L’espressione «al di
là del bene e del male» significa che le pulsioni e la «volontà di vita» non sono arginabili
entro i confini della logica o nelle prescrizioni razionali e che l’istinto non
si lascia ingabbiare né dall’etica né dalla razionalità. Gli uomini – sia
nell’agire individuale (etica) sia in quello collettivo (politica) – hanno però
necessità di relazionarsi agli altri, all’ambiente, di giudicare i fatti, di
immaginare le generazioni future e non possono pertanto essere indifferenti alla
questione del bene e del male. La linea di demarcazione, tuttavia, può essere
difficile da tracciare. Non parliamo solo di casi particolari come nei campi di
concentramento descritti da Primo levi. L’autore di “Se questo è un uomo” inserisce nell’opera un capitolo intitolato proprio
“Al di qua del bene e del male” per
spiegare come nei campi di concentramento, per le situazioni eccezionali che si
erano create, i criteri di bene e male non erano così semplici da individuare.
Scrive Levi: «Vorremmo ora invitare il
lettore a riflettere, che cosa potessero significare in Lager le nostre parole
«bene» e «male», «giusto» e «ingiusto»; giudichi ognuno, in base al quadro che
abbiamo delineato e agli esempi sopra esposti, quanto del nostro comune mondo
morale potesse sussistere al di qua del filo spinato». La riflessione sulla
necessità di valutare i comportamenti umani non è però vanificata dalle
situazioni anomale, ma è necessaria nella vita quotidiana. Perché dovremmo
occuparci del bene e del male e non ritenere la discussione superflua o
irriducibilmente soggettiva e dunque abbandonarci al relativismo? Perché – dice la filosofa Roberta de Monticelli in un
libro intitolato proprio “Al di qua del
bene e del male” (Einaudi, 2022) – i confini del bene e del male
rappresentano «i limiti oltre i quali non
stanno mondi nuovi, oltre-umani, ma sopraffazione e distruzione». Senza
razionalità e senza valori regnano infatti ingiustizia, indifferenza, forme
varie di prepotenza e di tirannia, vessazioni, persecuzioni, violenze di varia
natura. La riflessione morale è fondamentale: per l’uomo è necessario circoscrivere
un territorio che abbia al centro la vita e quindi il bene e il male, perché la
vita sociale si muove all’interno di quello spazio e non al di fuori di esso.
Se si oltrepassa la sfera dei valori – intesi come principi condivisi – che
regolano i comportamenti, allora si vanifica anche la responsabilità
individuale, ossia la necessità di rispondere delle proprie azioni di fronte
agli altri. Davvero la nostra vita si può
muovere al di à del bene e del male e le azioni essere paragonate a una somma
indistinta di atti più o meno equivalenti? Possiamo barattare la responsabilità
con l’indifferenza, la coscienza con incoscienza, la colpevolezza con l’apatia?
L’uomo deve sempre rispondere delle proprie azioni, non può essere estraneo ad atti
scriteriati, immaturi o incoscienti. Le istituzioni e le leggi nascono per
arginare l’assenza di responsabilità. Il teologo Vito Mancuso, in “Etica per giorni difficili” (Garzanti,
2022), afferma che Nietzsche stesso, il filosofo che riflette a partire dal
corpo e dalle sue pulsioni, dimentica che è già il corpo a stabilire per la sua
stessa sopravvivenza dei criteri naturali tra il bene e il male. Scrive
l’autore: è il corpo stesso «a imporre
una precisa fisiologia per la quale vi sono alimenti, bevande, temperature,
abitudini che producono bene e altri che producono male. È proprio il pensare a
partire dal corpo a farci comprendere che tutte le cose sottostanno
inevitabilmente alla logica del bene e del male, la quale è anzitutto fisica,
chimica, biologica». E così, conclude l’autore: «È proprio il corpo a mostrare che non esiste nessun al di là del bene e
del male, perché per noi umani dotati di corpo tutto è al di qua del bene e del
male, a partire dalle cose più elementari quali l’aria che respiriamo, l’acqua
che beviamo, il cibo che mangiamo, fino alle più elevate produzioni della
mente. Tutto ciò che procede e ritorna alla vita è sempre al di qua del bene e
del male». Forse solo gli dei greci sono al di là del bene e del
male, come diceva Epicuro nel IV sec. a.C. Per il filosofo ellenistico le
divinità greche sono indifferenti alle vicende umane: non si occupano degli
uomini, perché non intervengono né per mitigare le asprezze né per rimuovere il
dolore dalla vita. Se gli dei greci vivono in una dimensione separata dal mondo,
gli uomini vivono invece in un’area in cui il bene e il male sono fondamentali:
intenzioni, azioni, aspirazioni, atteggiamenti e scopi non sono mai al di là
del bene e del male. La riflessione etica è allora indispensabile. Per quanto l’etica
sia stata accusata di ostacolare la vita e di ridurne la sua potenza, senza di
essa – ossia senza una riflessione razionale sull’agire – è l’impulso a
imprigionare la vita o a costringere l’uomo ad una dimensione esclusivamente pulsionale
in cui la coscienza è assente. Vale la pena sottoscrivere la dichiarazione di
Mancuso nell’opera “I quattro maestri”
(Garzanti 2020): «Io preferisco rimanere
al di qua del bene e del male, dalla parte del bene e della giustizia quale sua
privilegiata manifestazione. Ritengo che il bene e la giustizia siano il
compimento dell’umanità e ritengo che l’umanità sia il compimento del mio
essere, una dimensione che non va superata ma onorata fino in fondo, anche
accettando la parte di sofferenza che la vita umana inevitabilmente comporta».
Un caro saluto,
Alberto