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Cor-rispondenze

lunedì 9 novembre 2009

La passione d'amore


Caro professore,

A volte mi capita di non riuscire a capire, a definire quello che provo per le persone a cui tengo, e come si fa a stabilire con certezza il punto in cui non si tratta solo più di affetto o di una profonda amicizia, ma di qualcosa di più. Sono quasi quattro anni che trascorro la maggior parte delle mie giornate con una persona di cui mi accorgo di non poter più fare a meno: ridiamo, parliamo, ci raccontiamo i nostri problemi e le nostre esperienze, siamo complici in tutto. Spesso, manifestandogli il mio affetto, mi sono chiesta se i sentimenti che provo per lui non siano quelli che si hanno verso un semplice compagno di scuola o vanno oltre e quello che ci lega sia qualcosa di più profondo. L'unica cosa di cui sono sicura è che non c'è momento della giornata in cui non sia nei miei pensieri: per me è un punto di riferimento, una certezza sulla quale so di poter contare costantemente: ho sempre bisogno della sua presenza, ma anche della sua approvazione in ogni mia scelta. Non posso dire di essergli amica, ma allo stesso tempo nemmeno di essere innamorata, al contrario di lui: è forse proprio il fatto che mi manifesti così apertamente i suoi sentimenti che rende così difficile definire i miei e quale sia il confine tra amicizia e amore; si escludono a vicenda o si possono considerare l'uno e il punto di partenza dell'altro?Ogni riferimento a persone e/o cose è puramente casuale!!!
Alessia


Cara Alessia,
La persona che amiamo è una persona di cui ci accorgiamo di “non poter più fare a meno”; ci sentiamo legati a lei, e “capita di non riuscire a capire, a definire quello che si prova”. I nostri pensieri rimandano continuamente alla sua presenza, l’ideazione ci restituisce la sua immagine, nelle decisioni sentiamo la necessità della sua partecipazione, e da lei non riusciamo a congedarci facilmente, perché è già in noi non solo come figura immaginata o idealizzata, ma come parte della nostra interiorità, come elemento rinnovatore e rivoluzionario della nostra vita. Così diventa anche “punto di riferimento” e “certezza”. Infatti, scrive Platone nel Simposio: “Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l’uno dall’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provino una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. (Platone, Simposio, Feltrinelli, 2001).Dunque gli amanti hanno cose da dire che non riescono a dire, e perciò parlano in modo enigmatico, sfuggente e spesso impenetrabile. E qui si comprende che il discorso amoroso comincia proprio perché fallisce il discorso razionale. Il discorso razionale è stabilito dal principio di identità e dal principio di non contraddizione. Noi parliamo e pensiamo seguendo questi due principi. Platone ha insegnato questo. Ma il discorso razionale è solo una piccola parte di noi. Platone scrive infatti che: “I beni più grandi ci vengono dalla follia naturalmente data per dono divino”, e intende questa follia non come deragliamento della razionalità, ma come lo sfondo “enigmatico e buio” da cui si origina la razionalità. Lo sfondo che ci abita non è “irrazionale”, ma pre-razionale, ed è chiamato da Platone divino, tanto che Platone dice: “La follia dal dio proveniente è assai più bella della saggezza d’origine umana” (Platone, Fedro). Questa componente pre-razionale è dunque lo sfondo indistinto, irrazionale da cui l’umanità si emancipa grazie alla ragione. Il divino che ci abita è il non differenziato, l’incoerente che è presente in noi. La ragione poi decide, e nel decidere (de-caedere, tagliare) stabilisce il significato delle cose, abbandona i significati prossimi e affini di ciò che è indeterminato e oscuro. E la ragione diventa lo strumento per arginare la nostra parte irrazionale, per contenerla.Platone dice che l’amore è intermediario (metaxỳ) tra uomini e dei, ossia tra la nostra parte razionale e quella irrazionale, folle.In termini psicologici possiamo dire che è il mediatore che consente al nostro inconscio folle di parlare alla nostra parte razionale, e alla nostra parte razionale di parlare al nostro inconscio folle. È molto importante il dialogo tra la nostra dimensione razionale e quella folle. Ci sono persone che da sole si perdono nella follia e dalla follia non riescono a ritornare nella comunità degli uomini, e ci sono persone che non vogliono uscire dalla parte razionale e così però rinunciano alla possibilità del loro rinnovamento. Ed è per questo che ci vuole un mediatore per il dialogo tra queste due componenti e questo mediatore si chiama Eros.Prima di giungere alla casa di Agatone, Socrate ha un attacco di atopía. I suoi amici lo sanno, perché è una cosa che gli accade sovente e lo lasciano stare; attenderanno che si congiunga a loro più tardi. Atopía qui può essere intesa come dislocazione dalla parte razionale a quella pre-razionale o divina, infatti Socrate, quando parla delle cose d’amore, parla di “possessione” e dice il filosofo Umberto Galimberti, “Per questo l'amore di cui parla Socrate non ha la forma di un sentimento umano, ma quella più inquietante della possessione (katokoché) di un dio. L'entusiasmo che genera, lungi dall'essere un sentimento di esuberanza o di particolare eccitazione, dice che l'uomo in quella circostanza è abitato da un dio, ha dentro di sé un dio (éntheos), per cui non è l'lo razionale a proferir parola, ma il dio che lo possiede”. E più avanti scrive: “Amore, infatti, non è qualcosa di cui l'Io dispone, ma semmai è qualcosa che dispone dell'Io” (Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli 2004).Socrate, che è colui che dice di non sapere, di una cosa però si dice esperto, ossia delle cose d’amore. E chi glie le ha insegnate? Una donna, una sacerdotessa: Diotima di Mantinea. Cosa gli ha insegnato? Che amore è figlio di PENÌA e di POROS. Penìa è la mancanza e Poros la via, il passaggio. Questa genealogia di Eros è presente solo in Platone, perché la mitologia greca prevedeva come genitori di EROS, Afrodite e Ares, la divinità della sessualità e dell'aggressività, della guerra. Freud si rifà alla mitologia greca, infatti assume Afrodite (sessualità) e Ares (aggressività, distruttività) come le pulsioni fondamentali dell'inconscio. Mentre per Platone Eros deriva dalla mancanza, dalla nostra incompletezza e da Poros, il passaggio, che prevede il collegamento tra la parte razionale dell’uomo e la sua parte folle (divina). In questo senso l’amore è una relazione con l’altra parte di noi stessi, e avviene per un cedimento dell’io, ossia quando la ragione capitola e soccombe consentendoci di liberare una parte della follia che ci abita. Nell’amore l’io si deve dissolvere per rinascere, e ogni volta che si risveglia l’amore vengono continuamente spostati i confini dell’io. Galimberti scrive parole molto belle a questo proposito: “L'avvinghiarsi al corpo dell'altro, prima di un contatto, è dunque una presa. Per il solo fatto di esserci accanto, l'altro ci concede di perderci nella nostra follia e di riprenderci. Assistendo al cedimento del nostro Io, con la sua presenza, come la levatrice durante il parto, l'altro aiuta la nostra nascita.”Anche l’amicizia, a cui fai riferimento, ci consente di avvicinarci alla nostra parte irrazionale, perché con gli amici si abbassano le difese della nostra razionalità nel clima di fiducia, di confidenza e di abbandono che si è creato. Ma l’amore è più potente ancora, consente come la levatrice a cui fa riferimento Socrate, una nuova nascita, il nostro rinnovamento. Oltre a essere un rapporto tra gli uomini è un rapporto di noi con noi stessi grazie all’altra persona. Un rapporto che produce una vera e potente trasformazione che è la ri-generazione del nostro Io.



Un caro saluto,

Alberto

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