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Cor-rispondenze

domenica 31 maggio 2009

L'angoscia della scelta


Caro professore,


Kierkegaard parla della sensazione paralizzante delle possibilità umane... tutto è determinato dalle nostre scelte, e proprio ora ci ritroviamo davanti alla più paralizzante di tutte le decisioni: che fare della nostra vita? Qual è la scelta giusta? Fare l'università che davvero mi interessa correndo il rischio di non trovare lavoro o scegliere il nostro futuro in vista dei posti lavorativi disponibili?
Vale a dire, una scelta basata sulla passione o sulla sicurezza?
Tenendo conto che spesso ci si ritiene senza interessi, non si riesce a capire cosa davvero ci appassioni, cosa potrebbe appassionarci per tutta la vita. Inoltre Nietzsche ci sprona a fare della nostra vita ciò che realmente vogliamo, ma io trovo troppo difficile deludere le aspettative che la famiglia e la società hanno su di noi, e sicuramente questa scelta richiede smisurato coraggio. Una persona nasce, va all'asilo, alle elementari, alle medie, alle superiori, all'università, trova lavoro, mette su famiglia, e muore. E’ paralizzante pensare di poter uscire dei binari, dove si può trovare la forza? Lo so, sono tante domande, ma può rispondere a quella che più le interessa.

Francesca



Kierkegaard quando descrive la vita non descrive un’esistenza astratta, ma descrive le difficoltà e le perplessità ricorrenti della propria: “Io mi trovo qui esitante come Ercole; non si tratta di un semplice bivio, ma di un incrocio di vie che s'irradiano in tutti i sensi. Ecco perché è tanto difficile imbroccare la giusta. E’, forse appunto la disgrazia della mia esistenza, l'interessarmi a troppe cose, senza arrivare mai a nessuna decisione: nessuno dei miei interessi [spirituali], nessuno è subordinato all'altro, ma tutti si tengono per mano” [Diario].
Capita così anche a noi: teniamo “per mano” tanti interessi, perché non sappiamo esattamente – come tu affermi - “cosa potrebbe appassionarci per tutta la vita”.
Ognuno ha le proprie ragioni: la famiglia le sue preoccupazioni e noi le nostre aspirazioni. In qualche modo tutti abbiamo ragione. Però le nostre opinioni fanno riferimento al nostro modo di sentire. A un certo punto il conflitto della scelta che prima era vissuto solo interiormente, come indecisione tra ciò che ci piaceva e ciò che ci piaceva di più, adesso allarga i propri contorni. I nostri interessi non coincidono sempre con quelli dei genitori. Il punto di vista è diverso. Ci sono buone ragioni da ogni parte, ma le ragioni non si equivalgono; e si aprono allora nuovi spazi per la riflessione: il conflitto da intrapsichico diventa interpersonale. Attraverso una contrapposizione reale (spesso conflittuale) e argomentata delle nostre motivazioni però impariamo ad esplicitare i vantaggi e gli svantaggi delle diverse prospettive e, grazie a questo chiarimento, potremo fare delle scelte consone ai nostri bisogni. Qual è la posta in gioco? La nostra vita futura. Allora dobbiamo ascoltare prudentemente le ragioni dei genitori, perché ci presentano soluzioni che, a volte, o per impulsività o per mancanza di conoscenza non avevamo considerato. Dopo aver pensato molto, però, dobbiamo abbandonare le giustificazioni degli altri e valutare quelle che realmente ci appartengono: dobbiamo discernere attentamente tra ciò che è semplice curiosità momentanea e i nostri interessi autentici. Dopo aver ascoltato varie opinioni dobbiamo canalizzare le nostre energie per collocarci nella dimensione della realizzazione della nostra vita, seguendo il nostro demone: abbiamo il compito di garantire a noi stessi l'onestà verso ciò che ci appassiona. Non dobbiamo soffocare le nostre passioni, altrimenti devitalizziamo la nostra vita. Rimuovere aspirazioni e bisogni produce frustrazione. Non esistono decisioni giuste o puramente razionali. Dobbiamo tenere conto della nostra natura che ovviamente è complessa e spesso ci presenta tendenze ambivalenti. Lo psicanalista statunitense James Hilmann scrive che: “Il carattere è caratteri; la nostra natura è una complessità pluralistica, una trama multifasica e polisemica, un fascio, un groviglio, una cartelletta piena di fogli. […]. Mi piace immaginare la nostra psiche come una pensione piena di ospiti. Ci sono quelli che si presentano puntuali e seguono le regole della casa, e altri, anch'essi ospiti fissi, che se ne stanno chiusi in camera o si fanno vedere solo di notte; e può darsi che questi e quelli non si siano mai incrociati” [La forza del carattere, 2001]. Dobbiamo saper ascoltare tutti gli ospiti che abitano la pensione della nostra mente, prima di decidere.
L’esistenza è costituita dalla dimensione del progetto per il nostro avvenire. Quando le alternative sono molteplici sentiamo la difficoltà di incanalare la nostra vita. In questo periodo senti maggiormente la responsabilità della scelta, ma come hai detto tu, citando il filosofo danese, la scelta non è un evento raro nella vita. È invece la dimensione costitutiva del soggetto umano; ogni scelta separa, esclude, prospetta alternative e apre nuovi scenari.
Vorrei dirti che prima di decidere è importante decifrare.
Decifrare i propri bisogni, che cosa dà serenità e senso alla vita. È importante comprendere i processi dinamici che si muovono dentro la psiche e che attivano la motivazione. Dobbiamo liberarci dall’idea che dal conflitto occorra affrancarsi rapidamente. Se, come dici tu, la vita è una continua scelta, il conflitto è permanente e saremo chiamati comunque a decidere continuamente. È vero che la scelta della scuola sembra condizionare maggiormente la nostra vita, perché esclude molte possibilità che non potremo più realizzare, ma credo che tale scelta debba andare nella direzione della responsabilità. Siamo noi responsabili del nostro futuro e saremo noi a rispondere delle nostre scelte. Non dobbiamo consegnare la nostra vita ad una valutazione esterna, a significati estranei alla nostra natura. Potremmo dire - con un paradosso - che ciò che ci porta a decidere è qualcosa di decisivo, che prima o poi emergerà nella nostra mente; e che ogni scelta decisiva deve avvenire dopo una lunga fase di decifrazione.
Dobbiamo lasciare un maggiore spazio alla nostra voce interiore, lasciare che tutte le parole che abbiamo ascoltato, dopo aver risuonato a lungo dentro di noi, gradualmente, scompaiano per consentirci di avere la giusta visione della nostra natura. Non siamo nel mondo solo per raggiungere obiettivi, ma per vivere una vita buona, perché – come dicono gli antichi – da una vita buona discende una vita felice. Il futuro porta in sé l'imprevisto e quindi ogni decisione che riguarda il futuro ha la forma della scommessa, forse dell'azzardo. Prendendo una decisione diamo una regola al nostro percorso, diamo una forma alla nostra vita. Chi sarà responsabile dei nostri fallimenti o dei nostri successi? Non possiamo poi attribuire agli altri l'esito del fallimento o dell’infelicità. Viviamo in questo conflitto profondo che non riusciamo ad eliminare: sentiamo contemporaneamente la nostra fragilità e la nostra debolezza. A volte non siamo così sicuri che le nostre convinzioni possano condurci alla felicità. Non dobbiamo dare una risposta agli altri, dobbiamo lavorare per comprendere qual è la nostra strada, qual è l'ampiezza delle possibilità che scaturiranno dalla nostra scelta e quali prospettive verranno aperte. Seneca scriveva che “Tra le cause dei nostri mali c'è il fatto che viviamo imitando gli altri e non ci regoliamo secondo la ragione, ma ci lasciamo trascinar via dalla consuetudine. Quello che non vorremmo fare se lo facessero in pochi, quando molti hanno iniziato a farlo, lo approviamo, come se una cosa diventasse migliore perché viene fatta più spesso; e l'errore, quando è diventato generale, occupa per noi il posto del vero” [Lettere a Lucilio].
Il lavoro non è che una parte della vita, però è una parte importante. Sarebbe bello essere soddisfatti della propria scelta, perché passiamo molte ore al lavoro. Tu dici che occorre decidere tra conformismo e passione; ma tutto questo è anche il risultato di un processo iniziato tanto tempo fa e che si è articolato, in parte, anche nella scuola, e ha lasciato in te una traccia, un gusto, un'idea da seguire. Il tuo demone – direbbe Socrate - non ti inganna. Le cose che ti fanno stare bene a livello fisico e psichico devono essere ricercate, ripetute. Dobbiamo immaginare la nostra vita a distanza di tempo, nel lavoro, nell'amore, in una nuova famiglia, con dei bambini, perché pensare al modello di vita che desideriamo, è un modo per chiarire che cosa vogliamo da noi. Poiché il futuro esercita una grande forza su di noi, come una potente calamita ci attrae e ci spinge in avanti, allora ascoltiamo pure tutti i suggerimenti, ma lottiamo per abitare il futuro che abbiamo immaginato.
Dopo aver osservato bene le caratteristiche della nostra vita dobbiamo decidere dell’importanza che essa deve avere nell’insieme; per fortuna “l’essere costretti – diceva Kierkegaard - “è l’unico aiuto della finitezza”. Il nostro animo che ha sete di infinito se non fosse costretto sarebbe sempre perso da qualche parte e incerto su tutto. Dobbiamo pensare se un certo tipo di studio o di lavoro contribuisce a realizzare meglio la nostra vita. I filosofi esistenzialisti ci ricordano che decidere è un decider-si, un determinare ciò che diventeremo nel tempo. Allora dobbiamo prenderci cura di noi stessi nell’orizzonte di ciò che per noi ha più valore e rende la vita degna di essere vissuta.


Un caro saluto,

Aberto

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