lunedì 14 dicembre 2009
Sono sensitiva?
Scrivendo di questa mia esperienza, potrei passare per "strana" o per "matta", però ho notato che è una cosa che mi caratterizza. Ogni tanto penso a qualcosa o a qualche persona, in un momento di silenzio, di tranquillità, e subito dopo o qualche giorno dopo, avviene o vedo quella cosa o quella persona che avevo pensato precedentemente. È una cosa strana che mi capita da diverso tempo, però cerco di dirlo a persone di cui mi fido, cioè a persone che mi credono e che non annuiscono solo per farmi contenta, mentre in realtà pensano che io sia una “pazza”.
Loredana
Cara Loredana,
La tua domanda richiama una questione antica che più recentemente è stata riformulata in questo modo: è possibile una corrispondenza reciproca tra stati interiori della mente ed eventi esteriori? Nel corso dell’esistenza, infatti, accadono eventi che sembrano non essere casuali. Coincidenze particolari che a volte lasciano interdetti. “Coincidenze significative”, potremmo dire. Infatti è proprio con questa locuzione “coincidenze significative” (ma guarda che coincidenza!, scherzo) che Carl Gustav Jung (1875 - 1961), il grande psichiatra e psicoanalista svizzero, denota tutta una serie di casi particolari. Jung considera con serietà la questione e per questo vi dedica ben due studi: La sincronicità (1951) e La sincronicità come principio di nessi acausali (1952). (Entrambi i saggi sono contenuti nell’ottavo volume delle opere di Jung, nell’edizione Bollati Boringhieri – il primo, più breve e più semplice, è nell’appendice del testo).
Tutto parte dall’analisi dell’applicazione del principio di causa nella spiegazione dei fenomeni. Il principio di causa, come sai, è un principio fondamentale, naturalmente, per la spiegazione scientifica. Jung, però, che aveva già studiato in precedenza il nesso di “causalità”, ha sollevato dubbi sull’applicazione senza riserve di tale principio in psicologia (ad es. nei sogni questo principio salta: da un effetto si genera immediatamente la causa e non viceversa, lo diceva già Freud). Egli pensa infatti che sia necessario dedicarsi allo studio di una serie di fenomeni che non sembrano interpretabili con le normali categorie di causa, spazio e tempo e che non sembrano essere riducibili alle categorie scientifiche classiche. Per affrontare la spiegazione di questi problemi, introduce il concetto di “coordinamento acausale”.
Così, nel 1951, Jung definisce come “fenomeni sincronistici” i fenomeni che coincidono con il contenuto psichico dell’osservatore e che accadono simultaneamente; oppure in uno spazio diverso o in un tempo diverso, un po’ come è accaduto a te. Scrive Jung questi tre casi: "1) la coincidenza di uno stato psichico dell'osservatore con un evento contemporaneo e obiettivo che corrisponde allo stato o al contenuto psichico (...) 2) la coincidenza di uno stato psichico con un evento esterno (più o meno contemporaneo) corrispondente, il quale però si svolge al di fuori della sfera di percezione dell'osservatore, e quindi distanziato nello spazio, e può essere verificato soltanto successivamente (...) 3) la coincidenza di uno stato psichico con un evento corrispondente, non ancora esistente, futuro, quindi distante nel tempo, il quale può essere verificato solo a posteriori" (1951, p. 545). Lo studioso Paolo Francesco Pieri nel Dizionario junghiano (Bollati Boringhieri, 1998) ricorda che queste diverse tipologie di eventi sarebbero “un aspetto particolare del cosiddetto ‘coordinamento acausale’ che sovrintenderebbe alla creatività, e cioè quegli ‘atti creativi’ che vengono a svolgersi attraverso le immagini, il pensiero e il linguaggio”.
Jung pensa dunque ad una corrispondenza precisa tra contenuto psichico e realtà: ovviamente l’evento esterno e quello interno devono avere lo stesso significato; e prima di poter interpretare tali fenomeni in base a nuove teorie, ovviamente si devono innanzitutto escludere sia possibili relazioni causali dirette tra gli episodi sia l’applicabilità di leggi statistiche nella loro spiegazione. Ma fatte salve queste condizioni, rimangono però da spiegare i fatti che, come disse Withehead sono spesso “irriducibili e ostinati”.
Come è possibile, infatti, che si manifesti qualcosa che così anticipatamente non può esserlo? La spiegazione di Jung è questa: esistono fenomeni che non hanno ancora ricevuto una spiegazione causale deterministica o statistica. Egli è consapevole però che la scienza non può spiegarli per due motivi di fondo.
Il primo è il fatto che la scienza utilizza come metodo di spiegazione il “principio di causa” e ciò che non manifesta una causa diretta riconoscibile non viene preso in considerazione; il secondo, è il fatto che la scienza esclude il fattore psichico nello studio della realtà. Per poter considerare i fenomeni che tu hai riportato, secondo Jung, la scienza dovrebbe “allargare” il proprio punto di osservazione e accogliere nel proprio metodo anche i due elementi sopra citati: ossia “il fattore acausale” e “il fattore psichico”.
Egli suggerisce pertanto di considerare tali fenomeni non tanto “irrazionali”, ma “extrarazionali”, ossia diversi dal paradigma della scienza condivisa.
Per spiegare questi fenomeni, egli fa riferimento al ruolo della “conoscenza inconscia”. Da una parte introduce il fattore affettività: sarebbero infatti particolari condizioni psichiche prodotte proprio attraverso l’affettività, in parte legata a qualche aspettativa, a consentire l’attivazione di queste forme di conoscenza. Ma soprattutto Jung fa riferimento all’attività di un particolare strato della psiche in cui percezioni, osservazioni e conoscenze inconsce pervengono poi alla coscienza. Ma questo era il pensiero dello psichiatra fino alla metà del secolo scorso. La ricerca scientifica contemporanea ha però fatto altri passi avanti. Se vuoi continuare i tuoi approfondimenti, pertanto ti invito a leggere le altre citazioni indicate da Alessandra nella lettera precedente.
Un caro saluto,
alberto
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