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Cor-rispondenze

lunedì 30 aprile 2012

Il "gioco" o l'arte della vita






E' stato recentemente pubblicato il libro di Wilhelm Schmid, L'amicizia per se stessi. Cura di sé e arte di vivere, Roma, Fazi editore, 2012.
Il filosofo tedesco, di cui abbiamo parlato in un post sulla felicità (6/5/2009), fa riferimento ad alcune analogie tra il calcio e la vita. Ripropongo una parte di questa riflessione contenuta alle pagine 55-56 del testo.

"Ecco le sue venti condizioni: uno spazio, il campo di gioco. Un tempo, 190 minuti. Un oggetto con cui giocare, il pallone. La presenza di più di una persona che partecipa al gioco: deve sempre essere possibile "giocare con qualcuno". L'esistenza di regole da rispettare e, talvolta, anche da aggirare. Tattica e strategia, che diventano decisive e danno struttura al gioco azione dopo azione. Creatività, per vedere in ogni situazione sempre ulteriori possibilità, oppure per crearne di alternative o tentare qualcosa di nuovo. Apertura all'imprevisto, sto, per giocare al meglio in ogni particolare situazione. Tecnica, fatta di movimenti singoli, sequenze di azioni, schemi, varianti da preparare e perfezionare continuamente senza mai stancarsi. I trucchi, non sempre e non necessariamente conformi alle regole. Un fiuto sottile e "un occhio clinico", allenato e formato grazie a un'esperienza molteplice e alla riflessione su di essa. Ognuna di queste condizioni deve essere legata alla saggezza: l'emozione come spinta, la cognizione come conoscenza teorica delle strutture. Un gioco di forza all'interno del sé, perché un giocatore squilibrato prima o poi "smette di giocare". Un gioco di forze esteriore, diretto contro un "avversario", che rappresenta senz'altro il problema del gioco, ma che, in realtà, ne è il garante: crea la polarità e quindi anche la tensione. Un gioco di squadra, perché in questo modo si possono realizzare molte più possibilità di quante ce ne potrebbero essere giocando da soli. Uno sguardo esteriore istituzionale (allenatore, arbitro), con l'aiuto del quale la partita può essere modificata e corretta da un metalivello. Spettatori, la cassa di risonanza: senza di loro la partita sarebbe un gioco spettrale, sebbene i giocatori possano essere considerati anche come spettatori della partita che loro stessi stanno giocando. Superare la paura di una sconfitta, di un'incertezza che non dà soddisfazione e, soprattutto, superare la paura di un trionfo, che indebolisce ed espone a ogni sorta di leggerezza e pigrizia. Uno scopo immanente al gioco, come quello di segnare un goal; se si presentano anche scopi esteriori, il gioco ne soffre. E, soprattutto, la libertà e la spontaneità, non la necessità: un gioco non è un obbligo; anche ammettendo che chi gioca sia in grado di amare ciò a cui è obbligato, la pressione dell'obbligo sparirebbe e il giocatore si sentirebbe nuovamente libero.

Tutti questi aspetti si ritrovano evidentemente nel gioco della vita. Esiste uno spazio, o "un campo da gioco": la definizione dei diversi luoghi tra i quali il soggetto preferisce muoversi. Una limitazione temporale, sempre data alla vita, che deve sempre poter esistere, o in singoli frammenti, o anche nella forma di un tutto. L'oggetto del gioco è il materiale molteplice della vita che, come un pallone, cambia continuamente direzione e con il quale bisogna saperci fare nei modi più svariati. La partita è giocata sempre da più di una persona: il soggetto dell'arte di vivere non è mai solo il sé, ma sempre anche gli altri e "la vita" stessa, che provvede a delineare le diverse situazioni, che si presentano al contempo come sfide. Le regole e le consuetudini che devono essere rispettate, formali o informali che siano, sono poste in essere dal sé, dagli altri e dalla vita stessa e non possono essere violate senza conseguenze. Le regole devono comunque essere "flessibili" in modo tale che la vita possa sempre continuare. L'arte di vivere culmina nella definizione della tattica e della strategia. Lo scopo dell'arte di vivere è infatti quello di strutturare in maniera prudente, non meno che lungimirante, le singole azioni e le situazioni complessive. La creatività si occupa di fare in modo che la conduzione della propria vita possa sempre destare sorpresa, che non possa essere risolta da qualcos'altro, che resti enigmatica, non determinabile, spesso anche sperimentale: la vita diviene un gioco quando è necessario tentare e provare qualcosa indipendentemente dalla riuscita o dal fallimento dei tentativi. Questa è la base per inscrivere la contingenza nella comprensione della vita, allo scopo di non rimanere troppo a lungo dell'idea che la vita possa essere pienamente determinata. Quello che conta è, in ogni caso, apprendere una capacità ed esercitarla esteticamente, allenarla per raggiungere, almeno idealmente, la più alta eleganza nell'affrontare le diverse situazioni; come esercizio per acquisire questa capacità sono adatti tutti i tipi di giochi. La conoscenza dei trucchi così come una certa destrezza sono importanti, ad esempio, per sciogliere un nodo in cui si è aggrovigliata una situazione. L'educazione progressiva, la raffinazione del fiuto mediante l'esperienza e la riflessione sono imprescindibili per non doversi fermare a pensare troppo a ogni passo. Il gioco di forza interno al sé deve essere chiarito per raggiungere una conoscenza di se stessi che tenga conto delle contraddizioni che non possono essere eliminate. Il gioco di forza esteriore è il polo contrario, contraddittorio e tuttavia ne- cessario. Quando si gioca a vivere questo polo è rappresenta- to dagli altri, che devono essere accettati come dati o perfino affermati come qualcosa che arricchisce la vita. Il gioco di squadra, la cooperazione con gli altri, può essere cercata per formare una rete di legami che permette di scoprire un numero molto maggiore di possibilità rispetto a quelle dischiuse dalla vita condotta solo per sé. Lo sguardo dall'esterno è importante, perché rende manifesta la figura di colui in cui riponiamo fiducia, dell'amico; per questo il sé si sforza di inte- ríorizzarlo. Ogni azione comprende, infatti, la dimensione dello spettatore, poiché si tratta sempre di condurre la propria vita di fronte agli occhi degli altri, di essere commentati e giudicati dal loro punto di vista. È impossibile che questo non abbia ripercussioni sul modo in cui il sé si autocomprende. Una sfida per il compimento della vita è senz'altro quella rappresentata dalle sconfitte e dagli insuccessi, così come dalle vittorie e dai successi. La vita trova, poi, il suo scopo, cioè la sua pienezza, in se stessa e non al suo esterno. Partecipare al gioco della vita, infine, significa farlo con libertà e spontaneità, mai come costrizione necessaria; non ci si può dunque mettere semplicemente a giocare. Deve essere sempre fondamentalmente possibile scegliere se farlo o meno".

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