Caro professore,
C’è un fatto, avvenuto qualche giorno fa, che può sembrare
banale, ma mi ha scosso. Forse è eccessivo che io ci rifletta così a lungo,
essendo per mia natura portata a pensare a quello che faccio o che mi capita più
di quanto sarebbe necessario fare, ma non importa, per questa volta lascerò che
la mia testa vaghi. Era venerdì sera. Io e i miei amici avevamo appuntamento
per mangiare cena insieme e avevamo deciso di andare a vedere lo spettacolo
teatrale della nostra insegnante di teatro F.. Lei ce l’aveva chiesto e noi
avevamo accettato contenti. Lo spettacolo cominciava alle 21.15 e siamo
arrivati in tempo, ma ci siamo dovuti mettere in ultima fila, perché i posti
davanti erano già occupati. F. ha iniziato il suo spettacolo di canti in
portoghese. Io e i miei amici non ce l’aspettavamo, avremmo preferito uno
spettacolo teatrale. Presto ho iniziato ad annoiarmi e, rispondendo ad un
impulso improvviso, ho tirato fuori il cellulare dalla giacca e ho iniziato a
messaggiare, ma senza farmi vedere. Finito lo spettacolo, che tra l’altro era
durato un’ora e mezza, ci viene incontro F. con un sorriso: «Vi è piaciuto,
ragazzi?». Ecco, a questo punto avrei potuto fare moltissime cose. Avrei
potuto dirle un sì convinto e sorridente, ma sarebbe stata falsità e non mi
sarei sentita a posto dentro, ripensando che avevo usato il cellulare tutto il
tempo. No, decisamente non ce l’avrei fatta a essere convincente. Avrei anche
potuto dirle che sì, era stata brava, ma che forse lo spettacolo non era
proprio adatto a dei ragazzi. Credo che sarebbe equivalso a dirle che non mi
era piaciuto. Avrei potuto gentilmente dire la verità, ovvero che mi ero
annoiata a morte, oppure avrei potuto arrabbiarmi e urlarle che non doveva
proprio invitarci. Ci sarebbe rimasta male e non sarebbe stato giusto, dato che
si era impegnata molto. D’altra parte anche il tono della sua domanda non
tradiva apprensione, forse non le interessava davvero sapere se c’era piaciuto
oppure si era resa conto che c’eravamo annoiati. Quello che mi chiedo, in
questi casi, ma spesso anche altre volte, è: qual è il comportamento migliore,
se si vuole bene a una persona e non si vuole ferirla? Qual è il confine tra
buona educazione e volere davvero bene a una persona? Volere davvero
bene, voler far del bene.
Anna, 2B
Cara Anna,
Se vivessi nella società di corte tra il Cinquecento e il
Seicento, direi che hai messo in atto l’arte della dissimulazione: una piccola
bugia di sopravvivenza. Seneca nella “Lettera 29” a Lucilio,
lamentandosi di un certo Marcellino che raramente va a trovarlo, perché teme di
sentirsi dire la verità, pensa che «Bisogna dire la verità soltanto a chi è
disposto ad ascoltarla», mentre La Bruyère ne “I caratteri” scrive
che «Nella vita ci sono frangenti in cui verità e semplicità sono la miglior
condotta del mondo». Insomma non se ne esce. O si fa soffrire una persona o
si mente. In entrambi i casi ci si sente inadeguati e sleali. In questo caso
non si tratta di un problema di verità, ma di differenza di aspettative. La
verità che volevi rivelare e che ti sembrava oggettiva, oggettiva non è. La tua
speranza era di assistere ad uno spettacolo teatrale classico e la noia è
derivata soprattutto dal non essere riuscita a sintonizzarti con l’inatteso.
Avresti potuto lasciarti conquistare dalla lingua portoghese, sedurre dalla
musica, ed essere trasportata in un altro mondo. Così non è stato. Poiché hai
considerato l’imprevisto una sorta di tradimento della tua fiducia, hai deciso
che non doveva esserci nulla di interessante nell’esibizione. Come vedi, la
nostra disposizione condiziona profondamente il giudizio su ciò che vediamo.
Magari lo spettacolo era perfetto. Allora avresti anche potuto dire: «Cara
F., mi ha sorpreso per la versatilità con cui sa interpretare molti aspetti
della vita teatrale». Se si vuole davvero bene o, come dici tu, si vuole
far del bene, forse occorre anche riconoscere che non sempre si è nella
disposizione migliore per recepire ogni messaggio. E non sempre chi crede di
dire la verità, dice la verità, né chi si comporta in modo educato dissimula
emozioni opposte.Un caro saluto,Alberto
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