lunedì 11 aprile 2011
Momenti sempre impressi
Caro professore,
Perché ci sono dei momenti nella vita che ci rimangono sempre impressi e non possiamo fare nulla per dimenticarli? Penso che la mia vita è cambiata molto da quando ho visto soffrire una persona a me cara, e in certi momenti (per problemi di salute) ho anche rischiato di perderla per sempre. Pensare a ciò mi fa male e non riesco a cancellare questo momento perché anche oggi - e credo per sempre - ci saranno delle conseguenze di questo fatto. Tutti i momenti che ho vissuto fanno parte della mia vita e purtroppo mi seguiranno sempre.
Rosa
Cara Rosa,
Portiamo dentro le impressioni dell’infanzia, i ricordi belli di alcune giornate trascorse con gli amici o a casa un compagno caro, le prime esplorazioni del mondo mano nella mano dei genitori. Ma portiamo nel nostro animo anche ricordi che vorremmo cancellare: eventi sgradevoli che vorremmo non fossero successi, brutte figure in pubblico, o eventi dolorosi per la perdita di persone care. Portiamo nell’intimo le parole di un tempo lontano, parole che riscaldano il cuore e riaccendono il sorriso e parole che conservano ancora una brutta eco. Potremmo chiederci quali avvenimenti (e quali parole) abbiano conseguenze rilevanti sulla nostra vita e quali no. Forse Freud direbbe che le ripercussioni ci sono comunque e lavorano nella nostra psiche in modo sotterraneo, anche se non ne siamo consapevoli. Come possiamo stabilire se un evento incide o meno sulla vita futura? E poi perché un solo evento si imprime in modo così duraturo nella memoria e una serie di eventi ripetuti possono essere dimenticati?
“La macchia di sangue sulla mano di Macbeth può essere cancellata: incancellabile è la macchia invisibile che l'aver commesso il crimine lascia in un'anima criminale. «What's done is done», dice lady Macbeth”, scrive Jankelevic in un bellissimo libro intitolato “La morte” [1977] [Einaudi 2009]. I ricordi in alcuni casi sono come macchie invisibili: l’evento è dissolto dal tempo, ma la macchia si insedia in profondità e modifica la tavolozza dei colori con cui guardiamo il mondo. Il filosofo Henri Bergson nell’opera “Materia e memoria”[1896][Laterza 1996], scriveva che “In realtà non c'è percezione che non sia impregnata di ricordi. Ai dati immediati e presenti dei nostri sensi noi mischiamo mille e mille dettagli della nostra esperienza passata. Il più delle volte, questi ricordi spostano le nostre reali percezioni, delle quali, allora, non riteniamo che qualche indicazione, semplici «segni», destinati a farci ricordare vecchie immagini”. Questo per dire che un po’ tutto quello che accade nella storia individuale orienta lo sguardo sul mondo e che certe situazioni del presente richiamano immediatamente ricordi lontani, talvolta rinnovano la sofferenza, talvolta ci rendono più sensibilizzati verso la vita. L’esposizione alla sofferenza di una persona, e ancor di più di un familiare, destabilizza emotivamente e cognitivamente chiunque. Gli eventi dolorosi portano dinanzi agli occhi la natura tragica dell’esistenza e richiamano alla mente la caducità dell’uomo. Nell’altro che soffre e poi muore scopriamo una delle caratteristiche peculiari della vita, la fragilità. Nella fragilità, nella sofferenza e nella morte dell’altro, vediamo un’anticipazione della nostra morte. Non solo temiamo di perdere le persone care, ma ci rendiamo conto che anche la nostra vita non è infinita, ma è instabile e precaria e si sviluppa nello spazio delle possibilità. Eppure sono gli eventi dolorosi a rendere acute le riflessioni, è la fragilità che acquisiamo a renderci più attenti, più premurosi, più concentrati, talvolta più impegnati. Attraverso la sofferenza prendiamo congedo dalle proteiformi illusioni sulla vita che ci siamo creati. Impariamo che la vita non ci appartiene completamente e conosciamo la reale condizione dell’uomo. Perdiamo certamente delle certezze, ma le certezze che abbandoniamo erano persuasioni infantili, sicurezze superficiali, convincimenti approssimativi. Nel mare della vita non abbiamo bisogno di astratte razionalizzazioni fantastiche, consolatorie e contemporaneamente inefficaci, ma di affinare la sensibilità, per comprendere meglio la vita che ci ospita e le persone che ci sono accanto. Vivendo intensamente anche i momenti dolorosi, sviluppiamo l’empatia necessaria per comprendere i nostri simili, affiniamo la tavolozza dei sentimenti e, insieme, una comprensione più profonda della vita. Attraverso l’autoeducazione forgiata dagli eventi della vita, costruiamo una cartina dei sentimenti e delle ragioni più raffinata. La fragilità allora diventa una grande forza che ci permette di comprendere meglio le persone con cui entriamo in relazione, di capirne gli affanni, di giustificarne alcune debolezze, di abbracciare così globalmente le caratteristiche complessive di ogni persona. Può sembrare strano, ma la fragilità ci arricchisce di conoscenza e di empatia. Questa nuova sensibilità accresciuta è la prova che diventiamo più umani.
Un caro saluto,
alberto
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