Caro professore,
Sono stata “fulminata” diverse volte, in questi ultimi
tempi. Ho ricevuto tantissimi scossoni, che mi hanno fatto dubitare di molte
persone. Ho dubitato anche di me stessa, di come mi comporto, di che senso
abbia la mia permanenza su questo pianeta. Poi ho avuto una specie di
illuminazione... non ha chiarito tutti i miei dubbi, ma mi ha fatto riflettere,
mi ha dato sicurezza. Ho visto la foto di una galassia con al centro un buco
nero (come tutte le galassie, penso). Quest’immagine, bellissima, mi fa
svegliare ogni mattina contenta di essere viva. Non so perché, ma è così. Mi
può capitare di tutto, ma so che quella galassia è là, e io so che la posso
guardare a scapito di tutto quello che mi succede. Forse il senso della nostra
vita è questo: poter ammirare tutto ciò che c’è di bello. Questo però inizia a
non bastarmi più. E allora ogni volta che esco la sera guardo le stelle: non mi
sento piccola, no di certo, ma mi sento felice. Felice di esserci, qui ed ora,
e felice di quello che verrà. A questo punto vorrei non dover più dormire la
notte, vorrei non sprecare tempo e vivere. Solo che mi è impossibile,
ovviamente. Passo il pomeriggio a studiare, e la mattina a scuola. Ci vado
volentieri, non mi si fraintenda, ma vorrei sapere che senso ha uno studio
finalizzato ad un’interrogazione per cui magari avrò un bel voto, ma che non va
ad intaccare nessuna delle stelle che amo tanto guardare. Per questo voglio
fare il medico: voglio far sì che altri continuino a vivere per poter ammirare
un angolo dell’universo. Quindi per proseguire questo mio obiettivo dovrò
studiare. Sta bene. Ma non diventassi ciò che voglio? Che senso avrebbe la mia
vita, svuotata del suo fine? Ho trovato in parte spunti interessanti in Blaise
Pascal, ma non mi è sufficiente. C’è qualcuno che risponda a questi quesiti
senza far appello alla religione?Sofia, 4B
Cara Sofia,
Ogni uomo è stato folgorato dal cielo. Nella storia della
filosofia c’è solo l’imbarazzo della scelta: Platone nel “Teeteto”
racconta che Talete cadde addirittura in un pozzo, perché contemplava le
stelle; sappiamo che Galileo ha quasi perso la vista e i suoi occhi si sono
consumati nello sforzo di scrutare i corpi celesti; Pascal era così emozionato
da affermare: «il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa»
e Kant nella “Critica della ragion pratica” ha affermato che il cielo
stellato e la legge morale che portava dentro di sé riempivano il suo animo di
meraviglia. Xavier de Maistre, in una pagina dell’“Éspedition nocturne”,
si è definito «spettatore effimero di uno spettacolo eterno» e ha
curiosamente scritto che se fosse stato il re di un paese avrebbe fatto «suonare
a stormo le campane» e avrebbe obbligato i suoi «sudditi di ogni età,
sesso e condizione a mettersi alla finestra e a guardare le stelle». Come
vedi, nella filosofia, e altrettanto nella letteratura, c’è sempre stata
profonda correlazione tra spazio interiore e cielo stellato. È la correlazione
che hai provato tu: un rapporto che talvolta intimorisce, perché rivela
contemporaneamente insufficienza e grandezza; ci consente di comprendere la
nostra marginalità di fronte all’infinito e la nostra nobiltà, in quanto siamo
gli unici esseri viventi che – come direbbe Pascal – possono intendere ciò che
accade. Il cielo dà forza: non solo quello metaforico che può aprire alla
dimensione religiosa, ma anche quello fisico così misterioso e imperscrutabile,
che i greci chiamavano “cosmo”, proprio perché ordine e bellezza insieme. Il
macrocosmo è infatti bellezza che deriva dall’ordine. Esiliata su questa terra
o smarrita nell’immensità dello spazio, nessuna esistenza viene privata del
proprio scopo, perché il fine consiste in un continuo fornire senso a ciò che
si fa guidati dalla propria sorgente interiore. Rimanere fedeli alla stella
polare della motivazione intrinseca produce la forza sufficiente per superare
gli ostacoli. Occorre dare senso ai vari istanti di quel microcosmo che è la
nostra esistenza per generare quell’ordine che produce la bellezza della vita,
grazie al quale nessun uomo viene mai privato del proprio fine.Un caro saluto,
Alberto