lunedì 28 febbraio 2011
Il Nichilismo e la perdita di fiducia nei valori
Caro professore,
Lo scorso anno mi è capitato, quasi per caso, di leggere "L'ospite inquietante. Il nichilismo tra i giovani" di Umberto Galimberti e sono rimasta colpita dalla capacità dell'autore di far emergere la relazione tra la situazione della società giovanile moderna e questo concetto filosofico, che avevo sempre visto come qualcosa di abbastanza lontano dalla vita di tutti i giorni.
Ma ciò che mi interessa è soprattutto sapere come il nichilismo abbia avuto origine nella società di fine '800, quali sono stati i fattori che hanno portato gli uomini a perdere fiducia nella vita e nella religione tanto da permettere a Nietzsche di affermare la teoria della "morte di Dio" ed essere così l'anticipatore di quei fenomeni che Galimberti riporta nella sua opera.
In particolare: c'è una soluzione al di fuori della "proposta" che giunge a noi dal mondo cristiano di aspettare accettando la vita per ciò che è, perché l'aldilà sarà migliore (“Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli”)? Bisogna vivere secondo il famoso “carpe diem” di Orazio, senza pensare ad un possibile futuro o sarebbe meglio semplicemente aspettare la fine, il momento di morire?
Grazie,
Lorenza
Cara Lorenza,
Per iniziare questa riflessione sul nichilismo faccio riferimento al bellissimo libro del grande studioso Franco Volpi (1952-2009), “Il nichilismo” [Laterza 2005]). Volpi scrive: “L'uomo contemporaneo versa in una situazione di incertezza e di precarietà. La sua condizione è simile a quella di un viandante che per lungo tempo ha camminato su una superficie ghiacciata, ma che con il disgelo avverte che la banchisa si mette in movimento e va spezzandosi in mille lastroni. La superficie dei valori e dei concetti tradizionali è in frantumi e la prosecuzione del cammino risulta difficile”.
E’ Nietzsche stesso a definire il nichilismo “il più inquietante di tutti gli ospiti” (Frammenti postumi, 1885-1887) e il filosofo Umberto Galimberti riprende questo concetto in una penetrante riflessione sui mali della società contemporanea. Sì, perché Galimberti, filosofo, psichiatra e attento osservatore del nostro tempo, è consapevole che le sofferenze dei giovani prima di essere un problema psicologico sono un problema culturale, perché nel corso degli ultimi due secoli ha avuto inizio una sorta di congedo dalla credenza nei valori assoluti - da cui non si può tornare indietro – che influenza ancora oggi la cultura dominante. Egli scrive: “perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui”. E che cosa avrebbe prodotto profondo disagio, mancanza di prospettive e di progettualità nei giovani di oggi? La causa viene attribuita al nichilismo. Ma che cosa significa nichilismo? Nietzsche scrive: “Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?". Che cosa significa nichilismo? — che i valori supremi perdono ogni valore” (Frammenti postumi, 1887-1888). Molti filosofi hanno ribadito che l'uomo è un essere che per poter sopravvivere deve continuamente attribuire senso alla propria vita e alle cose che fa; ma l'atmosfera culturale contemporanea purtroppo attenua le speranze, mitiga la fiducia nella vita, spegne i desideri, e produce insicurezze e paure. La mancanza di un senso condiviso dell’esistenza e dei valori produce sofferenza psichica e disorientamento nelle vite degli adolescenti e dei giovani. Galimberti cita spesso il filosofo tedesco Gunther Anders e riferisce che un tempo gli uomini trovavano l’esistenza priva di senso perché dominata dalla sofferenza, mentre oggi, al contrario, ritengono “l’esistenza insopportabile perché priva di senso”. La mancanza di senso provoca dolore, affanni e tristezza. - Pensa che un filosofo argentino (Miguel Benasayag) e uno psichiatra francese (Gérard Schmit) hanno intitolato un libro - in cui riportano i dati di una ricerca sui giovani -: “L’epoca delle passioni tristi” (Feltrinelli 2004).
Sul fatto che nella società contemporanea si sia diffuso un clima nichilistico era d’accordo anche papa Giovanni Paolo II. In Fides et ratio (Edizioni paoline 1998) egli esprimeva la sua preoccupazione sulla diffusione del nichilismo e scriveva: “Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa, senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell'interpretazione nichilista, l'esistenza è solo un'opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato. Il nichilismo è all'origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio”. Il papa era preoccupato della perdita di fiducia dell’uomo nella ragione e nella verità, tanto che, alcune pagine più avanti, scriveva che il nichilismo porta l’uomo: “a rinchiudersi ancora di più in se stesso, entro i limiti della propria immanenza, senza alcun riferimento al trascendente”. Secondo Giovanni Paolo II il nichilismo ha una valenza fortemente negativa in quanto condurrebbe l’uomo “progressivamente o a una distruttiva volontà di potenza o alla disperazione della solitudine”.
Un filosofo laico e un papa concordano sul fatto che il nichilismo produca sofferenze e possa portare alla disperazione in cui apatia, droga e violenza non vengono più avvertiti nel loro potenziale autodistruttivo, ma cercati per sfuggire dalla monotonia e dall’assenza di un senso comune della vita. L’individuazione delle cause del nichilismo e degli espedienti per uscire dalla crisi è però – ovviamente - profondamente diversa.
Il problema vero, secondo Galimberti, non è tanto il fatto che la storia dell’uomo sia stata attraversata dal nichilismo inteso come “ospite inquietante” (se alcuni valori si svalorizzano, d’altra parte l’uomo ne può creare altri – così è sempre accaduto nella storia), ma che esso permanga e sia così pervasivo da essere più forte delle prospettive di realizzazione della vita individuale o della ricerca stessa di una “vita buona” (come dicevano gli antichi). Se il papa ritiene che il rimedio dalla “distruttiva volontà di potenza o alla disperazione della solitudine” sia dato da una nuova fiducia nella ragione, nella verità e nella religione, Galimberti individua invece proprio nel “desiderio” eccessivo della tradizione giudaico-cristiana (dato dalla credenza nell’immortalità) la causa del dolore prodotto dalla disillusione o dal disincantamento dell’uomo contemporaneo.
Ma perché “sfilare” via il senso dalla vita – come sfilare via il filo che tiene insieme le perle di una collana - provoca dolori così laceranti, tali da gettare l’uomo nella disperazione?
Secondo Galimberti gli uomini hanno creduto nelle descrizioni del mondo prodotte dai miti, dalle religioni, dalle filosofie e dalla scienza. Si sono pertanto sempre orientati nei loro valori facendo riferimento alla tradizione offerta da certe visioni del mondo. Una “visione del mondo” non è altro che una “descrizione del mondo”, che consente comunque di orientarsi, di stabilire che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Il Cristianesimo promette agli uomini persino la salvezza e l’immortalità. Il nichilismo rappresenta invece quella forma di spaesamento in cui gli uomini si trovano quando vengono meno i valori tradizionali, messi in discussione nell'epoca della scienza e della tecnica. Il nichilismo, dunque, è il risultato di un processo storico che ha portato l'Occidente a prendere atto del fatto che l'uomo ha creato dei valori assoluti per sopravvivere all’irrazionalità della vita. La cultura del disincanto, del relativismo e dello scetticismo è pertanto cresciuta di pari passo con lo sviluppo della tecnica e della razionalità e, piano piano, ha spazzato via molte credenze e immagini che l'uomo si era costruito in passato per orientarsi nel mondo. Secondo Galimberti vi sono profonde ricadute sui giovani che derivano dal crollo di queste certezze metafisiche. Per questo ritiene che il disagio sia esistenziale e culturale prima che psicologico.
Sono crollati non solo i valori religiosi – le certezze metafisiche – ma anche le ideologie a cui l’uomo aveva affidato le proprie speranze. Pensa che il grande storico Eric Hobsbaum inizia un libro straordinario: “Il secolo breve” (Rizzoli 2007) con un capitolo intitolato: l’Età della frana.
Come potrai leggere nel libro che hai citato, Galimberti individua delle forme per uscire da questa condizione. Parla infatti di un’etica del finito e fa riferimento alla “filosofia del viandante” che non è molto lontana da quello che scrive Franco Volpi: “Il nichilismo ha corroso le verità e indebolito le religioni; ma ha anche dissolto i dogmatismi e fatto cadere le ideologie, insegnandoci così a mantenere quella ragionevole prudenza del pensiero, quel paradigma di pensiero obliquo e prudente, che ci rende capaci di navigare a vista tra gli scogli del mare della precarietà, nella traversata del divenire, nella transizione da una cultura all'altra, nella negoziazione tra un gruppo di interessi e un altro. Dopo la caduta delle trascendenze e l'entrata nel mondo moderno della tecnica e delle masse, dopo la corruzione del regno della legittimità e il passaggio a quello della convenzione, la sola condotta raccomandabile è operare con le convenzioni senza credervi troppo, il solo atteggiamento non ingenuo è la rinuncia a una sovradeterminazione ideologica e morale dei nostri comportamenti. La nostra è una filosofia di Penelope che disfa (analyei) incessantemente la sua tela perché non sa se Ulisse ritornerà”.
Un caro saluto,
alberto
Ti consiglio la lettura di questi libri:
Franco Volpi, “Il nichilismo” [2005] (Edizione economica Laterza 2009)
Martin Heidegger, “Il nichilismo europeo”, (Adelphi 2003) – Si tratta di una corso che Heidegger ha tenuto nel 1940 e fa riferimento a Nietzsche.
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