Caro professore,
da quando sono tornata in Italia, dopo il mio anno
all'estero, mi sento persa. La mia esperienza è stata fantastica e sono davvero
felice e soddisfatta di essa, ma non credevo che riprendere la mia vita qui
sarebbe stato così difficile. Tutto ciò che faceva parte della mia vita prima
della partenza, adesso mi sembra insignificante. Da quando sono tornata, sento
come un vuoto. Tutte le sicurezze che avevo, adesso sembrano svanite. Al mio
ritorno ho notato che, durante il mio anno di assenza, le cose non sono
cambiate molto; anzi, probabilmente sono io ad essere cambiata, ma non riesco a
capire come sia possibile che tutto ciò che mi appassionava, tutto ciò facevo,
tutto quello che era la mia vita prima, adesso mi sembri così lontano e
soprattutto non adatto a me. Vorrei riuscire a far svanire questa sensazione di
vuoto che sento dentro. Forse il problema è che non sono ancora riuscita a
chiudere quel capitolo della mia vita che ho vissuto in un paese completamente
diverso e davvero meraviglioso, per questo non riesco a vivere al cento per
cento qui. Giada, 5C
Cara Giada,
Spesso chiamiamo viaggi quelli che in realtà sono solo
degli spostamenti: trasferiamo il corpo da un luogo all’altro, ma
l’immaginazione e lo spirito rimangono saldamenti ancorati alle abitudini;
stiamo persino attenti a non essere troppo disorientati e cerchiamo in luoghi
lontani le comodità del nostro mondo. Spesso rinunciamo alla scoperta, perché
visitiamo ciò che le agenzie ci dicono di ammirare e al ritorno confermiamo le
previsioni: partiamo così con l’immaginazione satura, senza tempo sufficiente
né per una reale assimilazione delle diversità né per essere scossi dai
contrasti. L’antropologo francese Marc Augé scriveva infatti che «Per non deludere, la realtà dovrà assomigliare
alla sua immagine». Ma un anno in America Latina ha invece prodotto
un’autentica esperienza non solo di dislocazione nello spazio, ma dei confini
dell’io, ed è normale che lo smarrimento dopo una permanenza così lunga sia
così profondo. Augé, in Rovine e macerie. Il senso del tempo (2004), ci
aiuta a riflettere su tre concetti che hanno a che vedere con il viaggio: «il
ritorno, la sospensione e l’inizio». Egli ricorda che in ogni impresa umana
il ritorno al punto esatto di partenza è impossibile: così è accaduto a Ulisse
nell’Odissea, e altrettanto ad Edmond Dantès, protagonista del Conte
di Montecristo. Entrambi tornano, certo, ma non sono più gli stessi. Il
ritorno nello stesso punto è infatti impraticabile e illusorio, perché
occorrerebbe rimuovere tutto ciò che è accaduto tra la partenza e il rientro («i derivati della memoria, le ossessioni della vendetta, dell'attesa o del
desiderio, gli incontri, la quotidianità, l'invecchiamento hanno eliminato il sapore preciso del passato»). Non è neppure
possibile arrestare la trasformazione tra il commiato dal proprio paese e il
rimpatrio, perché in quella pausa prolungata – in quel provvisorio stand-by in
cui si «sospende» la vita in un luogo e poi la si riprende – il tempo
continua a scorrere, mutando la scena e i protagonisti. Le attività quotidiane
e le tue passioni ti sembrano ora rituali che si sono svuotati di significato.
Ma il nuovo inizio non può essere semplicemente la riproposizione identica di
un’attività nello stesso contesto da cui ti sei allontanata. Infatti, ogni
nuovo inizio è una ripresa, e la ripresa non è la ripetizione identica di ciò
che è stato, ma – come diceva Kierkegaard – è invece apertura al nuovo. È una
ripartenza con nuova sensibilità, nuove aspettative, nuove idee, nuova fiducia.
Da un vero viaggio torniamo sempre “cambiati”, perché grazie alle esperienze
non facciamo altro che scomporre e ricomporre il senso che diamo agli eventi.
Nei viaggi ci perdiamo e ci ritroviamo, abbandoniamo significati e ne
costruiamo altri, scopriamo differenze, introiettiano alterità e talvolta ci
sentiamo più soli ad intraprendere la nostra strada. Il vuoto che senti è dato
dall’impossibile sovrapposizione di mondi e culture lontane – delle immagini
del mondo che hai scoperto e amato con quelle del mondo che hai ritrovato, e
delle immagini di te stessa: della ragazza arricchita dall’esperienza con il
ricordo sbiadito di te. Nella vita non si ritorna mai al punto di partenza come
in un gioco in cui si ritorna al via: si riscrive inevitabilmente altra vita. Il
tuo sguardo retrospettivo sull’intenso vissuto non può «chiudere un capitolo»,
come si archivia un documento, ma solo aprire altre pagine da scrivere
autonomamente, sapendo che l’incertezza è costitutiva dell’essere umano, perché
in generale la vita, quando non è scritta sotto dettatura, genera un senso di
spaesamento che è poi la condizione del movimento nella libertà. Un caro saluto,
Alberto
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