Nella sentenza 146 contenuta in “Al di là del bene e del male”, Nietzsche scrive: «se tu scruterai a lungo in un abisso, anche
l'abisso scruterà dentro di te». Che cosa significa esplorare un abisso? La
parola abisso deriva dal greco: «byssos»
significa «fondo» e il prefisso
negativo «a» nega il vocabolo. Dunque,
l’abisso è letteralmente qualcosa che non ha fondo («a-byssos»). Ora, perché scandagliare ciò che non ha fondo può ripercuotersi
– magari negativamente – sulla persona? Il filosofo è chiaro: gli effetti non
vengono avvertiti da chi sbircia frettolosamente, ma da chi scruta a lungo: insomma,
gli individui superficiali non sembrano essere soggetti a rischio. Nella
psicologia e nella filosofia si sono aperte almeno due strade interpretative. Il
grande psichiatra Eugenio Borgna, nella sua straordinaria delicatezza narrativa,
riferisce esperienze di depressione molto dolorose, quelle che sembra non abbiano
fine. Nel libro “L’ascolto gentile”
(2017), parlando di una donna di nome Francesca, scrive: «Quando la incontrai, l’angoscia dilagava nel suo volto talora percorso
dal lampo di un sorriso fragile e fuggitivo che si spegneva. La rivedo nella
sua grazia ferita, e mi domando come abbia potuto reggere il confronto con lei,
con il suo dolore, con la sua sventura, con le sue parole e con il suo
silenzio, nel corso di dodici mesi scanditi da colloqui, da telefonate, da
e-mail, che mi portavano ogni volta sull’orlo di abissi senza fondo nei quali
lei avrebbe potuto precipitare: recidendo la sua vita, e lasciando ferite anche
nella mia». L’autore afferma che la contiguità prolungata con l’immensità
del dolore altrui è in grado di contagiare e scandagliare in profondità anche
la sensibilità del terapeuta, «lasciando
ferite» anche in chi si avvicina
per porgere aiuto. Così, è noto che dopo una lunga esposizione alla sofferenza,
medici, psichiatri e psicologi possono correre dei rischi, poiché, per eccesso
di empatia, possono essere «divorati»
dalla pena dell’altro. Borgna ha sperimentato su se stesso tale condizione: «Certo, non veniva mai meno la mia attenzione
alle cose che ascoltavo, la mia emozione, la mia angoscia: quando una persona
cammina sull’orlo degli abissi anche la persona che l’accompagna rischia di
essere contemporaneamente divorata dagli stessi abissi di angoscia, e
disperazione». Per questo anche i professionisti, che si occupano di coloro
che stanno affrontando una malattia o ad essa si sono stancamente arresi, hanno
bisogno di sostegno, perché un’eccessiva esposizione al male li può piegare: l’abisso
inghiotte, la sofferenza si espande, l’angoscia dilaga. Sul versante filosofico
l’esperienza dello sgomento per il vuoto non proviene (solo) dai meandri del
supplizio interiore, ma dalla perdita di un punto di appoggio per le proprie certezze.
Blaise Pascal constata che l’uomo cerca di colmare il proprio desidero di
infinito con oggetti finiti, e afferma che tale tentativo è fallimentare,
perché l’aspirazione all’infinito che l’uomo scopre dentro di sé può essere
colmata solo da Dio («quell’abisso
infinito può esser colmato soltanto da un oggetto infinito ed immutabile»).
Un’idea che condivide anche Spinoza, ma da una prospettiva diversa: se per Pascal
il Dio che riempie l’abisso dell’animo umano è il dio del Cristianesimo – un
dio di amore e di consolazione –, per Spinoza quel Dio è la struttura
matematica della realtà e solo la comprensione di tale intelaiatura può fornire
un fondamento saldo per la felicità dell’uomo. Entrambi hanno trovato un «byssos», un fondamento che li ripara
dall’assurdo. Un paio di secoli dopo, Nietzsche constata invece che le certezze
dell’uomo sono basi fragili ed effimere, supporti traballanti pronti a
incrinarsi facilmente nel corso del tempo, perché nascondono spesso convenzioni
e abitudini, paure e bisogni molto umani. E se sotto ogni fondo si spalancasse
ancora un abisso, le certezze fossero costantemente scalfite e l’uomo non
trovasse più punti di riferimento stabili per il proprio agire? Gli uomini
vagherebbero senza meta, insicuri, perché confonderebbero convenzioni con
verità, tradizioni con certezze. La prospettiva di Nietzsche è pertanto più
inquietante e dolorosa. Egli è persuaso che l’uomo non approderà mai a certezze
definitive e che ci sia «dietro ogni
caverna una caverna più profonda», o meglio: «un abisso sotto ogni fondo». È questa consapevolezza che può
destabilizzare l’uomo, perché lo colloca in alto mare sprovvisto di punti di
riferimento sicuri. Da questa riflessione può essere sconvolto e avvertire che
l’abisso “scruta” dentro di lui e che anche la scienza non lo salverà, come ha
scritto Bertolt Brecht nella “Vita di
Galileo”, ove afferma: «E quando,
coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non
sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può
scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro “éureka rischierebbe di rispondere un grido di
dolore universale». Il Novecento ha capito presto che alcune invenzioni non
hanno portato progresso ma distruzione di massa. Più esaminiamo le nostre
accurate certezze più siamo consapevoli che possiamo sempre sprofondare: più
guardiamo l’abisso più siamo destabilizzati e la voragine che si apre sotto i
nostri piedi non si lascia colmare da alcuna ingenuità.
Un caro saluto,
Alberto