Caro professore,
Da alcuni mesi a
questa parte l'Io più profondo che vive dentro me non riesce a darsi pace
riguardo alla situazione siriana e mi spiegherò meglio: le immagini e i filmati
diffusi in rete ci pongono, ogni attimo della nostra giornata, di fronte a una
situazione drammatica che forse, prima d'ora, non si era mai realizzata.
Certamente i periodi di guerra e la conseguente miseria degli uomini hanno
sempre fatto parte della storia dell'umanità, ma ciò che più mi turba è
l'atteggiamento dell'uomo occidentale, il quale posto dinnanzi a uno scenario
così terrificante in cui un suo simile, del tutto innocente e costretto ad
arrendersi alla Morte, non ha una minima reazione o un minimo senso di colpa.
Per cui mi domando, come è possibile che l'uomo sia giunto ad uno stato
d'indifferenza misto a odio così forte? Dove e quando l'uomo ha smarrito il suo
sentimento di fratellanza e solidarietà? È possibile auspicare un ritorno
dell'Umanità?
Isabel, 17 anni
Cara Isabel,
La scrittrice e
giornalista siriana Samar Yazbek, fuggita dalla Siria nel 2011 e poi tornata nei
luoghi della guerra per protestare contro il regime di Assad, in un libro molto
intenso e doloroso, “Passaggi in Siria”
(Sellerio 2017), sostiene che «la Siria
non sarà mai più la stessa: è stata impiccata, sbudellata, squartata». Non
ha espresso questo giudizio sull’onda delle ultime atrocità, ma sulle
efferatezze che hanno accompagnato questi anni di una guerra di cui abbiamo
quasi smarrito l’origine. Cominciata sette anni fa, nel 2011, come ribellione della
popolazione al governo di Assad, si è presto trasformata in un groviglio di
scontri in cui sono entrati in una trama complessa Stati Uniti, Russia, Iran e
Turchia, gruppi jihadisti ed estremisti di varia natura. A questo conflitto ci
siamo forse assuefatti, come succede un po’ per molti scontri che risuonano
come un’eco permanente nella nostra memoria. Per questo la scrittrice sprona gli
uomini dell’Occidente a non ridursi a passivi consumatori di notizie. Scrive Yazbek:
«Attraverso immagini efferate che fanno
di noi dei mostri indifferenti alla barbarie, la macchina mediatica globale
sforna aggiornamenti a getto continuo in modo che ogni vittima cancelli il
ricordo di quella precedente, generando una disgustosa familiarità con
l'atrocità e la vastità della morte. Consumiamo le notizie e poi le gettiamo
nella spazzatura» (209-210). È l’utilizzo delle armi chimiche ad aver
risvegliato in noi l’orrore. Perché il 7 aprile scorso il presidente siriano
Bashar al Assad ha usato tali mezzi nei confronti della popolazione, e pochi
giorni dopo Stati Uniti, Francia e Regno Unito sono intervenuti bombardando alcuni
obiettivi militari collegati probabilmente a tale produzione. Circa dieci anni
fa l’economista Jacques Attali, “consigliere speciale” del presidente
francese François Mitterand negli anni Ottanta, aveva scritto un libro dal
titolo sufficientemente inquietante “Breve
storia del futuro” (Fazi 2007) in cui immaginava gli anni a venire delle
relazioni mondiali. Egli sosteneva che «armi
chimiche saranno in grado di uccidere dei capi di governo senza essere
individuate, verranno innescate epidemie di massa a volontà, armi genetiche
complesse verranno un giorno dirette contro alcuni gruppi etnici in particolare».
Purtroppo tali armi sono state usate per eliminare parte della popolazione, anche
se bandite dal Protocollo di Ginevra del 1925 - dopo gli orrori della Prima
Guerra mondiale - e più recentemente abolite formalmente nel 1993. Gli ispettori
internazionali hanno appena compiuto un sopralluogo a Douma, la città in cui
si presume sia avvenuto tale attacco, per comprendere ciò che è successo. Se da
una parte i tempi dei meccanismi di controllo sono lenti – i rappresentanti del
Consiglio di Sicurezza dell’Onu si ritroveranno in Svezia per analizzare cautamente
i campioni prelevati in alcune aree della città –, dall’altra sentiamo il peso
morale di quanto accade alle persone che ancora vivono in quei luoghi. Samar
Yazbek scrive che «le loro sofferenze
sono la prova schiacciante della bancarotta morale dell'umanità» (212). «Bancarotta morale» è una definizione ferma
e mortificante che ci angoscia e ci scoraggia. Chiedi giustamente dove troviamo
la nostra umanità. L’uomo dell’Occidente l’ha conosciuta nel mondo greco, nel
cristianesimo, nell’umanesimo e nell’illuminismo. Rousseau e Schopenhauer hanno
persino elevato la compassione a fondamento della morale, mentre un secolo dopo
Hannah Arendt diceva che l’umanità veniva attivata dal pensiero («l'umanità di un individuo perde la sua
vitalità in corrispondenza con il suo astenersi dal pensiero»). Non so se
l’uomo abbia smarrito il suo «sentimento
di fratellanza e solidarietà» o se forse debba preoccuparsi di farlo
germogliare ad ogni generazione. Ogni epoca deve necessariamente rieducare e
rendere umani gli individui che si presentano. Chissà che di “aiuto umanitario”
non abbia bisogno proprio l’Occidente: un sostegno imprescindibile a sensibilizzare
le coscienze, una sorta di assistenza permanente per generare ed educare empatia
e partecipazione. L’aiuto umanitario allora non è solo il contributo materiale offerto
ad un paese in guerra, ma è anche il soccorso portato alle macerie interiori dell’uomo
contemporaneo che hanno prodotto un’anestesia della sua sensibilità, del suo grado
di condivisione e della sua capacità di protesta contro la barbarie.
Un caro saluto,
Alberto