Caro professore,
sono stata in Egitto questa estate e ho comprato delle rose di Gerico. La rosa di Gerico mi stupisce sempre tanto. Una pianta secca che sta ferma, brutta, in un solitario deserto per mesi, anni e aspetta assetata una fonte di acqua e quando questa arriva lei fiorisce, splende di bellezza. E questo avviene nella purezza, nell’acqua pura, limpida. Un corpo non puro non può risplendere e fiorire. Questa sua fioritura può essere paragonata ad una vera e propria rinascita, e noi ogni giorno possiamo rinascere, a parere mio ogni giorno possiamo decidere se vivere o, meglio, rivivere o no, se splendere o no. E se farlo nell’acqua limpida o in quella sporca. C’è una frase che mi riporta a questa riflessione: «chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te» di una canzone di Max Pezzali. Spesso noi deserti siamo oscurati da noi stessi e non vogliamo che gli altri fioriscano più di noi. E secondo lei, si può rivivere ogni giorno?
Martina, IA
sono stata in Egitto questa estate e ho comprato delle rose di Gerico. La rosa di Gerico mi stupisce sempre tanto. Una pianta secca che sta ferma, brutta, in un solitario deserto per mesi, anni e aspetta assetata una fonte di acqua e quando questa arriva lei fiorisce, splende di bellezza. E questo avviene nella purezza, nell’acqua pura, limpida. Un corpo non puro non può risplendere e fiorire. Questa sua fioritura può essere paragonata ad una vera e propria rinascita, e noi ogni giorno possiamo rinascere, a parere mio ogni giorno possiamo decidere se vivere o, meglio, rivivere o no, se splendere o no. E se farlo nell’acqua limpida o in quella sporca. C’è una frase che mi riporta a questa riflessione: «chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te» di una canzone di Max Pezzali. Spesso noi deserti siamo oscurati da noi stessi e non vogliamo che gli altri fioriscano più di noi. E secondo lei, si può rivivere ogni giorno?
Martina, IA
Cara Martina,
Ci sono almeno due dimensioni di quella che tu chiami fioritura: quella fisica e quella psichica.
Non sono necessariamente opposte. Di solito la prima è la premessa anche per la
seconda, ma non saprei stabilire una priorità. Talvolta è la rinascita fisica
che consente di fare pulizia nei pensieri: dopo un’operazione chirurgica,
infatti, la persona ristabilita rielabora la gerarchia di ciò che è più importante.
Talvolta è invece a partire dall’adesione a nuovi valori a cui decidiamo di conformare
il nostro agire che il fisico può trovare giovamento. E se penso alla tua rosa
di Gerico che vaga da un terreno all’altro in cerca di vita, mi vengono in
mente le infinite rose di Gerico che hanno attraversato anche solo il
Mediterraneo nel corso dei secoli per superare lande desolate e inospitali. Rinascere
e ricominciare sono per tutti obiettivi da conseguire, affinché la vita non
appassisca o si spenga definitivamente. Dalla Grecia all’Italia, da Roma
all’Egitto, dall’Asia alla Turchia, dall’est all’ovest dell’Europa, dall’Africa
alla Sicilia e dalla Sicilia all’Africa, dalla Scandinavia, dalla Danimarca e
dalla Germania al sud Italia e dal sud Italia al nord Europa. Dalla Francia e
dalla Spagna nel nostro Paese e viceversa, ma anche dall’Europa alla Libia e al
Marocco e viceversa. Una trama fitta di scambi ha legato le sponde opposte
dell’Adriatico così come del Mediterraneo. Per trovare una terra ospitale, confortevole,
che custodisse la vita, la memoria e delle storie. La rosa di Gerico è metafora
dell’uomo nomade sulla Terra, migratore nella sua essenza. Mi ha pertanto colpito
una piccola (grande) vicenda che lo scrittore Maurizio Pagliassotti ha narrato in Ancora dodici chilometri (Bollati-Boringhieri 2019) per mettere in
luce le difficoltà e le peripezie dei migranti che dalla Valsusa cercano di
giungere in Francia. Egli scrive: «Siamo
solo una strana coppia che viaggia, in un mondo assuefatto e distratto. Penso a
John, chiuso dentro al bagagliaio piegato nella sua posizione primordiale,
speranzoso che tra pochi minuti potrà rinascere in una nuova vita. Io John non
lo conosco, un estraneo che però, oggi, rappresenta un intero mondo che
comprende anche me». Quella narrata è una storia vera, ma è bella e utile anche
nel suo significato simbolico. Immagino questo ragazzo, John, chiuso nel
bagagliaio dell’auto – come la tua rosa di Gerico chiusa e sospesa nel vento – ansioso
di trovare un luogo anche se non del tutto ospitale
almeno non respingente, e a tutti gli altri giovani immigrati chiusi come rose
di Gerico, stipati nelle barche o nei bauli di auto, in cerca di terre in cui
possano riannodare il filo con una vita interrotta da lunga apnea. Vita fisica
e poi psichica o forse al contrario, a partire dall’accoglienza sociale e
dunque psichica una rinascita fisica. Dice bene quella storia, oggi l’estraneo
«rappresenta un intero mondo che
comprende anche me». A partire da quell’episodio penso in primo luogo che
ognuno di noi nel suo viaggio sulla Terra custodisca nel proprio bagaglio – nella propria coscienza – la
potenziale fioritura di un altro essere umano, fisica e psichica, e ne sia
responsabile: ognuno di noi è chiamato a vigilare affinché anche la vita del
prossimo – che comprende anche la nostra – sia difesa, tutelata, assistita e
garantita perché, come dice la canzone che hai scelto, solo chi ha un deserto
interiore può impedire la fioritura di un altro uomo; e in secondo luogo penso
che forse un po’ tutti noi, nel corso dell’esistenza, ci muoviamo nel mondo, su
mezzi di trasporto gremiti, in mezzo alla folla delle piazze o dei luoghi di
lavoro, ma sempre un po’ nella nostra «posizione
primordiale», confidando che da qualche parte, ma soprattutto grazie a
qualcuno, riusciremo a riguadagnare la nostra forma autentica e ad aprirci; che
dopo tanto peregrinare potremo trovare la fiducia e l’amore sufficienti per
riprendere a sperare e a vivere, affinché dalla posizione primordiale possano dischiudersi
un uomo e una donna autentici. Fuggire da ciò che è arido e inospitale è
necessario. Ognuno è però responsabile della fioritura di sé e di quella di chi
gli sta accanto. «Rivivere ogni giorno»
è possibile, ma impegnativo. Per «splendere»
occorre lavorare, per non rischiare di diventare «strane persone» che girovagano
assenti in un «mondo assuefatto e
distratto».
Un caro saluto,
Alberto
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