Mi faccio una domanda tante volte, ma non mi do una risposta: «io mi vedo in un certo modo, ma sono così
perché è quello che dovevo essere da principio o perché è stato ciò che mi
circondava a rendermi così?». A volte
ho paura di non essere davvero me stessa, in particolare davanti alle
situazioni più complicate, quelle che mandano in frantumi le mie certezze
confondendomi ancora di più le idee. Ma quando le acque si calmano penso: «e adesso…questo mi ha cambiata? No, no, sono
sempre la stessa»…o almeno è quello
che credo, perché non so riconoscere quando agisco per la mia volontà e quando
seguendo quella degli altri…Alla fine non sono sempre io che decido? Sia quando
decido di stare per conto mio sia quando decido di seguire gli altri. Non so se
c’è una differenza tra queste due cose, poiché non riesco mai a trovarla. Non
sento l’influenza degli altri, subito, lì sul momento, quando sto per compiere
un’azione…la vedo solo dopo, quando ciò che è successo diventa un ricordo, bello
o brutto fa niente, ormai è lì che vaga nella mente, e a quel punto inizio a
fare i conti con tutti i suoi difetti, ovvero ciò che avrei potuto fare meglio,
in modo diverso magari. E allora vedo l’influenza degli altri, soprattutto
delle persone che mi stanno più a cuore, quelle più presenti nella mente e nei
pensieri…eppure non posso dare la colpa a loro per i miei comportamenti, anche
se mi viene da chiedermi se comunque ne sono loro i responsabili.
Irene, IA
Cara Irene,
Quando rileggiamo i nostri comportamenti,
soppesiamo il vissuto, le situazioni conflittuali, l’assenso dato ad una
proposta, un giudizio espresso in una certa occasione, ricaviamo degli indizi utili
sulle modalità con cui abbiamo agito e cerchiamo di individuare i fattori che hanno
determinato pensieri e azioni. Meditando su quanto accaduto ci configuriamo
alternative differenti o cerchiamo di riconoscere ciò che ha indirizzato un
certo tipo di risposta. Ci interroghiamo su quale sarebbe stato il
comportamento ideale o su quanti individui abbiano influito nella nostra vita
emotiva nella costruzione della nostra personalità. Ci chiediamo pertanto quanta
autonomia c’era in una certa reazione, quanta consapevolezza e quanta incoscienza
si nascondevano dietro ad una scelta. Temiamo a volte di agire come automi
impersonali, un po’ anonimi, più rispondenti ai desideri degli altri che ai
nostri. In “Liberi servi. Il grande
inquisitore e l'enigma del potere” [2015] Gustavo Zagrebelsky, esaminando
il rapporto tra l’uomo e la legge, distingue tra “uomo-individuo” e “uomo-massa”.
Secondo l’autore, il primo «afferma la sua sovranità rispetto ad altrui
modelli di comportamento», mentre il secondo «corrisponde alle forze omologanti entro le quali egli crede
d'esercitare la sua libertà e, invece, la mette al servizio di strutture
relazionali che gli preesistono, sovrastandolo». A volte assumiamo il punto
di vista dell’altro non solo assecondandolo, ma inconsciamente, e solo
successivamente comprendiamo quanto è avvenuto. C’è sempre il rischio di essere
«liberi servi». Ma chi è il soggetto
che decide? Il filosofo contemporaneo Richard David Precht ha pubblicato un
libro intitolato “Ma io, chi sono? (Ed eventualmente, quanti sono?)” per
sottolineare la pluralità delle voci che costituiscono il soggetto che agisce. Diventare
autonomi è un processo lento e non necessariamente destinato al successo. Per
il semplice motivo che il “condizionamento”
sociale (genitori, ambiente, libri) è anche la “condizione” stessa (ossia il presupposto) per pensare, ed è per questo
che è difficile discernere esattamente se il grado di condizionamento suggerisca
o determini una scelta. Poiché desideriamo essere protagonisti delle nostre
trasformazioni, essere in grado di governarci e darci una direzione, vorremmo
collocare sullo sfondo ciò che proviene dalla storia, dalle abitudini e dalle
persone care di riferimento. Tuttavia, credere di poterci liberare da tutti i vincoli
per essere autenticamente noi stessi è illusorio. Dobbiamo rassegnarci: ci sono
suggestioni di cui siamo consapevoli e influenze che ignoriamo. Scegliere come indirizzare
la propria vita significa però decidere cosa accogliere, scartare o riadattare
della tradizione. Non esiste un io incontaminato che ci segue, come una scatola
nera che liberata dai sedimenti che la soffocano possa rivelare la propria vera
natura; esiste piuttosto un’idea della persona che vorremmo essere che ci guida
nella edificazione dell’unicità della vita. Un’idea che corrisponde a ciò che
ha valore per noi. Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau ne “Il contratto sociale” scriveva che «l’obbedienza alla legge che ci si impone è
libertà, e nessuno può rendere se
stesso schiavo». Per poter diventare liberi e non ridursi ad essere “liberi
servi”, perché non si riconoscono i vincoli o i presupposti che orientano le
scelte individuali, occorre vagliare quello che viene proposto e dare a se
stessi una legge. Non importa da dove arrivano i condizionamenti, seleziona quelli
che ritieni buoni e falli tuoi. La responsabilità di una condotta, sia che ad
essa abbiano contribuito in percentuale maggiore o minore le persone care con
cui condividiamo la vita, è tuttavia sempre soggettiva. Diventerai libera, allora,
perché invece di assecondare gli istinti o la tradizione ti muoverai intorno a
ciò che hai ritenuto valido per te. Così sarai certa di “essere davvero te stessa”. L’obbedienza ad una legge scelta è
un atto di libertà che genera autonomia.
Un caro saluto,
Alberto