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Cor-rispondenze

lunedì 27 maggio 2013

Perché non rispettiamo le scelte altrui?




Caro professore,
Da circa otto mesi non mangio più carne. Questa scelta è maturata in me già da alcuni anni, grazie all’incontro fortunato che ho avuto con due persone, due insegnanti che mi hanno fatto riflettere sul rapporto tra l’uomo e il cibo, tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e gli animali e grazie ad un bellissimo viaggio in India nel 2010 con i miei genitori. In India ho potuto conoscere, almeno in parte, una cultura lontana dalla “nostra”, persone che pur avendo poco, quel poco te lo offrono, ma purtroppo spesso non hanno quasi niente. Questo viaggio mi ha fatto riflettere sulla drammatica sproporzione tra popolazione e risorse presente non solo in India, ma in molte realtà dell’Africa, del Sud America e in altre regioni dell’Asia. Non si tratta di una legge malthusiana per cui la popolazione aumenta in modo geometrico e le risorse incrementano con una progressione aritmetica, bensì di un profondo squilibrio nell’usufruire delle risorse tra i cosiddetti Paesi sviluppati e quelli sottosviluppati. Credo che un buon rapporto con il cibo e una misura nella fruizione di questo sia un piccolo passo che ognuno di noi può fare per iniziare a pareggiare i conti. Inoltre ho scelto di essere vegetariana, perché il mio mangiare carne non era un bisogno fisiologico, non era un fatto di sopravvivenza, dal momento che , fortunatamente, abbiamo a disposizione molti altri generi alimentari (verdure, cereali, frutta, formaggi...), ma solo un di più, un lusso, un piacere che mi chiedeva di far parte di un meccanismo che reputo irrispettoso nei confronti degli animali, sia per la modalità con cui questi animali in molti casi vengono allevati sia per la scelta di cui consumatore divengo co-autore, di privare un essere vivente della vita, solo per il mio personale piacere e non per presunta necessità di quella nota “catena alimentare”. Durante il pranzo di Pasqua (ma anche in altre occasioni) ho passato ore e ore a sentirmi dare dell’ “anormale”, a sentirmi porre domande – perché non mangi più carne, sei diventata pazza? – , senza che gli interlocutori fossero intenzionati ad ascoltare alcuna risposta. Ma perché questa incapacità di molti di ascoltare punti di vista altrui e di rispettare le scelte altrui? Perché dover sempre giudicare a priori?
Federica, classe IV


Cara Federica,
Il filosofo australiano Peter Singer, uno dei primi autori ad essersi occupato dei diritti degli animali, in “Etica pratica” [1979] 1989, riporta un curioso aneddoto riferito a Benjamin Franklin. Alcuni suoi amici stavano per cucinare un pesce appena catturato, quando nello stomaco del pesce ripulito venne trovato un pesce più piccolo. «Bene — disse a se stesso Franklin — se vi mangiate a vicenda, non vedo perché non possiamo mangiarvi noi». Singer, commentando il fatto e le successive argomentazioni di Franklin, scrive tuttavia che «Franklin testimonia più del suo amore per il pesce fritto che delle sue capacità dialettiche». A onor del vero, Benjamin Franklin divenne poi vegetariano e definì il mangiar carne come «un delitto senza giustificazione» compiuto contro gli animali. In ogni caso, la prima obiezione che viene rivolta a chi ha fatto la scelta vegetariana consiste proprio nel fatto che la natura ha programmato l’uomo per cibarsi di carne. Dunque, nessuno potrebbe essere accusato di scarsa sensibilità. Tuttavia, occorre notare che nelle scelte dell’uomo interagiscono natura e cultura. Ed è a partire dalla cultura che molte persone diventano vegetariane, in primo luogo, perché, come te, sentono di dovere riguardo verso le altre specie viventi e preferiscono scegliere alimenti eterogenei quando vi siano più alternative. L’obiezione di Benjamin Franklin viene confutata da Peter Singer, infatti egli fa notare che gli animali che si uccidono per cibo non sarebbero in grado di sopravvivere diversamente, mentre gli uomini possono decidere tra opzioni disponibili e riflettere sull’etica della loro dieta. Già, proprio così, c’è anche un’«etica della dieta», e proprio qui comincia la riflessione sul vegetarianesimo. Gli uomini possono maturare convinzioni nel rispetto degli animali, in quanto l’empatia con gli altri esseri viventi li muove ad una consapevolezza più ampia del valore della vita e per le specie non umane. Ovidio, nelle “Metamorfosi”, richiamando Pitagora, forse il primo filosofo vegetariano, definisce: «sciagurato» l’uomo «che scanna col ferro il vitello senza scomporsi ai suoi strazianti muggiti (XV, 465), o che ha il coraggio di sgozzare un capretto che manda vagiti come un bambino (XV, 466). Molte persone, tuttavia, faticano a capire. In questo caso agisce l’inerzia culturale: non si mette in discussione la tradizione, non si considerano le sofferenze indotte dall’uomo né i diritti degli animali. Spesso pigrizia, passività, indolenza e abitudine impediscono di comprendere che la realtà può essere cambiata con molti vantaggi collettivi. I tuoi parenti si comportano un po’ come la servetta di Tracia che irride Talete che cade nel pozzo. Guardando il cielo stellato, ella vede solo dei puntini luminosi che brillano nella notte, mentre Talete vede una realtà ancora inaccessibile: immagina la potenza della teoria scientifica in grado di prevedere le eclissi. La tua riflessione ci aiuta a riflettere sull’alimentazione consapevole e credo che anticipi comportamenti collettivi che saranno sempre più diffusi.
Un caro saluto,
Alberto

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