Caro professore,
«Perché la vita umana è perpetua
illusione?» Ho letto questa domanda sul libro di filosofia, essa riguardava
la tesi di Pascal riguardo all’“amor proprio”, una “difesa” che
l’uomo attiva inconsapevolmente, perché non riesce a sopportare la sua
situazione di essere intermedio tra l’infinitamente grande e l’infinitamente
piccolo. Anche Cartesio ha sostenuto che la nostra vita avrebbe potuto essere
solo un sogno, un’illusione. Com’era scritto sul testo, la vita umana è
perpetua illusione: dall’illusione della felicità, a quella di un’altra vita
dopo la morte, a quella di non essere soli nell’universo o al genio maligno di
cui parlava Cartesio. Ma perché l’uomo deve costantemente nascondersi dietro un
qualcosa o un qualcuno che non è reale? La realtà è davvero così dura? Fa
davvero così paura? Come possiamo saperlo se fin da quando la nostra esistenza
è iniziata ci siamo chiusi in una bolla invisibile di illusione? C’è al mondo
qualcuno che vede la realtà senza andare a cercare un altro modo, tempo o
spazio per vederla e viverla? Qual è il modo di vedere quello che siamo senza
filtri imposti dalla società, dalla religione o semplicemente da noi stessi?
Grazie. Sarah, 4D
Cara Sarah,
Pascal parla di «perpetua
illusione» nei rapporti umani, perché segnala che gli uomini tendono
all’adulazione e all’inganno reciproco: si lusingano la persone da cui si
possono trarre benefici e si criticano coloro che vengono percepiti come
antagonisti. Infatti, egli alla fine conclude dicendo: «Sono sicuro che, se
tutti gli uomini sapessero che cosa si dicono gli uni degli altri, non ci
sarebbero quattro amici al mondo». Sì, gli uomini raggirano il prossimo e
sovente si ingannano, mettono in atto meccanismi di difesa per farla franca o
ripongono male l’attenzione su ciò che procura loro felicità, si attribuiscono
più meriti di quanti ne abbiano realmente e addossano colpe ed errori al
prossimo. L’antropologo Robert Trivers in “La follia degli stolti”
(Einaudi 2013) racconta che nel 1977 a San Francisco un uomo, che si era
schiantato con la macchina contro un palo telefonico, disse alla polizia: «Il
palo del telefono si stava avvicinando. Stavo appunto cercando di scartare per
evitarlo quando ha colpito la parte anteriore dell'auto». Sembra una
barzelletta, ma la responsabilità attribuita al palo non è diversa dalle scuse
improbabili che leggiamo sui quotidiani prodotte da politici, uomini di potere
e uomini comuni. Ma ci sono illusioni più profonde, che coinvolgono non solo il
destino personale, ma quello di una collettività. Alcuni filosofi, chiamati «maestri
della scuola di sospetto», come Marx, Nietzsche e Freud, più di altri hanno
fatto riflettere gli uomini sulle loro illusioni: Marx ha insegnato a
considerare l’economia come la struttura che condiziona la politica, l’arte, la
filosofia e il diritto; Nietzsche ha mostrato come nascono i valori e che
dietro di essi si cela la volontà di potenza dell’uomo, e Freud, indagando
l’inconscio, ha rivelato che l’uomo non ha il completo controllo su di sé. La
realtà sarà anche dura, ma proviamo un certo piacere nel manipolarla. Così
dicono gli antropologi che, come Robert Trivers, ritengono che inganno e
autoinganno siano strategie evolutive per la sopravvivenza delle specie. Non
solo dell’uomo, dunque. Anche i batteri, le piante, gli insetti e molti animali
ingannano per sopravvivere, anche solo mimetizzandosi con l’ambiente. Gli
uomini si ingannano in modo consapevole o involontario e filtrano la realtà in
modi raffinati. Inconsciamente selezioniamo e modifichiamo i ricordi, ci
inganniamo sulle nostre reali intenzioni e su quelle degli altri, reprimiamo i
pensieri, evitiamo alcune informazioni e ne cerchiamo altre, produciamo false
narrazioni storiche. L’inganno è un po’ dappertutto, nella vita relazionale,
nella politica internazionale, nelle ideologie sull’uomo, nelle forme di potere
e nella pubblicità, persino nella medicina (vedi il progetto Stamina o
l’effetto placebo). C’è un modo per rimanere vigili e non precipitare
incautamente nell’errore? Sì, forse c’è, è quello della cultura e dell’ascolto
anche di ciò che non condividiamo. Le differenze, per quanto creino dissonanze
cognitive e un certo iniziale fastidio, aiutano ad essere meno rigidi, e ci
permettono di comprendere – come diceva Pascal – che spesso scambiamo la verità
con le abitudini.
Un caro saluto,
Alberto
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