Caro professore,
A volte nei meandri della mente affiorano scene famigliari e ricordi già vissuti in tempi passati della nostra attuale vita. Queste visualizzazioni del nostro subconscio vengono chiamate déjà-vu. Ora spiegherò secondo la mia opinione il motivo di questo avvenimento. L'uomo nasce, cresce e poi muore. In quest'ultimo avvenimento, ovvero quando l'anima lascia il corpo, la mente dell'uomo cancella tutti o quasi tutti i ricordi della propria vita che ha vissuto. dopo la morte l'anima di quel corpo che ormai è senza vita occupa un altro essere, ricominciando una nuova vita. Durante questa nuova esistenza l'anima, quando prova certe emozioni, che assomigliano a quelle della vita precendente, fa ricordare quell'azione che il "nuovo corpo" sta svolgendo, in modo da far sembrare all'essere umano di aver già vissuto quella medesima esperienza. In conclusione, secondo la mia opinione, il déjà-vu avviene grazie a una sensazione dell'esistenza precedente uguale ad un'altra della vita "attuale". Queste sensazioni suscitano nell'anima il ricordo dell'azione avvenuto durante l'esistenza precedente. Simona IV C
Cara Simona,
La tua opinione sull’origine del déjà-vu ricorda l’antica teoria della reincarnazione; l’esperienza del déjà-vu richiama apparentemente alla memoria esperienze precedenti: si ha talvolta l’impressione di aver già vissuto certe situazioni, di aver già avuto certe percezioni. Metempsicosi e reincarnazione, infatti, hanno il loro fondamento in questo vissuto. La spiritualità indiana è ricca di queste immagini e anche Platone, come ben ricorderai, faceva riferimento al rapporto tra memoria e reminiscenza. A questo proposito, Gianfranco Ravasi, il grande biblista, nel libro Breve storia dell’anima [2003] scrive che «che la metempsicosi per le varie religiosità indiane è simile a un purgatorio, ove ci si purifica dal male per poter poi accedere alla pace perfetta e immobile del nirvana. Là finalmente la ruota della vita si ferma, il trasmigrare necessario e coatto si arresta, il desiderio si spegne, il dolore si dissolve, appare un «vuoto» che è pienezza, un annullamento che è salvezza, un'assenza che è presenza, secondo categorie simboliche e mentali difficilmente riproducibili e convertibili nelle nostre coordinate logiche (e anche, bisogna aggiungere, secondo teorie differenti, proprie delle varie scuole buddhista)».
L’idea di poter rivivere qualcosa che abbiamo già sperimentato in passato è assolutamente affascinante, e talvolta inquietante (come in Matrix). Il passato rievocato nel presente, che si insinua nella coscienza involontariamente o, viceversa, l’anticipazione del futuro suggeriscono riflessioni in molte direzioni. Qualche tempo fa, il professor Remo Bodei ha pubblicato un bellissimo libro su questo argomento dal titolo “Piramidi di tempo. Storia e teoria del déjà-vu [2006]”. Riflettendo sul déjà-vu egli scrive che: «la realtà e l'irrealtà si sovrappongono e le differenze temporali si azzerano nel momento stesso in cui vengono sottolineate. Il passato e il presente, l'allora e l'ora, il qui e l'altrove entrano in un cortocircuito, che annulla non solo lo scorrere del tempo, ma perfino il suo stesso annullamento». Quella del déjà-vu potrebbe essere considerata un’esperienza simile a quella del sogno, ma scrive l’autore: «Diversamente dall'esperienza onirica, nel déjà vu si diventa però vittime di un «sogno rovesciato»: mentre nel sognare si prende l'allucinazione per realtà, in quest'ultimo si scambia invece la realtà per allucinazione, per qualcosa che stentiamo a credere pur avendola indubbiamente davanti ai nostri occhi». Siamo forse in grado di predire il futuro, di anticipare ciò che ancora non esiste, o portiamo dentro di noi una realtà di cui solo ogni tanto siamo consapevoli? Bodei mostra quante direzioni possano scaturire dalla tematica: «Siamo dinanzi a un trompe-l'oeil temporale, a un falso e illusorio riconoscimento di una situazione da parte della memoria, a un irragionevole «ricordo del presente» o non diventiamo, piuttosto, partecipi dell'eccezionale e misterioso rivelarsi di un tempo altro, ambiguamente sospeso nel suo volo e indifferente all'abituale ritmo dei flussi di coscienza?». Egli narra le varie interpretazioni dei poeti, dei filosofi e degli scienziati e ricorda che, ad esempio, Aristotele considera il déjà-vu un disturbo psichico, mentre Agostino ritiene che sia prodotto da spiriti maligni che si insinuano nella mente dell’uomo per confonderlo e turbarlo. Per Nietzsche sarebbe una conferma dell’eterno ritorno di tutte le cose («E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna, e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti — non dobbiamo tutti essere stati un'altra volta? — e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via — non dobbiamo ritornare in eterno?»). Ma se veramente abbiamo già vissuto in modo analogo la vita, in che cosa consiste la nostra libertà? Forse, come ritenevano Spinoza e Nietzsche, nel semplice riconoscimento della necessità di tutto, nell’amor fati? Chissà. Romo Bodei non si limita alle interpretazioni filosofiche, ma fa riferimento anche a teorie di molti scienziati: a quella del «doppio cervello di Wigan», a quella «dell'arrivo differito di due percezioni dello stesso evento di Jensen», a « quella dell'eco interiore, sostenuta da Fouillée », a quella del «sintomo rivelatore di una scissione della personalità in atto, di Dugas» e a molte altre. Egli riporta una curiosa riflessione di Bergson, il quale lega il momento della percezione a quello della memoria: «la formazione del ricordo non è mai posteriore a quella della percezione, ma contemporanea ad essa. Man mano che la percezione si crea, il suo ricordo si disegna ai suoi lati, come l'ombra al lato del corpo. Ma la coscienza di solito non lo percepisce, così come l'occhio non vedrebbe la nostra ombra se la illuminasse ogni volta che si volge verso di essa». Anche se è bello pensare che il dèjà-vu sia una forma di rivelazione di qualcosa di misterioso o faccia accenno a un’altra realtà, permettendo l’accesso ad una dimensione remota, la scienza parla oggi di una semplice alterazione dei ricordi e rubrica il déjà-vu sotto la categoria "paramnesie", ossia alle anomalie della memoria. Insomma, anche se certamente meno evocativo, il déjà-vu sarebbe semplicemente una “falsa memoria”.
Un caro saluto,
alberto
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