lunedì 21 marzo 2011
Indifferenza nei confronti della vita
Caro professore,
Sono in apnea nel mare più profondo della vita e sto aspettando qualcosa. Vivo con disinteresse e amo con disinteresse, lasciando che le situazioni della mia vita scivolino sulla mia pelle senza entrare dentro. Un peso mi sta tenendo sott'acqua e non riesco a risalire. Cosa mi sta succedendo? Solitudine? Mancanza di qualcosa? Incertezza?
Laura
Cara Laura,
Indifferenza e disinteresse potrebbero essere considerati comportamenti molto simili, ma credo che l'indifferenza sia una forma di disinteresse più profonda, e più grave. Qualche anno fa, nel 2007, un importante psicologo italiano, Adriano Zamperini, ha realizzato uno studio molto significativo sui tratti caratteristici e sui significati reconditi dell'indifferenza. La psicologia ci ha insegnato che l’indifferenza di cui si parla spesso nel mondo contemporaneo è come un distacco emotivo tra sé e gli altri, è una mancanza di interesse nei confronti della società, è il desiderio di non essere coinvolti dagli altri e dal mondo; chi è indifferente non desidera partecipare, confrontarsi, essere trascinato verso qualche idea o qualche obiettivo. L’indifferente riduce le energie rivolte verso il mondo esterno, verso le disgrazie altrui e il suo sguardo fa finta di non vedere. È distaccato nei confronti della sorte degli altri, apatico verso ciò che accade intorno. È ripiegato su se stesso e si preoccupa solo di ciò che accade a sé. Non si lascia attraversare dai drammi degli altri uomini e dai loro problemi; è distratto, noncurante. Vive una sorta di "anestesia emotiva". Adriano Zamperini (L’indifferenza, Einaudi 2007) afferma che l’indifferenza si situa nella sfera dell'essere e non dell'avere: egli ricorda che non si dice infatti che una persona ha l'indifferenza, ma che è indifferente. L'autore dice che non è una malattia, ma è un “copione relazionale” ossia un modello di comportamento che regola il vissuto. La persona indifferente è gregaria, alienata, burocrate, omologata, seriale, eterodeterminata, dice l'autore. Agisce come se fosse in mezzo alla ressa, prende le distanze, si mette sulla difensiva come se si dovesse proteggere dal mondo. Se ci pensi, è grazie all’indifferenza di molte persone che altre possono agire e ottenere i propri scopi.
L’indifferenza è in questo caso il culto dell'io: per non avere problemi ognuno si fa i fatti propri: con freddezza, con azioni calcolate. L’indifferenza nasce e cresce dall'egoismo o da un narcisismo eccessivo, da una convenienza calcolata. Dice il filosofo tedesco Gunther Anders: “A suo tempo Primo Levi capì bene che questa forma di ipocrisia rassicurante era una bomba innescata. Egli parlò dei cosiddetti grigi, cioè della fascia maggioritaria, e intermedia, degli indifferenti e degli opportunisti, come del vero e unico problema morale del nostro tempo”. (L’uomo è antiquato)
In ogni caso l’indifferenza può produrre sicurezza: perché è una capacità di adattamento ai diversi contesti di vita. Certo, talvolta l'indifferenza è il prezzo da pagare per chi non vede alcuna possibilità di cambiamento e quindi diventa apatia. È l'indifferenza degli sconfitti. L’indifferenza però è una modalità relazionale negativa. È sinonimo di un problema. A volte, nei rapporti tra i popoli l'indifferenza viene chiamata neutralità.
Dice Zamperini che l’indifferenza coglie il respiro della contemporaneità, perché altro non sarebbe che un modo di trattenere il respiro per meglio adattarsi alla realtà sociale, assumendo passivamente il modo di sentire che una certa istituzione o un certo contesto propongono o impongono.
A pensarci bene la cosa più triste è che, effettivamente, non solo c’è il male dell'indifferenza, ma spesso vengono prodotte delle norme che generano indifferenza, in modo che nessuno si debba occupare di altre cose o degli altri. Ognuno deve stare al proprio posto, non deve pensare a ciò che fuoriesce dalla propria mansione lavorativa. Così viene premiato chi ha imparato a contenere le proprie passioni senza farle diventare collettive, perché disturbano l'organizzazione. (Vedi le belle riflessioni su questo tema che propone Gunther Anders ne L’uomo è antiquato). Quando ad un soggetto viene richiesta una prestazione, tale prestazione nell'economia aziendale è valutata con il criterio dell’utile, quindi spesso non si è richiesti come persone, perché in quanto persone si è elementi imprevedibili e quindi elementi di possibile disturbo; per questo alle persone viene spesso chiesto di identificarsi in un ruolo. Viene richiesta solo la competenza specifica, per evitare che emozioni differenti o contrarie si possano insinuare nell'interazione stereotipata, nell'andamento comune e possano boicottare e creare difficoltà all'organizzazione che non vuole essere messa in discussione.
C’è dunque una indifferenza individuale che suscita in noi orrore, quando ad es. pensiamo ai carnefici nei campi di sterminio (“L'orrore che proviamo per quegli impiegati nei campi di sterminio che solevano lavorare con la massima indifferenza fino a sera, per dedicarsi poi anima e corpo, alla fine della loro giornata lavorativa, a emozioni che non avevano nulla a che fare con il loro lavoro”. (L’uomo è antiquato) e c’è una indifferenza generata da un sistema che non vuol essere smascherato. Zamperini fa notare che nelle nostre società la spudoratezza con cui ad esempio viene indagata la vita privata viene esaltata come conquista di libertà, mentre viene sostenuta e premiata l’indifferenza verso il sistema politico e verso l’economia, i due motori della società che non vogliono essere disturbati e che invece costruiscono grandi resistenze nel momento in cui qualcuno cerca di indagare le trame dei loro percorsi.
Un caro saluto,
alberto
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