Caro professore,
La fotografia è la mia più grande passione ed è anche
una delle cose che più mi accomuna a mia nonna! Anche lei alla mia età aveva
iniziato ad appassionarsi a questa meravigliosa forma d’arte e dopo aver
lavorato un anno intero in Francia si era comprata la sua prima macchina
fotografica. E anche per me è stato così, quest’estate ho lavorato e con i
soldi guadagnati mi sono comprata la mia prima Reflex! Quando ho la macchina
fotografica in mano è come se tutto ciò che mi circonda diventasse più bello e
meritasse di essere immortalato per essere ricordato! Io non ho soggetti
particolari che amo fotografare, anzi, tutte le volte che esco di casa porto
con me la mia Nikon e la appendo al collo, sperando di vedere qualcosa che
attiri la mia attenzione. Bisogna saper cogliere all’istante ciò che ci fa
venire i brividi! Le foto sono la più grande arma che abbiamo per poter
ricostruire la nostra vita, infatti, sulle ante del mio armadio ho incollato
più di 100 foto che ritraggono i miei amici, la mia famiglia e me nei nostri
momenti più significativi: ci sono foto dalla mia nascita fino ad oggi! Amo
guardarle perché mi ricordano costantemente chi sono e grazie a chi sono
diventata quella che sono, ogni persona ha il suo peso e la sua influenza ed è
bello ritrovare i loro visi costantemente davanti a me! Persone con cui non ci
si sente più, con cui si ha litigato, ma a cui vuoi ancora bene sono ancora lì,
principalmente nei tuoi ricordi, ma anche stampate, a portata di mano. A me piace
spesso dire: "Grazie fotografia", perché è grazie a lei se possiamo
ricordare anche i dettagli che non riusciamo a far riaffiorare con la mente.Giulia, 5C
Cara Giulia,
L’apparizione della fotografia è
stata un rivoluzione. Prima c’erano solo i quadri, le litografie, i disegni. Se
nel quadro è evidente la mano dell’artista, nella foto – scrittura con la luce
– sembra che appaia esattamente la realtà. Il filosofo Walter Banjamin
(1892-1940) ha evidenziato non solo la disponibilità illimitata del ricordo,
l’accessibilità di un evento anche a distanza spazio-temporale, la ricezione
collettiva simultanea per la massa (cosa non possibile per l’opera d’arte), o
ancora la sparizione del rapporto tra originale e copia, ma ha parlato di un
aspetto inconsapevole del contenuto fotografico. Infatti, anche se non sei
perfettamente concentrata, la tua Nikon registra ciò che sfugge al tuo occhio.
Siamo abituati a sentir parlare dell’«inconscio pulsionale» di Freud, forse
meno dell’«inconscio ottico» di cui parla Walter Benjamin in due opere, nella “Piccola
storia della fotografia” del 1931 e poi ne “L’opera d’arte nell’epoca
della sua riproducibilità tecnica”, 1935-36. Come la psicoanalisi si
propone di rivelare ciò che si cela alla coscienza, così un ingrandimento fotografico
rivela l’«inconscio ottico» – ciò che l’occhio non vede né percepisce nel
momento in cui si concentra sul soggetto da fotografare – che manifesta molti
più dettagli di quanti siamo in grado di percepire ad occhio nudo. Dici
giustamente che la fotografia consente di ricostruire la vita. Infatti, oltre
all’inconscio personale abbiamo a disposizione anche un inconscio extrasomatico
per ricomporre il passato, archiviato nei raccoglitori o in centinaia di
cartelle nel computer, da aprire occasionalmente per cercare un amico, un
volto, un luogo, dei legami. La fotografia non preserva solo l’inconscio
extrasomatico individuale, ma anche quello della collettività, che in ogni
scatto conserva ciò ha rimosso, protegge ciò che sfugge alle coscienze di un
certo periodo. I particolari su quali ci fermiamo ci dicono che la realtà
fissata nell’immagine non si è ancora esaurita del tutto, e quindi la foto
continua a rivelare del passato molte più informazioni di quante non ne
contenga esplicitamente. Quando ci soffermiamo a distanza di anni su
un’immagine dell’infanzia non contempliamo solo un neonato nella braccia dei
genitori, ma osserviamo anche i particolari che emergono dallo sfondo:
l’orologio del papà, il pavimento della casa, la stufa, gli oggetti in lontananza,
altre persone. Per questo la foto non ci consegna solo un mondo lontano, ma ci
permette di interagire con ciò che un tempo non avevamo considerato o di cui
non sentivamo il bisogno. Ci sono molte cose lì, sotto il nostro sguardo, ma
sfuggono. Abbiamo dunque enormemente bisogno della fotografia e di
quell’«inconscio ottico» per salvare la nostra vita e, più in generale, la
storia di una comunità.Un caro saluto,
Alberto
P.S. la foto è dell'artista rumeno Caras Ionut
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