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Cor-rispondenze

lunedì 7 ottobre 2013

Leggerissima nella danza


 
Caro professore,
La danza è ciò che mi libera la mente da ogni ansia o preoccupazione. La fatica è tanta: a lezione bisogna rimanere sempre concentrati, stringere i muscoli, cercare di stendere e alzare la gamba al massimo, anche più della ragazza dietro alla sbarra per cercare di migliorare e ricevere, raramente, i complimenti dell’insegnante. La competizione anche in un ambiente provinciale come il mio si sente, ma non è un fattore negativo, anzi: sprona e spinge ad andare oltre le proprie potenzialità e quindi a migliorare. La cosa più bella in sala è vedere che riesci a fare un passo che appena qualche lezione prima ti sembrava impossibile e dopo aver imparato la sequenza di passi iniziare a dargli quel tocco personale che distingue ognuna di noi compagne. Così quella fatica si trasforma e mi sento leggerissima, soddisfatta e non vorrei essere da nessuna altra parte.
Vanessa, VC

Cara Vanessa,
Quando penso alla danza, penso sostanzialmente a due cose: da una parte alla complessità del lavoro di preparazione, alla fatica fisica quotidiana per rendere il corpo permeabile al gesto che esprime, alla leggerezza dei movimenti, che invece di essere calcolati, stanchi e abitudinari mostrano la vitalità e le potenzialità del corpo e rimandano alle sue infinite possibilità di interpretare la vita; dall’altra, all’energia vitale e creativa che arde dentro ogni uomo che entra a contatto con la propria parte irrazionale. Nella danza è il corpo che si esprime, che riferisce se stesso, ed è per questo che sul palcoscenico essere e apparire coincidono perfettamente. In un bel libro intitolato “Il corpo” il filosofo Umberto Galimberti ci aiuta a pensare a questa meravigliosa esperienza. Egli scrive che «ogni gesto espone il senso di un simbolo che il gesto successivo già dissolve per evitare che divenga un segno, e quindi che nasca un codice». Credo che intenda dire: poiché ogni gesto fluidifica in quello successivo e non si fissa in una forma rigida, esprime autenticamente la vita nel suo divenire, impedendo che venga cristallizzata in un unico linguaggio. I movimenti del corpo non sono dunque un insieme di segni che esprimono dei significati (un codice da interpretare), ma pura espressione di se stessi. È semplicemente il corpo in movimento – in quello che accenna e rapidamente cancella – a generare il senso dell’espressione. Chi danza produce simboli che accennano a una pluralità di significati e non segni che descrivono univocamente la realtà. Chi danza crea e dissolve rapidamente ogni “segno” che vuole essere definitivamente spiegato e compreso. Così ogni traccia accennata dalla ballerina che, come te si sente «leggerissima», si sottrae all’interpretazione risolutiva, alla riduzione a schema. Essendo puro rinnovamento che «libera dall’ansia e dalla preoccupazione», in quanto scioglie ogni staticità che soffoca e immobilizza, la danza rappresenta un sintonizzarsi con il pulsare creativo della natura. Gli uomini, spesso abbandonati a atti ripetitivi o contratti in gesti abitudinari, faticano a rinnovare la vita, assuefatti più a replicare il noto che a sperimentare, più a copiare che a immaginare, più a seguire la scia ricalcando le orme degli altri che a esplorare le proprie potenzialità. La danza ammonisce pertanto che la vita evolve in incessanti e profonde metamorfosi e che la vera natura di ciascuno implica un continuo e talvolta abissale rinnovamento. Ricordo che, qualche tempo fa, su qualche maglietta estiva era riportata la frase di Nietzsche: «bisogna avere ancora un caos dentro di sé, per partorire una stella danzante». Io vi dico: voi avete ancora del caos dentro di voi». (“Così parlò Zarathustra”). Per rimanere nella metafora dell’autore, su un terreno «impoverito e addomesticato» non può crescere un «albero superbo». È forse dal quel caos meraviglioso che abita ciascuno di noi che si originano le cose più belle. In fondo, scrive Galimberti, «i nostri gesti dicono la nostra vita, dicono se è una "festa" dionisiaca o se è la "tragedia" della ripetizione, se il suo ritmo è la "danza" o il gesto economico e calcolatore». Fino a quando uno «non vuole essere da nessun’altra parte» – come te – significa che nella sua vita vibra la «festa dionisiaca» che mette a contatto ogni uomo con la propria irriducibile creatività.
Un caro saluto,
Alberto

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