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Cor-rispondenze

lunedì 6 maggio 2013

Segnali di felicità



Caro professore,
mi è capitato più volte di chiedermi cosa voglia dire essere davvero felici. Non capisco cosa si prova, nessuno mi dà un sengale, mi dice: «Ehi! Guarda che questo momento è importante, vivilo!». Ho sempre paura di non rendermi conto della felicità che alcune persone mi danno. Come se, nel momento in cui la vivo, fosse già scomparsa e, anche cercando di ricordare, non mi rimane che qualche fatto nella mente, niente che assomigli a quell'emozione. Mi chiedo, dunque, se è possibile dare una definizione alla parola "felicità", cosa dicono i grandi filosofi? La felicità è forse, solamente, il nostro modo per chiamare "un bel discorso ormai scomparso"?, oppure, quando sono felice ho dei segnali che però non riesco a comprendere?
Giulia, 2C

Cara Giulia,
Il filosofo italiano Salvatore Natoli ha scritto dei libri bellissimi sulla felicità. Ti consiglio la lettura di un breve libretto che ha pubblicato da poco, (Salvatore Natoli, L’educazione alla felicità, Roma, Aliberti editore, 2012, pp. 63, euro 7,00), e di cui ti racconto alcune linee di fondo.
Siamo abituati - e un po’ assuefatti - ad ascoltare profeti di sventure che del futuro evidenziano più i pericoli che le opportunità. E sono davvero molti gli autori (e anche i filosofi) che prediligono parlare delle minacce che la nostra epoca porta con sé. Il filosofo Salvatore Natoli, per fortuna, non appartiene a questo gruppo: sa bene che «siamo in una società dove il futuro non si presenta più come il luogo del progetto, dell'utopia, ma come luogo vuoto dell'incertezza (p. 20)», tuttavia si comporta in modo diverso da alcuni suoi colleghi; infatti, pur definendo il nostro tempo “l’età del rischio”, non ama esibire scenari tragici, ma si propone di insegnare a tutti, soprattutto ai giovani, come comprendere l’epoca attuale per affrontare il futuro. Si tratta di un’operazione che Natoli ha compiuto sistematicamente anche in altre opere recenti (Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio, 2010), e in questo libricino, che ha il respiro di una conferenza, egli ribadisce tuttavia alcuni concetti fondamentali. Partendo da una riflessione sull’“accelerazione della storia” (Blumenberg, Koselleck, Fusaro), e dai contraccolpi anche dolorosi che ogni cambio di epoca porta con sé, egli mostra come oggi si siano moltiplicate (o fluidificate) le età della vita e come sia difficile definire persino la giovinezza (“pressoché illimitata”). Se c’è stato un tempo in cui le tradizioni accompagnavano il succedersi delle generazioni, un tempo in cui l’obbedienza era una virtù e un tempo in cui non lo era affatto, secondo l’autore oggi si ha la sensazione che non sia tanto importante obbedire o disobbedire, ma «pervenire ad un pieno governo di sé pena la propria dissoluzione» (p. 26). Natoli è un esperto della riflessione sulla virtù, che tuttavia non intende come obbedienza a comandi esterni, bensì in senso greco come capacità di dare norma a se stessi per diventare liberi. Egli vuole insegnare ai giovani a non dissipare le energie, a distinguere tra il godimento (illusorio) e la soddisfazione (stabile), a differenziare l’iperstimolazione del desiderio (che impoverisce) dal governo delle proprie risorse che consente di raggiungere i propri obiettivi. Così insegna a non confondere la libertà con l’arbitrio e il fare con l’agire. Se la società richiede solo prestazioni, significa che il nostro tempo ha smarrito la distinzione tra il fare e l’agire, perché esige soprattutto il fare, ossia privilegia le abilità per produrre oggetti, mentre per condurre una buona vita è fondamentale recuperare l’agire, ossia la capacità  di dare direzione al proprio movimento nel mondo. Se i sentieri da percorrere non sono più quelli intrapresi dai genitori e non vi sono mete prefissate da raggiungere, significa che ognuno deve imparare a stabilire la propria meta e ad aggiustarla, dando senso alla propria direzione. Sapendo amministrare la propria potenza, i giovani possono nuovamente cogliere il momento opportuno (kairos) per agire nella vita. Per questo, il titolo del libro “L’educazione alla felicità” è perfetto, perché ricorda che solo riappropriandosi delle redini del proprio cammino è possibile costruire la felicità.
Un caro saluto,
Alberto

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