuare una volta comprese tutte le galassie e quindi tutto il nostro
universo? Cosa ci sarebbe al principio di tutto?
Marco 3C
Caro Marco,
per la questione fisico-astronomica, ti consiglio di
rivolgere la domanda ai tuoi professori di scienze, che sono persone certamente
più qualificate e aggiornate di me. Io utilizzerò la tua immagine per integrare
il tuo stupore con quello di qualche filosofo. In fondo la procedura dello
zoom non è proprio così nuova: un tempo, là dove non c’era la tecnica arrivava
l’immaginazione. Di solito, la capacità di vedere il mondo e di ridimensionarlo
per fare spazio a una realtà più grande matura già dopo una scalata su
un’altura da cui si può ammirare la pianura sottostante. A dire la verità – e con
minore sforzo – nella mitologia persiana e araba era sufficiente salire
sul «tappeto volante» di Aladino (“Aladino
e la lampada magica”) per avere un’ottima visione dall’alto. Ma la pratica di
zoomare è cresciuta dopo i voli ad alta quota che hanno permesso di vedere
porzioni enormi della Terra grandi come francobolli, ed è certamente esplosa
con le riprese dallo spazio che hanno ulteriormente moltiplicato le distanze, e
dunque affinato lo zoom. Questa oscillazione dell’immaginazione da ciò che è immenso a ciò che è infinitesimo fa rimanere gli uomini a bocca aperta per la grandezza
e la bellezza del cosmo. A bocca aperta doveva essere restato Talete quando –
assorbito dallo sguardo nel cielo – cadde nel pozzo, e a bocca aperta si deve
essere trovato spesso Immanuel Kant, se una delle due cose che gli riempivano l’animo
di meraviglia era proprio il «cielo
stellato». Lo stupore per il cosmo è dunque totalizzante e profondo. Comincia
presto – in te a 13 anni – e poi rimane incollato nella memoria per tutta la vita.
Ed è in grado di sovvertire le certezze, scuotere l’apatia e far sentire le
persone parte piccolissima di qualcosa di immenso. Il primo zoom
dell’immaginazione credo che appartenga ai greci. Nasce con l’idea di lanciare
una freccia dai confini ultimi del mondo conosciuto, per scoprire che la stessa
operazione si può ripetere infinite volte e che non ci sono confini all’universo.
Una bellissima versione – che richiama un’idea del greco Epicuro – è ripresa
nel mondo latino da Lucrezio alla fine del primo libro del “De rerum natura”. Scrive il filosofo: «E inoltre, supponiamo ora che tutto lo
spazio esistente sia limitato e che qualcuno corra avanti, all'estrema riva,
spingendosi fino all'ultimo punto, e scagli un dardo volante: preferisci tu
pensare che esso, lanciato con valide forze, vada ove è stato vibrato e voli
lontano, o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad esso opporsi?». La
conclusione del ragionamento è che «il
punto donde è partito non è il confine estremo». Un secondo zoom è proposto
da Blaise Pascal nel Seicento. Pascal sa che l’uomo si sente «smarrito» in questo «angolo appartato della natura» e invita
a scendere in profondità con l’immaginazione. Suggerisce di osservare un acaro
e scrive: «che un acaro gli offra, nella
piccolezza del suo corpo, delle parti incomparabilmente più piccole, delle
gambe con delle giunture, delle vene nelle sue gambe, del sangue nelle sue
vene, degli umori in quel sangue, delle gocce negli umori, dei vapori nelle
gocce; che, suddividendo ancora quelle ultime cose, esaurisca le sue forze in
quelle concezioni». E subito dopo mostra un nuovo abisso, un’altra infinità:
«Che egli veda un’infinità di universi,
in cui ciascuno ha il suo firmamento, i suoi pianeti, la sua terra, nella stessa
proporzione del mondo visibile: in questa terra, degli animali, ed infine degli
acari, in cui egli ritroverà ciò che i primi gli hanno mostrato; e trovando
ancora negli altri la stessa cosa, senza fine e senza riposo, che egli si perda
in queste meraviglie, così sconvolgenti (étonnants) nella loro piccolezza che
le altre nella loro estensione». Ragione e immaginazione hanno anticipato i
risultati della tecnica. E se è vero che la scena televisiva a cui fai
riferimento non si dimentica più, anche l’umanità che ci ha preceduto non l’ha
mai scordata. Neanche per un momento. L’ha custodita e l’ha tramandata di generazione
in generazione come una visione preziosa che oltre a rivelare la meraviglia degli
uomini ha suggerito loro anche una precisa (e sobria) collocazione nel cosmo.
Un caro saluto,
Alberto