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Cor-rispondenze

mercoledì 20 marzo 2013

Mai smettere di credere



Caro professore,
Ci sono situazioni nella vita non sempre piacevoli che ti portano ad abbandonare tutto, le tue idee, i tuoi obiettivi, i tuoi sogni, senza più credere in quello che avevi creduto fino a quel momento. Ritengo che se si ha un obiettivo, un sogno, non bisogna mai smettere di crederci e andare fino in fondo, anche se qualche volta gli esiti saranno negativi. Credo che occorra affrontare i propri obiettivi con coraggio, sensibilità e forza. Molte persone sono convinte che non si può credere in un sogno o in un obiettivo che secondo loro non si potrà mai raggiungere, e lasciano volare via ogni aspettativa. Ma allora che cos’è più giusto: credere sempre fino in fondo o lasciar perdere e voltare pagina?
Giulia, 4B

Cara Giulia,
C’è una bella locuzione in italiano: «coltivare un sogno». E coltivare è un verbo che proviene dal mondo agricolo. Deriva da còlere, che anticamente voleva dire spingere l’aratro o anche spingere innanzi. Vuol dire sia lavorare un terreno sia esercitare le facoltà della mente e del cuore in modo fruttuoso. È un gesto che implica un’attività regolare e persistente. Si coltiva l’arte, si coltivano la musica, la pittura, le passioni. Per coltivare occorre allora spingere innanzi, lavorare, voler condurre a compimento la propria opera, guidarla alla propria destinazione. Certi esiti negativi non devono abbattere – anche il terreno talvolta è ostile al contadino –, ma, come dici tu, ci vogliono «coraggio, sensibilità e forza». Il «coraggio» del proprio progetto, la «sensibilità» nel riadattarlo e la «forza» per perseguirlo. E il coraggio non è la temerarietà  che, come diceva Aristotele è un eccesso, e quindi da evitare, ma è piuttosto una forza che consente di superare anche momenti incoerenti, ricompense inadeguate, piccole disfatte, mancati apprezzamenti. Ci espone su un terreno che non è già tracciato, quindi agli occhi dei più è incerto e malfermo. Ma è lì che inizia la bellezza della vita. Se un calciatore sapesse quante volte si farà male, un genitore o una coppia conoscessero in anticipo tutte le sofferenze a cui vanno incontro nella vita di relazione, forse non inizierebbero neppure. Ci vuole un po’ di "audacia" per costruire ogni progetto. Conosco persone che hanno la licenza di terza media e hanno letto più opere di storia di molti laureati. Il più grande storico del Roero è un ex-impiegato di banca che ha imparato da solo il gotico e il latino e pubblica opere che altri studieranno per le loro ricerche. Ha affinato un terreno che nessun laureato ha neppure tentato di dissodare. Un libro bellissimo sulla flora di Cuneo è stato scritto da un ferroviere e non da un botanico di professione. Contiene un’immensa sapienza. Credo che tutte queste persone conoscano il giusto significato del verbo coltivare. Ossia: lavorare, dissodare, rendere fertile, cioè dedicarsi e alimentare il proprio sogno. Poiché si tratta di sogno e non di miraggio, occorre attività e non passività. C’è chi coltiva sogni di pace tra arabi e israeliani, e si impegna in progetti; chi coltiva il sogno della politica onesta e si impegna in un movimento o in un partito. Questo è il senso di coltivare. Tuttavia, il contadino sa che dalla semina non è detto che ottenga i migliori ortaggi del mondo. Però accetta il frutto del proprio lavoro. Così, se i sogni fanno i conti con la realtà, diventano progetti. Senza seguire prospettive illusorie e seducenti (a 40 anni non posso diventare un calciatore professionista) e senza essere impulsivi (se non ottengo subito l’obiettivo, lascio tutto), ognuno può beneficiare del prodotto del proprio lavoro, qualunque grado di perfezione raggiunga. Ricorderai che Martin Luther King il 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, ha tenuto il discorso "I have a dream" ("Ho un sogno") davanti al Lincoln Memorial di Washington. Nel corso della propria vita avrà avuto mille motivi per lasciar perdere o, come dici tu, per «voltare pagina». Ma ci ha insegnato che con la perseveranza si può voltare il foglio della storia dei diritti anche in un’altra direzione. In avanti.
Un caro saluto,
Alberto

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