Caro professore.
È stato abbastanza difficile scrivere questa lettera... Circa due anni
fa ho avuto un problema di cui oggi sinceramente non mi pento di parlare perché
è normale essere deboli: chi in un modo, chi in un altro, ognuno ha qualcosa
che un po’ lo manda in crisi. Io ho avuto un problema di anoressia dal quale
sono riuscita ad uscire non grazie all’aiuto di psicologi o dottori, ma
semplicemente a quello della mia famiglia e delle mie amiche, che sono
diventate per me ormai la seconda casa, il luogo in cui ripararmi in caso di
tempesta. Durante quel periodo di dolore e difficoltà, quando di fronte solo
alla parola cibo tremavo e i miei occhi si riempivano di lacrime, ho riflettuto
molto. Le domande che mi sono posta sono state molteplici, ma quella che trovo
più importante e a cui ancora non ho trovato una risposta non è quella che
tutti potrebbero immaginare: "per quale motivo ciò è successo", bensì
una che forse è sorta alla fine del problema come conseguenza dei gesti altrui…
Tutti siamo destinati a morire, chi prima, chi dopo, e tutti siamo destinati a
lasciare questo mondo indipendentemente da ciò che facciamo, dal nostro
comportamento, dalle scelte o dalle azioni. Allora mi chiedo: tutto ciò che
hanno fatto gli altri per me, aiutandomi in quel periodo difficile, svanirà
senza che nessuno lo ricordi? E io, lasciata questa terra, indipendentemente
dal fatto che mi ricongiungerò con Dio o mi reincarnerò in qualcosa di altro,
vivrò come se nulla fosse mai successo? Dimenticherò tutti i gesti e gli sforzi
che i miei genitori hanno fatto per salvarmi? Tutte le lacrime che hanno
versato e le preghiere che hanno fatto? Non riuscirò mai a onorare la loro
grandezza nemmeno con il ricordo e il grande amore che provo per loro? Resterà
almeno in me una traccia di quel ricordo? Come si può non spaventarsi sapendo
che tutto svanisce e si dissolve nella grandezza del mondo e alla fine del
battito del nostro cuore? Sto cercando, proprio per questo, di ringraziare in
qualsiasi modo tutti coloro che mi hanno aiutata, ma sempre, sapendo che tutto
svanirà, mi sento debole e ogni gesto mi risulta inutile.
Debora,
4H
Cara Debora,
Ci sono prospettive che fanno
apparire le nostre azioni insignificanti: quella del tempo della nascita
dell’universo o della comparsa della vita sul pianeta. Qualunque gesto nella
tessitura di una vita, tra miliardi di vite nello spazio e nel tempo e inserito
in una distanza temporale enorme può sembrare irrilevante. Il percorso individuale
rivela il suo carattere effimero, la Terra la sua marginalità, ogni gesto si
dissolve. La consapevolezza che ogni azione svanisce può farla apparire
inutile. Ma solo se considerata da distanze siderali. Se tutto diventa
inconsistente inserito in tali intervalli, è evidente che le unità di misura
della nostra vita debbano essere altre. Sperimentiamo, ancor prima di
comprenderlo con la ragione, che ci sono due tipi di amore: uno incondizionato
e uno condizionato. Il primo è quello dei genitori, che ci sostiene anche se
non abbiamo meriti. Eric Fromm ne “L’arte
di amare” scrive: «Non c'è niente che debba fare per essere amato — l'amore materno è
incondizionato. Tutto ciò che devo fare è essere — essere il suo bambino.
L'amore materno è beatitudine, pace, non ha bisogno di essere conquistato né di
essere meritato». Scopriremo poi che quello era l’unico amore integrale,
perché quelli futuri saranno sempre condizionati: dal nostro comportamento, dai
nostri valori, dalle scelte di vita. C’è un modo per “onorare la grandezza” dell’amore ricevuto? Chi, come te, è stato
fortunato a sperimentare fortemente l’amore della famiglia sa che il proprio debito con quell’origine non potrà
essere saldato. L’asimmetria non può essere compensata. Solo col passare degli
anni e mettendo insieme i pezzi della storia di chi ci ha preceduto riusciremo
a comprendere il significato di quell’essere
amati. L’amore ricevuto ci permette di crescere e di maturare la
convinzione che la nostra vita è importante, perché interessa a qualcuno. Attraverso
la forza che non si è allentata e non ha cessato di sostenerti hai avvertito
che la tua esistenza era un valore irrinunciabile, quando tu stessa non trovavi
valore in te e attorno a te. Se vogliamo, come dici tu, è una forma di
salvezza: siamo stati salvati in quanto non gettati o abbandonati nel mondo,
non storditi nei suoi rumori, nell’inconsistenza della mera sopravvivenza
naturale. Quel prendersi cura in modo ostinato della vita è un gesto enorme,
perché sappiamo che da un punto di vista etico l’amore non si può comandare. Però
si può scegliere. Anche Kant sapeva che l’amore non può essere un imperativo etico. Qualche tempo dopo di lui Max
Scheler dirà che a partire da quell’essere
amati si originano nell’uomo l’etica e la capacità di amare. Nell’opera “Il formalismo nell'etica e l'etica materiale
dei valori” l’autore scrive infatti che «L'amore custodisce in sé la
possibilità della vita buona».
L’amore vissuto diventa un’esperienza originaria che testimonia che è possibile
imparare ad amare e che l’amore ricevuto è condizione della bontà. La vita è un
misto di fragilità e di forza. I tuoi genitori ti hanno insegnato che i gesti rivolti
a sostenere quella fragilità non sono inutili. Quando comprenderai a fondo
quell’insegnamento avvertirai di non essere affatto debole. Gli uomini non
hanno l’energia per deviare il cammino delle stelle, ma talvolta possono proteggere
la vita. La bellezza sta proprio lì: sostenere l’origine e accompagnare il
cammino di una vita dà valore a chi genera e a chi è generato.Un caro saluto,
Alberto
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