Caro professore,
oggi volevo parlarle del rapporto di amicizia tra me e
la mia migliore amica. Ci conosciamo da quando avevamo tre anni, ci siamo
incontrate all’asilo. Siamo subito diventate due amiche inseparabili, tant’è
vero che abbiamo fatto tutte le scuole insieme fino alla terza media, quando
abbiamo scelto due scuole superiori diverse. Negli ultimi due anni non ci siamo
viste molto, nonostante abitiamo vicine. Abbiamo incominciato a incontrarci e a
passare di nuovo del tempo insieme la scorsa estate, ma lei non è più com’era
una volta. Mi racconta sempre tutto quello che fa o succede a scuola, alle
feste o nella sua famiglia e io, ogni volta che parla, penso che sia cambiata
radicalmente, perché ha fatto delle scelte che mai mi sarei aspettata,
soprattutto da lei. Continuiamo a vederci e ogni volta mi chiedo che cosa sia
successo in due anni per farla cambiare così, o anche cosa sia successo a me.
Certe volte cerco di spiegarle come la vedo io, cercando di non ferirla, ma lei
sostiene che non è così: dice che non è cambiata lei, ma che sono cambiata io.
Questa sua ipotesi mi fa pensare, ma non toglie il fatto che non siamo più
legate come prima.
Cecilia, II B
Cara Cecilia,
Cicerone diceva che «L'amicizia non è altro che
un’intesa sul divino e sull’umano congiunta a un profondo affetto». Trovo
che sia una sintesi efficace, perché insieme all’attaccamento sottolinea
un’alleanza sulle dimensioni fondamentali dell’esistenza. Per questo il
filosofo riteneva che, «eccetto la saggezza», l’amicizia fosse il dono
più grande concesso dagli dei agli uomini. Capita che alcune persone con cui ci
relazioniamo in tenera età ci accompagnino per tutta la vita. In questo caso
gli amici potrebbero essere rappresentati come due navi che scivolano nel mare,
a volte calmo a volte burrascoso dell’esistenza, più vicine o più lontane senza
una precisa intenzionalità. Incontrare un amico d’infanzia e riconoscere dai
suoi occhi che sono sufficienti pochi minuti per ristabilire l’affiatamento di
un tempo, è come riconoscere la stessa nave dopo anni di navigazione. Tuttavia,
spesso si avverte che nella traversata la distanza ha provocato uno scostamento
di direzione dovuto ad una metamorfosi interiore. Così si scopre che
l’allontanamento ha generato divergenze che non si possono colmare neanche
ritoccando l’angolo di rotta. Non è solo la lontananza fisica a far affievolire
sentimenti e affinità, è piuttosto la metamorfosi interiore, che ogni uomo
fatica a riconoscere su di sé, ad essere così vistosa da rendere irriconoscibili
anche le migliori amiche di un tempo. Entrambe infatti pensate: «lei non è
più com’era una volta». Come su una barca i marinai non si accorgono del
movimento perpetuo della corrente e percepiscono incautamente la propria
immobilità, così anche le persone cambiano senza avvertire la novità del loro
sguardo sul mondo. Solo gli oggetti sono come erano un tempo, gli uomini si
trasformano, perché questa è la loro essenza. Ci sono mutamenti in cui si
riconoscono, perché intravedono un percorso comune e ci sono evoluzioni che
disapprovano in quanto si allontanano da un’immagine precostituita. Così ci si
rende conto che la vita non scorre più su una scia parallela o che il rapporto
non funziona più, ma occorre considerare che la crescita di ognuno avviene in
tempi diversi: c’è chi si attarda a fare scelte per noi importanti e chi
sceglie altri itinerari. Alcuni cambiamenti sono irreversibili e l’esteriorità
è solo il pallido riflesso di una modificazione che ha una motrice invisibile.
Capita così di non riconoscersi o di non approvare l’altro, soprattutto perché
non si avverte il proprio inesorabile rinnovamento. Aristotele, che ha scritto
pagine bellissime sull’amicizia non solo nell’opera più nota, l’“Etica
Nicomachea”, ma anche nella “Grande etica”, affermava che per
avvertire anche il nostro cambiamento abbiamo bisogno degli altri: «Poiché
dunque il conoscere se stessi è tanto la cosa più difficile, [...] noi
non siamo capaci di vedere da noi stessi come siamo noi stessi». Per
questo spesso colpevolizziamo gli amici o deprechiamo le loro scelte senza
renderci conto del nostro impercettibile, ma inesorabile, mutamento. Aristotele
spiega bene questa circostanza e scrive: «e che noi non possiamo conoscere
noi stessi risulta evidente da come rimproveriamo gli altri senza accorgerci
che anche noi facciamo le stesse cose; e questo avviene per benevolenza o per
passione; e molti di noi sono accecati da queste cose, sì da non giudicare
rettamente». Solo l’altro rende visibile ciò che è accaduto di ciò che
eravamo. In fondo cambiamo persino gusti alimentari, quasi senza avvertirne il
motivo: un tempo non amavamo un cibo e in un tempo successivo questo diventa
indispensabile. Così registriamo diversamente i fatti, associamo parole e idee
in modo inconsueto, perché le esperienze mutano i colori della nostra identità.
Allo stesso modo ci sono scelte che allentano fino a sciogliere relazioni che sembravano
stabili e immortali. Ma non dobbiamo dimenticare che non contempliamo gli amici
dalla terraferma, come quando assistiamo alla proiezione di un film, perché
siamo tutti coinvolti dal medesimo movimento, implacabile, del mare
sottostante.
Un caro saluto,
Alberto
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