Caro professore,
Da un po’ di tempo mi è sorto un dubbio. Parlando del libro Il piccolo principe di Saint-Exupéry mi
ha colpito in particolar modo questa frase: «L’essenziale è invisibile agli
occhi». Non riesco però a comprenderla in modo chiaro. «Essenziale» penso si
riferisca a qualcosa di unico, ma non riesco a capire come l’essenziale si
possa collegare all’invisibilità degli occhi. Spero che lei mi sappia dare una
risposta completa. Un saluto,
Francesco, 2a
Caro Francesco,
Proviamo a considerare almeno tre dimensioni di ciò che è
essenziale: relativamente alla conoscenza della realtà (ontologica), dell’uomo
(psicologica) e di Dio (teologica). Probabilmente concorderai sul fatto che –
anche ad uno sguardo attento – non tutto è visibile agli occhi. Ti sarà
capitato in una sera d’estate, magari in montagna, di trascorrere un po’ di
tempo a contemplare le stelle. Come tutti, sarai rimasto affascinato dalla
bellezza del cielo notturno, e avrai avvertito il desiderio di condividere quell’esperienza
con qualche amico o amica. Nel VII sec. a. C. Talete e una servetta di Tracia,
una sera, se ne stavano lì, a guardare lo stesso cielo. La servetta ha visto
quello che vede ogni uomo: incantevoli puntini luminosi nella volta celeste.
Talete ha visto ciò che ad occhio nudo non si manifesta: dietro quelle luci pulsanti
ha colto la regolarità matematica del cosmo. Per lui l’essenziale era ciò che non appariva direttamente agli occhi.
Platone, che nel Teeteto ci ha
raccontato questa storia, sostiene che i sensi in fondo forniscono informazioni
approssimative, mentre l’intelletto è in grado di cogliere gli oggetti eterni
e, per così dire, invisibili della matematica. Infatti, gli uomini scrutano con
i sensi il mondo che si presenta loro, ma poi fanno anche cose strane:
costruiscono aerei pesantissimi che volano nel cielo e atterrano senza
frantumarsi in mille pezzi, e fabbricano navicelle spaziali che vanno sulla
Luna e poi tornano incredibilmente indietro. Questo perché lavorano su una
dimensione essenziale di tipo diverso.
Potremmo dire che guardare e vedere sono due azioni diverse: si
guarda con gli occhi e si vede con il pensiero. È la teoria che permette all’uomo
di vedere più lontano. Platone, per dire, ha scritto moltissimo su questa
tematica perché veniva matto per questa realtà. Per ora ricorda questo punto:
“la teoria permette di vedere”. Ma il nostro caro Saint-Exupéry, con quella
bella frase non era probabilmente interessato solo a questa dimensione. Si
riferiva soprattutto ad una particolare prospettiva che consente di affinare lo
sguardo sulla comprensione degli uomini. Una sorta di angolazione dello sguardo
o meglio del pensiero che ha una storia lunghissima e che già nei Salmi è
chiamata «sapienza del cuore» («Dio, insegnaci i giorni a contare, a cercar
la sapienza del cuore», Salmo 90). Blaise Pascal ha declinato questa idea
con l’espressione: «ésprit de finesse»,
spirito di finezza, ossia intelligenza
del cuore. Questo concetto è poi stato ripensato dalla psicologia contemporanea
e tradotto con la locuzione: «intelligenza
emotiva» (Daniel Goleman). In un vecchio dizionario di proverbi italiani ho
trovato questa massima: «Molti san tutto
e di se stessi nulla». Molti conoscono le cose e ignorano se stessi. Ecco,
credo che ciò che è essenziale abbia a che fare con un sapere di sé che non è
esattamente visibile all’esterno. La vista non esaurisce la complessità di un
oggetto o di una persona. Occorre che il pensiero e i sentimenti svelino ancora
altri aspetti. Quando siamo tra persone sconosciute i nostri occhi non colgono
le relazioni affettive tra i presenti. Eppure quell’affettività esiste, anche
se non si manifesta immediatamente. Quando si entra in una nuova classe o in
gruppo sportivo, le persone paiono un po’ tutte uguali. All’inizio ignoriamo ciò
che le unisce, ma il legame è consistente, anche se misterioso. Ad un estraneo
ciò che nutre e amalgama la relazione tra i tuoi nonni è oscuro e
inaccessibile. Egli vede un uomo e una donna anziani, ma non conosce il
profondo legame costruito negli anni. Solo ascoltando la loro storia ciò che
era invisibile comincia gradualmente ad apparire. Spesso ciò che è essenziale non
si mostra ai sensi e richiede una conoscenza più profonda a cui si ha accesso
solo con il tempo. Per questo la volpe dice al Piccolo Principe: «È il tempo che tu hai perduto per la tua
rosa che ha fatto la tua rosa così importante». Il tempo, la cura, il
desiderio, l’attenzione generano sentimenti che sono essenziali e nello stesso tempo invisibili all’esterno. Ti dirò di
più: se ami i tuoi nonni, i tuoi genitori, un tuo compagno, la tua fidanzata
riesci a capirli di più. Anche quando litighi con loro, ad un certo punto sei
in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è
imprescindibile da ciò che è superfluo. E questo è il secondo punto: anche “l’amore
permette di vedere l’essenziale”. Manca
il terzo. Quest’ultima dimensione mi viene in mente quando Aurelio Agostino nel
Commento al Vangelo di Giovanni dice
che «la Sapienza di Dio è invisibile agli
occhi umani». Già, alla fine rimane anche il mistero dell’esistenza. E per
qualcuno Dio rappresenta una dimensione invisibile, ma essenziale. Per chi crede, anche “la fede permette di vedere l’essenziale”.
Un caro saluto,
Alberto