Caro professore,
Ci sono situazioni nella vita non sempre piacevoli che ti portano ad abbandonare tutto, le tue idee, i tuoi obiettivi, i tuoi sogni, senza più credere in quello che avevi creduto fino a quel momento. Ritengo che se si ha un obiettivo, un sogno, non bisogna mai smettere di crederci e andare fino in fondo, anche se qualche volta gli esiti saranno negativi. Credo che occorra affrontare i propri obiettivi con coraggio, sensibilità e forza. Molte persone sono convinte che non si può credere in un sogno o in un obiettivo che secondo loro non si potrà mai raggiungere, e lasciano volare via ogni aspettativa. Ma allora che cos’è più giusto: credere sempre fino in fondo o lasciar perdere e voltare pagina?
Cara Giulia,
C’è una bella locuzione in
italiano: «coltivare un sogno». E coltivare è un verbo che proviene dal
mondo agricolo. Deriva da còlere, che anticamente voleva dire spingere
l’aratro o anche spingere innanzi. Vuol dire sia lavorare un terreno sia
esercitare le facoltà della mente e del cuore in modo fruttuoso. È un gesto che
implica un’attività regolare e persistente. Si coltiva l’arte, si coltivano la
musica, la pittura, le passioni. Per coltivare occorre allora spingere innanzi,
lavorare, voler condurre a compimento la propria opera, guidarla alla propria
destinazione. Certi esiti negativi non devono abbattere – anche il terreno
talvolta è ostile al contadino –, ma, come dici tu, ci vogliono «coraggio,
sensibilità e forza». Il «coraggio» del proprio progetto, la «sensibilità»
nel riadattarlo e la «forza» per perseguirlo. E il coraggio non è la temerarietà che, come diceva Aristotele è un eccesso, e
quindi da evitare, ma è piuttosto una forza che consente di superare anche
momenti incoerenti, ricompense inadeguate, piccole disfatte, mancati
apprezzamenti. Ci espone su un terreno che non è già tracciato, quindi agli
occhi dei più è incerto e malfermo. Ma è lì che inizia la bellezza della vita.
Se un calciatore sapesse quante volte si farà male, un genitore o una coppia
conoscessero in anticipo tutte le sofferenze a cui vanno incontro nella vita di
relazione, forse non inizierebbero neppure. Ci vuole un po’ di "audacia"
per costruire ogni progetto. Conosco persone che hanno la licenza di
terza media e hanno letto più opere di storia di molti laureati. Il più grande
storico del Roero è un ex-impiegato di banca che ha imparato da solo il gotico
e il latino e pubblica opere che altri studieranno per le loro ricerche. Ha
affinato un terreno che nessun laureato ha neppure tentato di dissodare. Un
libro bellissimo sulla flora di Cuneo è stato scritto da un ferroviere e non da
un botanico di professione. Contiene un’immensa sapienza. Credo che tutte
queste persone conoscano il giusto significato del verbo coltivare. Ossia:
lavorare, dissodare, rendere fertile, cioè dedicarsi e alimentare il proprio
sogno. Poiché si tratta di sogno e non di miraggio, occorre attività e non
passività. C’è chi coltiva sogni di pace tra arabi e israeliani, e si impegna
in progetti; chi coltiva il sogno della politica onesta e si impegna in un
movimento o in un partito. Questo è il senso di coltivare. Tuttavia, il
contadino sa che dalla semina non è detto che ottenga i migliori ortaggi del
mondo. Però accetta il frutto del proprio lavoro. Così, se i sogni fanno i
conti con la realtà, diventano progetti. Senza seguire prospettive illusorie e
seducenti (a 40 anni non posso diventare un calciatore professionista) e senza
essere impulsivi (se non ottengo subito l’obiettivo, lascio tutto), ognuno può
beneficiare del prodotto del proprio lavoro, qualunque grado di perfezione
raggiunga. Ricorderai che Martin Luther King il 28 agosto del 1963, al termine
di una marcia di protesta per i diritti civili, ha tenuto il discorso "I
have a dream" ("Ho un sogno") davanti al Lincoln
Memorial di Washington. Nel corso della propria vita avrà avuto mille motivi
per lasciar perdere o, come dici tu, per «voltare pagina». Ma ci ha
insegnato che con la perseveranza si può voltare il foglio della storia dei
diritti anche in un’altra direzione. In avanti.Un caro saluto,
Alberto
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