lunedì 4 ottobre 2010
Il senso del perdono
Caro professore,
A volte anche perdonare una persona è molto difficile; ma qual è il vero significato dell'atto del perdono?
Laura
Cara laura,
Per iniziare una riflessione sul perdono, faccio riferimento ad alcuni spunti di un dialogo avvenuto tra Enzo Bianchi, priore di Bose, e Gustavo Zagrebelsky, avvenuto a Torino (sabato 25 settembre 2010) nell’ambito della manifestazione Torino spiritualità.
Enzo Bianchi ricorda che il concetto di perdono è stato elaborato soprattutto nell’Occidente e che in altre tradizioni è meno testimoniato. E fa presente che quando si parla di perdono occorre far riferimento al soggetto che “perdona” (perché perdona chi gli ha fatto del male); e che il perdono è dunque un “processo” che coinvolge il soggetto che ha subito un danno. È un processo che richiede tempo. Chi è perdonato, infatti, potrebbe non fare buon uso del perdono o non accettare il perdono stesso. Con il perdono, però, chi è stato offeso offre all’altra persona la possibilità di ricominciare.
Gustavo Zagrebelsky, importante giurista italiano, in passato Presidente della Corte Costituzionale, mette in luce anche un aspetto deresponsabilizzante del perdono: se ogni colpa è sempre perdonata, se ogni colpa cade nell’oblio, si annullano semplicemente i ricordi spiacevoli e si giustifica l’oblio della colpa. Attento alle sfumature di significato, Gustavo Zagrebelsky fa riferimento pertanto alle “colpe che si pèrdono”. Però le colpe non devono essere “dimenticate”, perché sono elementi costitutivi della storia di ciascuno. Ogni persona va ricordata con le proprie luci e le proprie ombre. Per questo, Zagrebelsky invece di “perdòno” preferisce parlare di “responsabilità” e di “pentimento”.
Enzo Bianchi sottolinea allora che, certamente, si può fare anche un cattivo uso del perdono, come del resto anche dell’amore, ma che non per questo viene meno la funzione fondamentale del perdono nelle relazioni umane. Il perdono non cancella la responsabilità e nello stesso tempo non vuole la reciprocità. Ha soprattutto a che fare con la dimensione del dono. Potremmo dire che colui che perdona offre all’altro la possibilità di cominciare nuovamente, infatti è “per-dono” di chi è stato offeso che la relazione può ricominciare.
Bianchi ricorda inoltre che con Dio il perdono ha un significato particolare: Dio può cancellare, come accade con la spugna sulla lavagna, i peccati dell’uomo. Nella sua onnipotenza può dimenticare ciò che ha visto e ciò che potrebbe ricordare. Dio, secondo la religione cristiana, offre pertanto a tutti la possibilità di ricominciare, perché secondo Bianchi “l’uomo è sempre più grande del delitto che ha compiuto”. Come infatti non si può identificare un figlio con la sua malattia, con un vizio o con un handicap, perché questi sono aspetti della persona e non tutta la persona, così non si può ridurre la persona al fatto commesso. Bisogna sempre fornire altre occasioni perché possa recuperare.
Gustavo Zagrebelsky intervistato poi da Paolo Griseri (la Repubblica, sabato 25 settembre 2010) alla domanda se non sia importante annullare tutto e ricominciare da capo, risponde: "È in quel 'ricominciare da capo’ che si nasconde il problema. Prendiamo l'esempio del Sudafrica: la commissione di riconciliazione istituita al termine dell'apartheid non ha affatto cancellato le colpe dei singoli. È partita anzi dal riconoscimento di quelle colpe per costruire una nuova coscienza nazionale condivisa. L'idea del perdono che fa dimenticare la colpa produce invece una società di eterni bambini, perennemente ricondotti allo stato di fanciullezza che dalla storia dei loro errori non sono in grado di imparare nulla. Per questo al perdono preferisco la responsabilità che nasce dal pentimento".
Io credo che si parli con troppa facilità di perdono. Certo, nelle relazioni ognuno ha qualcosa da perdonare e di cui farsi perdonare, ed è certamente importante non impedire a nessuno “un nuovo inizio”. C’è evidentemente una gioia che procede dalla riconciliazione, e c’è un bisogno di ripresa positiva delle relazioni. Ma oggi la parola perdono è usata in contesti sbagliati o con troppa superficialità. Chi perdona ama confessarlo pubblicamente e in qualche modo ottiene l’approvazione sociale che lo gratifica. Ma è vero perdono? Anch’io preferisco le parole “pentimento” e “responsabilità”. Ci sono persone che fanno del male intenzionalmente e sono del tutto indifferenti al male che hanno fatto, oppure negano l’evidenza dei misfatti di cui sono responsabili. Lascerei il perdono, con la conseguente cancellazione totale della memoria, all’ambito della religione e a Dio, e conserverei per gli uomini il perdono solo se accompagnato dalla presa di coscienza del male compiuto. Se l’altro non riconosce il male che ha causato (e cerca magari di rimediare), il perdono è una forma di indifferenza, una sorta di imperturbabilità eccessiva, o una vuota parola che produce amnesia sulle colpe e rende le persone irresponsabili di fronte agli altri, estranee alle azioni compiute. Il perdono ha senso se si accompagna alla giustizia, altrimenti gli uomini ne fanno un cattivo uso.
Un caro saluto,
alberto
Puoi ascoltare una parte dell’incontro sul perdono su questa pagina di Radio3:
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-be3fc669-44f8-478f-b411-fead492a4328.html
o leggere l’articolo di Enzo Bianchi su TuttoLibri del 18 settembre 2010
http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/328642/
Ti segnalo alcuni libri sull’argomento:
1. Eileen Borris-Dunchunstang, Perdonare. La vera libertà degli esseri umani, Elliot Edizioni, 2010, 281 pp.
2. Giorgia Paleari, Camillo Regalia, Perdonare, Il Mulino, 2008, 128 pp.
3. Jacques Derida, Perdonare, Cortina Raffaello, 2004, 106 pp.
4. Richard Holloway, Sul perdono. Come si può perdonare l'imperdonabile?, Ponte alle Grazie, 2004, 92 pp.
5. Vladimir Jankélévitch, Perdonare?, La Giuntina, 1988, 63 pp.
E due testi che hanno a che fare con le pratiche del perdono nella storia e con la nascita della giustizia internazionale:
1. Ottavia Piccoli, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Laterza, 2007, 238 pp.
2. Antoine Garapon, Crimini che non si possono né perdonare né punire. L'emergere di una giustizia internazionale, Il Mulino, 2004, 289 pp.
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