Caro professore,
Mi sono sempre chiesta perché tra tutti i posti al
mondo io e la mia famiglia siamo venuti a vivere in Italia. È partito tutto dal
fratello di mio padre il quale era qua e così siamo venuti anche noi, Ma
perché? Perché anche lui doveva venire in Italia? Io preferisco vivere in
Bosnia e spero di riuscire a tornarci per sempre.Sanela, III D
Cara Sanela,
Lo scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, vissuto tra
la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, paragonava la sofferenza della
lontananza al tormento che un uomo prova quando costeggia su una grande nave il
proprio luogo natio e lo contempla a distanza: «E ne vede / le vie, ne sente
gorgogliare le fontane, odora / il profumo dei glicini, se stesso vede /
bambino, stare presso la riva, con occhi di fanciullo / che sono angosciati e
vogliono piangere, vede / per la finestra aperta la luce della sua camera - /
ma la grande nave lo porta / oltre, scivolando senza suono sull’acqua blu cupo
/ con gialle gigantesche vele di foggia straniera». Nei luoghi d’infanzia
ognuno vede se stesso bambino e, data la giovane età, tu rivedi tutta la tua
storia e non solo parte di essa. Tuttavia, la vita in cui siamo imbarcati a
volte impone di riscrivere il nostro destino in altri luoghi. Belli, ma
stranieri. Ossia estranei. Così l’allontanamento fisico si tramuta in un esilio
dalla propria origine. La madrepatria è terra d’origine, ma l’origine non è
solo il punto di partenza, è ciò da cui discendiamo, la fonte che alimenta la
nostra vita. Per questo la lontananza genera dolore, perché ci sottrae parte di
un nutrimento essenziale. Soffri perché a sedici anni vivi un allontanamento
imposto dal luogo della tua formazione. A volte crediamo superficialmente che
per migliorare le condizioni di vita l’abbandono di certi luoghi sia una sorta
di necessaria liberazione, ma dimentichiamo che la vita di ciascuno è plasmata
dagli odori e dai colori dei luoghi natii; ed è come una pianta strappata dal
terreno con le radici, che ha bisogno di molto tempo per reinserirsi in un
nuovo ambiente e radicare. Eugenio Borgna ci ha insegnato quanto questa
esperienza di «lontananza emozionale e di indicibile estraneità» sia
dolorosa. La patria, è qualcosa di più della «terra dei padri». I
tedeschi usano la parola Heimat, che ha una connotazione semantica più
forte, contiene all’interno la parola «Heim», casa, e indica il luogo in
cui si è nati o in cui si ci sente a casa. Lo storico Hermann Heidegger –
figlio del filosofo del Novecento Martin Heidegger – racconta che hanno la
stessa radice «Heim», casa, «Heimat», patria e «heimlich»,
segreto. In questo senso nel luogo d’origine si percepisce un’intimità e ci si
sente a casa, perché si avverte che qualcosa ci protegge, facilita le relazioni
e ci tutela; si sente che il luogo natio custodisce il “segreto” della nostra
vita, ciò che di più intimo abita in noi. Il tuo amore per la Bosnia è davvero
speciale, perché alla fine dichiari che vorresti ritornare là «per sempre».
L’avverbio temporale segnala il profondo legame con il tuo mondo: «per
sempre», infatti, non è solo un modo di dire, ma è la formula di un
promessa solenne, di un impegno amoroso, quasi un voto. Seneca scriveva a
Lucilio: «Ulisse si affretta verso le rupi della sua Itaca come Agamennone
alle famose mura di Micene; nessuno ama la patria perché è grande, ma perché è
sua». Questo attaccamento è consistente, perché senti una forte
appartenenza alla tua terra, la senti “tua”. Tuttavia, l’origine non è solo un
punto nel passato, né una derivazione, ma è un processo. E nel processo della
crescita ci sono momenti di estraniazione più o meno forte. Il processo è dato
da un insieme di avvenimenti che devono accadere. In questo senso quello che ci
costituisce è solo iniziato, ma può proseguire ovunque. Lo scrittore Claudio
Magris, nel libro “L’infinito viaggiare” (Mondadori 2008), dice che la
casa natale non è necessariamente nell’infanzia, ma si trova alla fine del
viaggio. Scrive Magris: «Quest’ultimo è circolare; si parte da casa, si
attraversa il mondo e si ritorna a casa, anche se a una casa molto diversa da
quella lasciata, perché ha acquistato significato grazie alla partenza, alla
scissione originaria. Ulisse torna a Itaca, ma Itaca non sarebbe tale se egli
non l'avesse abbandonata per andare alla guerra di Troia, se egli non avesse
infranto i legami viscerali e immediati con essa, per poterla ritrovare con
maggiore autenticità». Ti auguro di ritrovare la tua patria, ma ti assicuro
che il luogo che ospita tutti noi ha bisogno anche di te, della tua storia e della
tua esperienza; compagni e insegnanti ti vogliono bene e la tua presenza
arricchisce tutti di una cultura di cui nessuno può fare conoscenza autentica
se non tramite la tua voce. Come tu ami molto la tua città, Dante amava
moltissimo Firenze, perché era nato lì («noi, che pure prima di mettere i
denti abbiamo bevuto l’acqua dell’Arno e amiamo Firenze»). Poiché ora anche
tu sei una fonte che alimenta la vita di altre persone, nella trama delle
relazioni ci aiuterai a considerare che, oltre alle nostre piccole e care Heimat,
come scrive Dante, dovremo imparare ad avere «per patria il mondo, come i
pesci il mare» (De Vulgari Eloquentia,(libro I, VI).Un caro saluto,
Alberto
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