Caro professore,
Mi sono sempre chiesto perché la morte venga associata a
qualcosa di negativo. Secondo me, in entrambi i casi (se esista o no “vita dopo
la morte”) essa non sarebbe altro che una liberazione. Qualcuno potrebbe dire
di avere paura della morte, perché perderebbe tutto quello che ha in vita, ma
basta pensarci per capire che la morte o libera l’uomo o prospetta una
condizione migliore: nel caso non ci fosse vita dopo, allora sarebbe una
completa liberazione; nel caso esistesse una specie di paradiso, sarebbe
comunque meglio della vita. Per come ci hanno educato, se in vita sei stato
“buono” vai in paradiso, se no all’inferno. Quindi l’unica paura della morte
deriverebbe dalla paura di andare all’inferno. Ma questo allora toglie ogni
senso alla vita, poiché se non si vivesse non si potrebbe neanche avere il
problema di poter andare all’inferno. È dunque la vita una “punizione” che si
deve scontare vivendo nella rettitudine per avere la speranza di andare in
paradiso? Perché sotto ogni aspetto la morte o il non-vivere mi sembrano
migliori.P.S. Non c’è stato un evento particolare che mi ha fatto pensare a questo, è un problema al quale penso da sempre.
Riccardo, 4B
Caro Riccardo,
Zenone di Cizio, fondatore della scuola stoica, dice che
la morte non è un male, ed Epicuro, nella “Lettera a Meneceo”, esorta il
proprio discepolo ad abituarsi a pensare che “la morte non costituisce nulla
per noi”. In fondo se il piacere e il dolore derivano dalla capacità
dell’uomo di provare sensazioni, la morte, che è azzeramento di ogni
percezione, non può produrre sofferenza. La coscienza che la morte non dà luogo
a nuovi mali renderebbe godibile la vita o, come direbbero i greci, “la
mortalità della vita”. Gli epicurei ritenevano che se si vive senza temere
la morte e senza l’inganno di prolungare l’esistenza per un tempo infinito si è
in grado di rapportarsi in modo appropriato alla quotidianità. Epicuro
definisce infatti “sciocco” chi sostiene di aver paura della morte,
perché invece di soffrire per un male reale, soffre nella continua attesa del
decesso e la persistente anticipazione della propria fine produce sofferenze
inutili. Celebri sono le sue parole: “La morte, il più atroce dunque di
tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando
c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi
non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il
peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive”. Il vero saggio,
come hai ben colto nella tua lettera, non dovrebbe dispiacersi di vivere né
temere di non vivere più. Come la vita non è un male così l’assenza di vita non
è un male. Ci sono però diverse tradizioni filosofiche e diverse
interpretazioni. Per la tradizione atomista, la morte è semplice dissolvimento
di un corpo in particelle più piccole che si aggregheranno diversamente nel
corso del tempo. Per la tradizione orfico-pitagorica vi è un’anima prigioniera
del corpo che con la morte si libera dalla reclusione. In entrambi i casi, la
morte è un bene. Così pensano anche Socrate e Platone. Negli istanti finali
della propria vita, Socrate ricorda a Critone che è debitore di un gallo ad
Asclepio e invita l’amico a non dimenticarsi dell’offerta. A breve egli guarirà
dalla malattia mortale, perché l’anima sarà finalmente libera dal corpo. E
nella tradizione cristiana a cui fai riferimento? In questa tradizione la morte
è certamente un male in quanto separa dagli affetti, ma in fondo è un bene
nella prospettiva della vita in Dio. Qual è l’atteggiamento del credente e del
non credente di fronte alla morte? Per entrambi la morte ha pertanto aspetti
positivi e negativi: libera dalle sofferenze e dal dolore (effetto positivo),
ma priva delle relazioni, delle persone care e della visione del futuro
(effetto negativo). Per il non credente tuttavia la morte è fine in tutti i
sensi, mentre per il credente si apre la prospettiva di un giudizio basato
sull’amore. Come scrive Sergio Givone: “laddove ci fosse il nulla, ciò
sarebbe quasi una consolazione. [...] Il giudizio di Dio è invece una tragedia”.Un caro saluto,
Alberto
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