Caro professore,
Com'è possibile che un essere talmente piccolo da stare in una mano mi abbia sconvolto la vita? Da quando in famiglia è arrivato Coral, un gattino vivace ed affettuoso, tutto è cambiato. Prima che arrivasse lui non pensavo di potermi affezionare così tanto ad un animale. Cosa posso avere io in comune con un gatto?! Eppure ora ho scoperto che qualcosa in comune dobbiamo avercelo. La mia domanda è: come fanno a volersi bene due esseri che non hanno nemmeno una lingua in comune?
Alessia
Cara Alessia,
Mi è capitato di leggere qualche tempo fa l’Autobiografia spirituale di Nikolaj Berdjaev, un importante filosofo cristiano russo vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento. Tra le tante informazioni personali che rivela nel libro, il filosofo parla anche del proprio rapporto con gli animali. Scrive: «Mi era facile esprimere la mia vita emotiva solo in rapporto agli animali, su di loro riversavo tutto il mio patrimonio di tenerezza. Può darsi che dipenda proprio da questo il carattere esclusivo del mio amore per gli animali. È l'amore di un uomo che ha bisogno di amore ma che difficilmente può esprimerlo nei suoi rapporti con i propri simili. [...] Ma più che a ogni altro animale mi affezionai al mio gatto Murri, stupendo, intelligentissimo, un vero incantatore. Quando si ammalò fu per me una vera e propria angoscia». Un animale così piccolo da stare in una mano può dunque sconvolgere una vita? Sì, e credo per una serie di ragioni, in parte accennate anche dall’autore. La frase che più corrisponde all’idea che ho del rapporto con gli animali (anche per me il gatto ha avuto un ruolo importante) è la seguente: «È l'amore di un uomo che ha bisogno di amore». Abbiamo bisogno d’amore e lo sguardo non giudicante dell’animale riesce ad approdare là dove molti occhi umani non riescono ad incunearsi, perché non hanno pazienza di “stare nello sguardo”, di ascoltare senza condannare o assolvere, di osservare senza occultare il volto, di contenere le emozioni semplicemente tacendo. In fondo esprimiamo e conosciamo la nostra vita emotiva anche attraverso le relazioni con gli animali: sappiamo che spesso le parole aspirano a chiarire i sentimenti, e che talvolta invece li coprono o li camuffano, mentre un semplice sguardo diretto e prolungato, anche di un animale piccolo e indifeso, consente un feedback affettivo immediato, netto e totale. Quando si tratta dello sguardo del gatto, poi, il legame è irresistibile e trascinante. La piccola presenza segnala una volontà affettiva senza riserve, senza impedimenti, tentennamenti o deterrenti. Il gatto rimane lì, con quegli occhi buffi, interamente orientati verso di noi, attende qualche variazione della nostra espressione e, nello stesso tempo, completamente rapito dal nostro sguardo, sta a ricordarci che prima di tutto siamo già stati scelti senza riserve. Lo sguardo dell’animale dunque ci accoglie e ci cerca, in qualche modo sentiamo che se esprimesse un giudizio su di noi, sarebbe positivo, per assolverci da qualche mancanza, e che se i suoi occhi ci esaminano è perché ci apprezza, se stabiliscono un contatto è per avviare la relazione. Berdjaev dice di aver riversato sugli animali tutto il proprio patrimonio di tenerezza. Credo che nella relazione con un animale pian piano scopriamo anche la tenerezza di cui siamo capaci, attraverso le parole, le coccole e la cura continua. Molto probabilmente anche il tuo gatto è «stupendo, intelligentissimo», ed è «un vero incantatore». In fondo siamo incantati dalla meraviglia per ciò che è altro da noi, per ciò che misterioso, apparentemente incomprensibile. Diverso. Nessuno può dire di conoscere perfettamente un animale, meno che mai di “possedere” un animale. Credo che sia anche ciò che caratterizza la relazione d’amore tra le persone: non finiamo mai di conoscerle e meno che mai le possediamo. Ogni nostro tentativo di definire l’animale e il nostro rapporto con lui viene regolarmente aggiornato. Nel tentativo di comprenderlo procediamo per tentativi ed errori e siamo consapevoli che stiamo contemplando una forma di vita che è “altro” da noi, ma che in alcuni momenti e per chissà quale grazia diventa limpida e intelligibile. «Come fanno a volersi bene due esseri che non hanno nemmeno una lingua in comune?» Il grande psicanalista e sociologo tedesco Eric Fromm, vissuto nella metà del secolo scorso, nel libro L’arte di amare [1956] secondo me ha chiarito molto bene che la caratteristica principale dell’amore è «il carattere attivo» del soggetto, che in tutte le forme d’amore sviluppa alcune caratteristiche. Scrive Fromm: «Al di là dell'elemento del dare, il carattere attivo dell'amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d'amore. Questi sono: la premura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza. L’amore è premura soprattutto nell'amore della madre per il bambino. Noi non avremmo nessuna prova di questo amore se la vedessimo trascurare il suo piccolo, se lei tralasciasse di nutrirlo, lavarlo, curarlo; e restiamo colpiti dal suo amore se la vediamo assistere il suo bambino. Non c'è differenza anche nell'amore per gli animali o per i fiori. Se una donna ci dicesse di amare i fiori, e noi la vedessimo dimenticare di innaffiarli, non crederemmo nel suo «amore» per i fiori. «Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo.» Là dove manca questo interesse, non esiste amore». L’amore non ha dunque bisogno di essere veicolato da un linguaggio verbale condiviso, perché l’amore è già il linguaggio condiviso e la grammatica di quel linguaggio sono i gesti di tenerezza, di premura e di cura che già manifesti per il tuo piccolo Coral.
Un caro saluto,
alberto
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