martedì 21 giugno 2011
Un saluto alla VA
Cari ragazzi e ragazze della VA,
Questi due ultimi giorni sono stati “speciali”. Come gli ultimi passi di un atleta che dopo una gara attende di raccontare lo sforzo compiuto, si sono caricati di tanti significati da rendere espliciti. Erano giorni attesi, la cena di fine anno e l’ultimo giorno di scuola. I saluti e il concerto. E Roddino è una collina bellissima. Quando sono arrivato nel punto più alto (con la mia panda bianca-vettura sostitutiva), dopo una breve passeggiata per scandagliare l’orizzonte da ogni lato, mi sono seduto su una panchina. Era tanto che non uscivo dalla quotidianità. Così, mentre respiravo profondamente, ho pensato che Roddino era un bel posto anche per guardare la propria vita. Poi sono arrivate le vostre voci insieme al pullman che vi ha accompagnato. Una gita in miniatura, un piccolo assaggio di una gita che, purtroppo, non c’è mai stata. Tutti elegantissimi, perché la cena è un momento del passato da portare nel futuro: un fotogramma per immortalare ragazzi che diventano grandi e che da grandi ricorderanno di essere stati ragazzi. Quello che noi insegnanti abbiamo subito capito è che stavamo trascorrendo una serata con un gruppo di studenti che si volevano bene. Si sentiva l’amicizia, a tavola. La professoressa Oddenino ha immaginato un premio per ognuno di voi, ed ha azzeccato risate e divertimento. Poi sono arrivati i vostri regali. Bellissimi, i biglietti: tre anni di percorso scolastico in un aforisma che vale le parole di un libro. E poi gli oggetti: orecchini confezionati da voi per le professoresse, maglie da calcio per Ribotta e per me. Ribot (come Ribery) e Albert-one. Le maglie con le firme di tutti, così Ribotta ed io abbiamo scattato una di quelle foto che fanno due calciatori a fine carriera. Abbracciati, di spalle. Fantastiche le imitazioni dei professori di Rainero, le nostre piccole manie amplificate all’infinito, roba da morir dal ridere.
E poi l’ultimo giorno. Un film, le foto degli anni passati che scorrevano sul muro, qualche parola, molta commozione. Mia e vostra. Come dice Rainero «Siamo una bella classe». Proprio così, una bella classe, che ha saputo integrare i compagni nuovi e creare buoni legami. Che ha avuto molti assestamenti, anche dolorosi. Che ha anche faticato per diventare una classe, tra interminabili discussioni e un equilibrio delicato. Che ha saputo però essere anche molto simpatica e affettuosa. Sabato mattina, però, ho visto ragazzi che abbracciavano ragazze e ragazzi che abbracciavano gli amici con le lacrime agli occhi, come calciatori che dopo mille partite vinte piangono, seduti qua e là sul campo, la testa a penzoloni tra le braccia, perché hanno perso la finale di un mondiale ad un calcio di rigore.
Allora penso che ci sono dei momenti, come questi, in cui è più facile comprendere che siamo fatti di relazioni e che la vita ha un senso per le relazioni che sappiamo creare.
Per questo voglio proporvi alcune riflessioni. Brevi, naturalmente.
1. L’anima è relazione.
In questi anni, mentre eravate occupati a fare tante cose, quasi senza accorgervene si è formato in voi qualcosa di particolare e unico. Quel qualcosa si chiama anima. Allora, io non so se l’anima sia anche qualcos’altro, come dicono le persone religiose, ma so che l’anima è quello che si forma dalla relazione. Dalla capacità di sentire, e non dalla capacità esclusiva di intendere e volere. L’intelligenza afferra i concetti, la volontà orienta il comportamento, ma la capacità di sentire e di creare legami è invece quella capacità che cresce grazie alle relazioni. Una capacità di captare e di relazionarsi agli altri profonda e resistente. Questo sentire è una sensibilità che si costruisce col tempo. Intendeva qualcosa del genere Eraclito, quando diceva che i confini dell’anima sono difficili da percorrere tanto è vasto il suo logos. E questo logos, per me, è dato da un insieme di capacità; cominciamo dalle più elementari: accorgersi dell’altro, avvertirne la presenza e l’assenza, cogliere analogie e differenze, intendere quello che realmente sente e pensa, riconoscere le emozioni in lui e in voi, provare emozioni, poi sentimenti. E alla fine accorgersi che è nato un legame che è una forma particolare di attaccamento, a cui non avevate mai pensato, ma che poi diventa visibile nel momento conclusivo di un percorso, come parte essenziale di quel percorso.
2. La relazione crea la profondità.
Perché è vero che una qualche relazione ordinaria c’è sempre stata: «mi passi il compito, quando vieni a giocare, cosa facciamo sabato, ti piace quella ragazza». Ma, giorno dopo giorno, gli ingredienti di quella quotidianità sono entrati nel profondo, o meglio, hanno generato la profondità. Che non è qualcosa di già dato, ma è qualcosa che si crea attraverso quei cordoni ombelicali in partenza e in arrivo che alimentano e trasformano. È una forma di prossimità maggiore, più autentica, che conosce le ambivalenze e le sfaccettature dei compagni e proprie, e attraverso queste scopre la complessità e la bellezza della vita.
3. La profondità è data dalla ripetizione.
Per trovare la profondità è necessaria la ripetizione, direbbe Kierkegaard. La ripetizione, anche quella più semplice, crea un vissuto diverso, interazione e reciprocità. Come nel ripasso che state facendo in questi giorni si riprende qualcosa e lo si comprende meglio, la ripetizione è una ripresa (della relazione) che consente una conoscenza più ricca, un’interazione differente, una vicinanza più esclusiva, che a forza di assestamenti, ma anche di conflitti e di continue riprese, diventa unica.
4. La relazione genera sentimenti e non solo emozioni.
Sabato, ho visto tutti commossi e tutti, in qualche momento, piangere. In modo diverso, toccati da parole diverse, da immagini, da ricordi. Non si tratta di emozioni, cari ragazzi, si tratta di sentimenti, e i sentimenti stanno un gradino sopra alle emozioni. E se molte persone nella società contemporanea si illudono che i sentimenti si possano ottenere attraverso scorciatoie, in questi giorni voi avete sperimentato la vera natura dei sentimenti, e avete compreso che i sentimenti autentici derivano da allenamento e relazione, da esperienze che si costruiscono nel tempo e con il tempo, e non da surrogati a buon mercato. Vale la pena ricordarlo.
5. Le modificazioni dell’anima forniscono una nuova interpretazione della realtà.
Quando uno finisce un percorso di studi, ha maturato una nuova comprensione della realtà. La nuova comprensione della vita che avviene ora che avete finito la scuola ha a che fare con le modificazioni dell’anima, ossia con quella trama di relazioni che costituisce ciascuno. Può sembrare strano, ma l’insieme delle letture nelle varie discipline e la conoscenza di concetti nuovi vi consentiranno di interpretare in modo diverso quello che avevate pensato. Indietro non si può tornare, perché gli autori studiati sono ora parte di voi. Anche se vi sforzate, non potete pensare come pensavate all’inizio dell’anno. Le parole, i concetti, le visioni del mondo dei diversi autori fanno già parte del vostro pensiero e del vostro linguaggio.
6. La relazione forma la coscienza dell’unicità della vita.
Ognuno di noi mentre tenta di dare una forma alla propria vita scopre quello che ha valore; la singolarità del proprio percorso, delle continue relazioni con gli altri, formano la coscienza dell’unicità della vita. L’identità di ognuno diventa tale nella consapevolezza della indispensabile e insostituibile relazione con le altre persone. Scoprendo quello che ha valore, ognuno può scegliere di perseguirlo e di costruire la propria vita di qualità. Anche se per certi aspetti la vita è sempre unica, l’unicità che segue alla scelta dei valori importanti produce un vissuto più consapevole.
7. Conoscere quello che ha valore aumenta la capacità di scelta.
Se si scoprono i valori importanti della vita, spesso si perseguono.
8. La felicità è una conseguenza della scelta di vita.
Oltre alla felicità occasionale, che accade senza una nostra precisa responsabilità, le relazioni fanno scoprire che una vita buona è una vita felice. E che la felicità è a portata di mano: consiste infatti in una vita realizzata. E una vita realizzata è fatta da relazioni.
9. La relazione affina il sentire.
Heidegger diceva che siamo “gettati” nel mondo, per indicare l’assenza di scelta e di intenzionalità con cui veniamo al mondo. E se i compagni non si scelgono, e ci si trova con persone diverse, verso le quali si nutrono anche sentimenti diversi, in realtà, prima che uno se ne accorga, la relazione è già cominciata. Gradualmente, in mezzo agli altri, il sentire si affina, come l’olfatto di un segugio. Alla fine di un percorso è un sentire diverso, che dopo alcuni anni trascorsi insieme nella classe permette di captare quello che gli altri non sentono. Un olfatto raffinato sente cose che la maggior parte delle persone non sente e non pensa neppure che esistano.
10. Siamo fatti di relazioni.
Proprio perché in questi giorni vi siete commossi, potete rendervi facilmente conto che il nostro tessuto intimo è fatto da relazioni; infatti, quando una di esse viene a mancare, si soffre, perché si è consapevoli che nel venir meno dell’altro viene meno anche qualcosa di noi.
…
Ho detto che non la facevo lunga, e allora finisco.
E’ notte tarda. Sto scrivendo questa lettera in ospedale. Sono seduto su una sedia che, per stasera, sarà anche il mio letto. C’è però dentro di me una forza che preme per far affiorare alla voce qualche sentimento che ancora alimenta il ricordo di quei giorni.
Purtroppo, quest’anno non sarò con voi all’esame. Mi dispiace. Ho atteso fino all’ultimo, prima di rinunciare. Ma il sentiero della mia vita mi ha dirottato da un’altra parte: sono qui, questa notte, in ospedale, vicino a mia madre.
Vi penso e vi auguro di fare bene il vostro lavoro, perché siete in grado di fare bene. Vi penserò anche nei giorni dell’esame.
Un abbraccio a tutti,
albert-one.
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