lunedì 10 maggio 2010
Dio è buono?
Caro professore,
Dopo migliaia di anni in cui sono accadute le stesse cose e l'uomo è migliorato molto poco dal punto di vista sociale, io mi chiedo: come fa l'uomo a credere in un Dio che ha come maggiore e principale attributo la bontà?
Luca
Caro Luca,
Il filosofo della scienza statunitense Daniel Dennett (1942), nel libro Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina 2007) riporta una citazione dello scrittore Andy Rooney che ripropone in modo ironico le perplessità che hai espresso nella tua lettera: “A Pasqua, secondo tradizione, il Papa prega per la pace e il fatto che questo non abbia mai avuto effetto nel prevenire o porre fine a una guerra non lo ha mai scoraggiato. Come se lo spiega il Papa, un rifiuto così sistematico? Che Dio ce l'abbia con lui?” Oppure, seguendo questa stessa linea, più avanti ricorre ad un’altra citazione e dice: “Come disse una volta il comico Emo Phillips: "Quando ero ragazzo, pregavo sempre Dio perché mi regalasse una bicicletta. Poi ho capito che Dio non funziona in questo modo: allora ho rubato una bicicletta e ho pregato perché Dio mi perdonasse! ".”
La versione ironica e spregiudicata cela però un’amara convinzione: o Dio non interviene nella storia degli uomini o l’azione di Dio nella storia è incomprensibile per l’uomo. Hai ragione quando dici che tra gli attributi di Dio quello della bontà è certamente uno dei più importanti. Nella Bibbia, ad esempio, troviamo spesso il riferimento alla bontà di Dio. Il libro dei Salmi è un continuo inno di ringraziamento a Dio per la sua bontà; infatti si incontra frequentemente la frase: “Lodate il Signore, perché è buono”. E anche nel Nuovo Testamento si fa riferimento alla bontà di Dio, ad esempio nel vangelo di Marco, quando un uomo si avvicina a Gesù e lo chiama “Maestro buono” Gesù gli risponde: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). Certo, se si pensa alla creazione, oppure al fatto che esiste qualcosa piuttosto che nulla, alle meraviglie della natura, del cosmo, alla complessità della vita, alla pluralità delle forme viventi o anche alla nascita della vita stessa lo stupore e l’incanto possono far pensare alla grandezza e alla bontà di un Dio. Agostino parla di onnipotenza e di bontà di Dio guardando semplicemente con meraviglia la vita di un bambino. Nelle Confessioni, infatti, scrive: “Tu dunque, mio Dio e Signore, che hai dato al bambino vita e corpo, che come vediamo lo hai dotato di sensi e di membra ben compaginate, hai reso grazioso il suo aspetto e hai insinuato in lui tutti gli impulsi vitali adatti a preservarne l’incolumità in ogni condizione, tu mi ordini di renderti lode per tutto questo e di riconoscerti e di inneggiare al tuo nome, Altissimo. Perché sei un Dio onnipotente e buono e lo saresti anche se questa fosse la tua sola opera, che non poteva esser compiuta da alcuno se non da te, unico, da cui viene ogni misura, modello di bellezza che ogni cosa modelli e ordini secondo la tua norma”. (Le confessioni, Garzanti 2008). Non tutti credono però alla bontà di Dio e pensano che questo mondo sia il “migliore dei mondi possibili”, secondo la celebre frase di Leibniz.
Arthur Schopenhauer ne Il mondo come volontà e rappresentazione (Laterza 2009) dall’analisi di alcune sofferenze e dalla condizione umana giunge infatti ad altre conclusioni: “Se finalmente a ciascuno si volessero porre sottocchio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta. Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e da differenti santi. Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo”.
Come a dire che a seconda di ciò su cui soffermiamo la nostra attenzione riusciamo o meno a vedere aspetti positivi dell’esistenza. Possiamo dire che il credente è più portato a valorizzare la meraviglia e si sente in dovere di ringraziare o di rendere lode a Dio; mentre il non credente, forse maggiormente concentrato sugli aspetti negativi dell’esistenza, manca di quella stessa fiducia, si sente “gettato” in un mondo e non riesce a capacitarsi delle sofferenze e dei patimenti estremi; come dici tu, non riesce a pensare che un Dio buono possa lasciare accadere eventi crudeli e dolorosi a coloro che nella Bibbia vengono chiamati “i suoi figli”. Non tutti infatti hanno la fiducia e l’ottimismo di Sant’Agostino il quale riteneva che Dio lasciasse accadere il male, perché in grado di trarre il bene anche dal male. Nel De vera religione scriveva: «Dio onnipotente, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male».
Nel Novecento, soprattutto a partire dall’Olocausto, l’idea che gli uomini sono abbandonati da Dio si è fatta molto forte, nella letteratura, nella poesia e nella filosofia. Ho qui davanti a me due libri di Elie Wiesel, Il giorno (1999) e La danza della memoria (2008), e voglio riportarti quello che mi ero segnato, proprio a questo riguardo. Il protagonista de Il giorno, dopo un incidente, si trova in un letto di ospedale in gravi condizioni. Un dottore entra nella stanza e gli comunica che riuscirà a sopravvivere e che non gli devono amputare le gambe. Il medico gli dice: “« Bisogna ringraziare Dio » e lui risponde: « Come si fa a ringraziare Dio? » […] Avrei voluto aggiungere: perché ringraziarlo? Da tanto tempo non capivo più cosa avrebbe potuto fare il buon Dio per meritare l'uomo”. Ovviamente non fa riferimento alla propria condizione personale provvisoria, ma in quella condizione ha tutto il tempo per rievocare il passato e il genocidio degli ebrei. Nel secondo libro La danza della memoria è invece riportato un dialogo che pare una lotta tra un credente e un non-credente: “E Avrohom, di rimando: «E Dio, in tutto questo, il Dio d'Israele, dove lo mettete?». Il rosso: «Lei osa invocare Dio? Qui? Adesso? Ma dov'era Dio quando noi avevamo bisogno della sua bontà, della sua giustizia, della sua potenza?». Avrohom: «Era con noi. Come noi. Ha sofferto! Come noi, ne ha avuto abbastanza della laica umanità assassina! ». Il rosso: «Ma sta scherzando! Un Dio prigioniero degli assassini dei nostri figli! E lei ci crede ancora! ». Avrohom, fuori di sé: «Empio, capo degli empi, le tue parole sono blasfeme!”.
Insomma, se uno si concentra sui fatti o sulla storia, può ricavare opinioni opposte sull’esistenza o non esistenza di Dio. Avrohom ha una fede incrollabile “nonostante” il negativo dell’esistenza, crede che Dio soffra con l’uomo stesso, mentre il suo interlocutore ha perso questa certezza.
In qualche modo, il credente conserva una speranza nonostante gli eventi sfavorevoli della vita. Considera bontà di Dio il fatto di essere al mondo e di avere una coscienza e pensa che Dio sia buono e che attraverso un’iniziativa gratuita (con Cristo) desideri farsi conoscere dall’uomo come fonte di amore, e che proprio l’amore sia il senso dell’esistenza.
Nel Novecento il filosofo Hans Jonas (1903-1993) ha scritto un piccolo libretto dal titolo Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova 2004), in cui sostiene che Dio avrebbe abdicato alla propria potenza per lasciare libero l’uomo. In qualche modo Dio, pur presente nel mondo e nell’uomo, avrebbe lasciato all’uomo completa libertà, rinunciando alla propria onnipotenza. Invece di pensare a Dio come essere onnipotente, secondo l’autore dovremmo pensare che Dio ha messo in gioco anche se stesso affidando completamente anche la propria sorte alla libertà dell’uomo.
Un caro saluto,
Alberto
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