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Cor-rispondenze

lunedì 19 gennaio 2015

La democrazia fragile


 
Caro professore,
Una volta ho sentito dire da una persona, a parer mio, particolarmente saggia: «il più grande errore dell'uomo dopo l'invenzione delle religioni è stato l’invenzione della democrazia». Sorvolando ora sul fatto delle religioni, che non sono l’argomento della mia domanda in specifico, vorrei appunto concentrarmi sull' "errore" della democrazia. Di natura, personalmente, sono uno che si distacca abbastanza da tutto ciò che è ideologia. Da cittadino elettore, posso affermare che non mi riconosco in nessuno schieramento politico; ovunque si parla di corruzione, di lentezza dell'iter parlamentare che fa affondare il Paese, di persone assolutamente non qualificate che si trovano nelle Camere, a vivere senza vergogna sulle spalle dei pochi, ormai, cittadini onesti rimasti. Ora, senza andare troppo a fondo nel luogo comune, vado dritto al punto. La democrazia odierna, la democrazia che governa gli stati, è troppe volte fallace e manchevole. E lo è per sua stessa caratteristica e composizione. Spesso la massa mette al potere le capre, e queste eclissano il pastore che si ritrova impotente. Non mi si fraintenda: non è di certo la dittatura una cosa buona, ce lo insegna una storia lunga migliaia di anni. La politica è debole, è argomento da riviste di Cairo Editore ed è la fortuna di comici come Crozza. Sinceramente, temo che le cose non miglioreranno col passare del tempo; il grave problema è che la mia generazione, quelli che come me sono andati per la prima volta a votare nelle ultime elezioni, sta stufandosi. Ma sta stufandosi perché capisce come andare a fare il deputato sia diventato un gioco per campare, perché ormai vediamo facoltà come Scienze politiche un motivo per trovarsi un lavoro sicuro. Quando noi saremo adulti, come sceglieremo? Come foglie al vento? La mia generazione non ha una formazione politica, nemmeno basilare (e diciamolo, non piangiamo affinché ci sia data). Siamo diventati pigri, persino nel pensare a cosa votare, tanto che sono i genitori a dirci chi votare, e come farlo. È forse questo colpa della democrazia o della debole e misera indole umana? Grazie per l'ascolto, e scusi se le ho fatto perdere del tempo con questa mia.
Paolo, VB

Caro Paolo,
Eraclito, il grande e aristocratico filosofo di Efeso discendente da una famiglia regale, aveva sentimenti ostili verso la democrazia e optava per un governo di pochi uomini, ossia dei migliori, perché: «una cosa sola preferiscono i migliori a tutte le altre, la gloria eterna a ciò che è mortale. I molti invece vogliono saziarsi, come le bestie». La democrazia non è valida semplicemente perché è il “governo del popolo” o della “maggioranza”; sappiamo infatti che una maggioranza può anche agire contro una minoranza e comportarsi in modo dispotico. Il fatto che una maggioranza scelga un tiranno (come è spesso avvenuto nel Novecento) non è pertanto garanzia di buona sovranità. Anche Karl Popper in “La società aperta e i suoi nemici” segnala alcune derive possibili di un tale governo quando ricorda che «La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse». La democrazia non è tanto un “governo del popolo”, ma “per il popolo”, in cui chi governa si deve preoccupare di tutelare le minoranze e fare in modo che esse non subiscano sopraffazioni né ingiustizie. Una democrazia è tale se crea, potenzia e poi tutela le istituzioni politiche che garantiscono le pratiche democratiche e evitano la tirannide. Ovviamente, a livello nazionale e sovranazionale. Karl Popper ricorda che la democrazia si adatta bene ad un mondo in continua trasformazione, perché consente di “licenziare” i governanti senza spargimento di sangue. Pur conoscendo tutti i limiti dell’agire democratico - che anche tu rilevi e che aumentano il tuo attuale senso di sfiducia -, la democrazia è vantaggiosa sotto molti aspetti: pensa alla tutela della libertà, alla possibilità di esercitare la critica in un sistema democratico o in un sistema autoritario: nel primo puoi criticare i governanti, nel secondo assolutamente no. Inoltre, solo la democrazia fornisce ai cittadini i mezzi per controllare chi governa. Sono infatti le istituzioni democratiche a consentire la sorveglianza sui governanti e la trasparenza della politica. Ma soprattutto, tali istituzioni, nonostante le difficoltà, potranno permettere di regolamentare il potere economico in modo da evitare il potenziale sfruttamento dell’uomo sull’uomo. È solo a livello politico – e dunque democratico – che si può intervenire nell’economia. Mi sembra che anche Thomas Piketty, l’economista francese che ha indagato le disuguaglianze economiche tra Ottocento e Novecento, ritenga che la democrazia sia fondamentale per evitare lo strapotere dell'economia. Ne “Il capitale nel XXI secolo” (Bompiani 2014) scrive infatti l’autore: «Ma, a mio avviso, se si vuole riprendere davve­ro il controllo del capitalismo, non esiste altra scelta se non quel­la di scommettere fino in fondo sulla democrazia, soprattutto su scala europea». Scommettere fino in fondo sulla democrazia significa, secondo me, ritenere che solo la ragione, pur lenta, imperfetta, ma equilibrata e in grado di autocorreggersi, possa consentire di «ottenere riforme senza ricorrere alla violenza e anche contro la volontà dei governanti». "Pigrizia" e "indifferenza" dileguano più facilmente, quando comprendiamo a fondo qual è la posta in gioco da difendere.
Un caro saluto,
Alberto

lunedì 12 gennaio 2015

La ragione e il cuore


 
Caro Professore,
uno dei miei maggiori limiti da sempre è esternare le mie emozioni. Sono poche le persone che conoscono questo lato di me, perché tendo a "tenere tutto dentro" e nascondermi dietro la mia facciata di ragazza allegra e spensierata. In ogni caso, proverò a porle la mia domanda. Riguarda un pensiero tratto dalla raccolta di pensieri di Pascal, che Lei ci ha consigliato come lettura per le vacanze natalizie. Dice: "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce", è probabilmente uno dei pensieri più noti di Pascal, ma al di là della sua valenza filosofica, pensandoci su ho trovato un significato più "immediato". Come sappiamo, ci sono scelte in cui è meglio seguire la mente, altre in cui si preferisce seguire il cuore. Ho notato che il mio carattere razionale mi ha sempre indotta a scegliere la strada indicata dalla "mente", solo ultimamente mi sto rendendo conto che ascoltando il cuore, avrei preso decisioni migliori. In conclusione la mia domanda è: Esiste un modo di capire quale è la "vocina interiore" che è meglio ascoltare? C'è una strada "giusta" e una "sbagliata", o "tutte le strade portano a Roma"? La persona che mi ha aperto gli occhi è stato il mio attuale ragazzo, che ho sempre respinto per ascoltare quello che la mia parte razionale mi comunicava. Ma ora, a distanza di qualche anno, ringrazio davvero la me stessa che in un momento di perdizione ha ascoltato il cuore, perché se non fosse andata così probabilmente non avrei mai conosciuto la persona a cui, ora come ora, tengo di più.
Marta, IV A


Cara Marta,
Dovremmo chiederci quando abbiamo cominciato a pensare che le emozioni fossero dannose per la vita. Forse quando abbiamo fatto esperienza della loro intensità, della capacità di farci agire e reagire, superando i limiti ammissibili per conservare buoni rapporti sociali. Forse è da un tempo remoto che abbiamo cominciato a diffidare delle emozioni e a riconoscerne il carattere potenzialmente distruttivo. Sappiamo infatti che è preferibile decidere a “mente fredda” piuttosto che sotto l’impulso, e che è meglio stare alla larga dalle “teste calde” così come dalle persone “apatiche”. Gli antichi conoscevano perfettamente la pericolosità degli eccessi e dei difetti emotivi e ci hanno insegnato a diffidare di ogni intemperanza consigliandoci la “giusta misura”. Anche se sappiamo che in preda alle emozioni non siamo in grado di fornire valutazioni obiettive, non dobbiamo considerare che ragione ed emozioni siano incompatibili come l’acqua e l’olio. Il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio, ne L’errore di Cartesio (Adelphi, 1995) ci ha insegnato che emozione e ragione non sono né in conflitto né rigidamente separate, ma che le emozioni fanno parte del «circuito della ragione». Esse non sono di intralcio al ragionamento in quanto contribuiscono al processo del pensiero. Certo, egli ricorda che in alcune circostanze l’emozione può sostituire la ragione, perché il corpo attiva rapidamente un «programma di azione emozionale». La paura, ad esempio, in certe situazioni  permette di avvertire un pericolo e di sottrarsi ad esso prima di aver attivato la ragione stessa. Scrive pertanto Damasio che «gli esseri vi­venti possono agire in modo accorto senza dover pen­sare in modo accorto». L’evoluzione ha così consentito agli animali e all’uomo di tutelarsi senza troppa fatica da situazioni che non consentono i tempi distesi della riflessione. Poiché l’uomo deve essere considerato in maniera unitaria e non composto da parti irrimediabilmente separate tra loro, Antonio Damasio ha modificato la famosa e bellissima frase di Blaise Pascal che hai citato in questo modo: «l'organismo ha alcune ragioni che la ra­gione deve utilizzare». Infatti, quando dobbiamo prendere una decisione non solo cerchiamo razionalmente le possibili opzioni e ci rappresentiamo gli esiti futuri, ma attiviamo parallelamente il riferimento ad esperienze emozionali simili vissute in passato. Poiché possiamo anche tener conto di tali esperienze nel processo decisionale, le emozioni ci aiutano a considerare maggiormente le alternative, dunque contribuiscono al processo di ragionamento. Ci rendono per così dire più “ragionevoli”, impedendoci di continuare inesorabilmente in un percorso apparentemente logico, ma sterile. Antonio Damasio sottolinea efficacemente questo aspetto. Scrive infatti: «Quando l'emozione è completamente esclusa dal processo del ragionamento, come accade in alcune patologie neurologiche, la ragione si scopre essere ancor più difettosa di quando l'emozione si intromette nelle nostre decisioni, giocandoci i suoi tiri mancini». Allora non è vero che «tutte le strade portano a Roma», ci sono strade privilegiate e strade sbagliate. “Ascoltare la vocina” significa accogliere tutte le indicazioni che provengono dal corpo (o dal “cuore”) e attribuire loro la stessa importanza che riserviamo ai saggi suggerimenti che ci consentono di assumere più responsabilmente delle decisioni. Più ascoltiamo la componente del cuore e meno commettiamo errori. In altre parole (dal punto di vista interpersonale) facciamo soffrire di meno le persone con cui ci relazioniamo e (dal punto di vista intrapersonale) ci affliggiamo di meno. O, come nel tuo caso, semplicemente, viviamo meglio.
Un caro saluto,
Alberto