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Cor-rispondenze

lunedì 14 marzo 2011

Il mistero di Dio continua a "turbarmi"


Caro professore,
Ho un dubbio che mi porto dentro da molto tempo: io mi interrogo sull'esistenza di Dio. A lungo andare mi sono reso conto che non posso darmi delle risposte, e cerco di dimenticare questi dubbi, ma rimangono sempre dentro di me. Se ho la certezza che una risposta logica non c'è, perché il mistero continua a "turbarmi"?
Alberto



Caro Alberto
In passato i tentativi di “dimostrare l’esistenza di Dio” erano sentiti come esigenze imprescindibili. Il monaco benedettino Anselmo d’Aosta, priore dell’abbazia benedettina di Bec in Normandia (oggi Le Bec-Hellouin – cfr. http://www.abbayedubec.com/), nell’XI secolo si sforzava di trovare una prova unica (unum argumentum) che nessuno potesse confutare in grado di mostrare inequivocabilmente l’esistenza di Dio attraverso una prova razionale. Era stato sollecitato dai suoi confratelli che gli avevano chiesto di produrre delle argomentazioni sull’esistenza di Dio da poter utilizzare nella predicazione quotidiana per persuadere i fedeli. Anselmo ne diede conto in un bellissimo libro intitolato Proslogion (Dialogo), in tre brevi capitoli (capp. 2-4). Diceva sostanzialmente questo: chi vuole negare l’esistenza di Dio si contraddice. Per negare qualcosa occorre averne un concetto (Se voglio affermare che un grifone non esiste, devo avere un concetto di grifone; se voglio affermare che un quadrato non esiste, devo sapere che cosa è un quadrato). E il concetto di Dio qual è? Dio è: “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” (id quo maius cogitari nequit). Ma se esistesse solo nell’intelletto (Dio come concetto della mente umana) e non nella realtà, quello che viene pensato sarebbe inferiore a ciò che esiste insieme nel pensiero e nella realtà. Se esistesse solo nel pensiero, non sarebbe affatto “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”. Quindi Dio deve esistere anche nella realtà (Pensiero+realtà = nulla di maggiore). Pertanto, affermare che Dio non esiste significa cadere in contraddizione, perché ciò che si tenta di negare – proprio per le proprietà del concetto – esisterebbe nella realtà. (Supponiamo che Botticelli avesse in mente esattamente la raffigurazione della Primavera. Prima aveva un’immagine mentale, poi la raffigurazione ha preso forma ed è diventata reale. L’immagine reale è superiore alla sola immagine mentale, è qualcosa in più. Per questo se si intende Dio come “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” l’immagine mentale – il concetto di Dio – non è ancora “veramente” Dio, perché solo ciò che è contemporaneamente nell’intelletto e nella realtà è più grande di ciò che è solo nell’intelletto). Al tempo sembrava dura contraddire questa prova razionale, anche se Anselmo, nel suo libretto, riporta correttamente anche la contestazione che gli venne fatta da un altro monaco, Gaunilone. Comunque, questa prova, che poi verrà chiamata prova ontologica dell’esistenza di Dio (Ontologica = si parte da un concetto per dimostrare che Dio esiste realmente), sarà utilizzata da molti filosofi e matematici di primo piano, e solo nel ‘700 Immanuel Kant mostrò che non era corretta. (Se ti vuoi divertire con questi ragionamenti poi vedere i seguenti libri: Giovanni Piazza, Il nome di Dio. Una storia della prova ontologica, ESD-Edizioni Studio Domenicano 2000; Emanuela M. Scrivano, L' esistenza di Dio. Storia della prova ontologica. Da Descartes a Kant, Laterza 1994; oppure puoi leggere il piccolo – ma comprensibile - libretto del filosofo Friedrich Hegel, Lezioni sulle prove dell'esistenza di Dio, Morcelliana 2009). Nei secoli successivi anche Tommaso d’Aquino nel XIII secolo aveva adottato qualche prova razionale per mostrare l’esistenza di Dio. Ma, più prudentemente, aveva denominato queste argomentazioni con il termine “vie” (“cinque vie”) e non “dimostrazioni”. Oggi non sentiamo più l’esigenza di dimostrare razionalmente e in modo inconfutabile l’esistenza di Dio. Ma è possibile che – come dici tu – il mistero di Dio continui a turbarci. Perché è l’esistenza stessa a essere un mistero, e il mistero, anche quando la ragione non riesce ad afferrare concettualmente l’esistenza o meno di Dio, ci ricorda che, se anche il linguaggio logico non riesce a portare sufficienti “prove” dell’esistenza di Dio, gli elementi della universo e la natura specifica dell’uomo sono sufficienti a “turbare” ogni uomo. La filosofa spagnola Maria Zambrano (1904-1991) nell’opera Verso un sapere dell’anima [1991], Cortina Raffaello 1996, scrive: “Per l'uomo i fenomeni naturali si possono ridurre a formule matematiche, ma da queste formule trascende qualcosa di innominabile, di irriducibile che lascia l'uomo meravigliato di fronte al mistero della sua presenza, di fronte alla sua impressionante bellezza”. Quello che ci (e ti) turba è il mistero della vita in generale ed è questo mistero che di solito chiamiamo Dio.
Un caro saluto,
alberto

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