Caro professore,
stavo pensando al consiglio che
mia madre mi ha sempre ripetuto fin dall’infanzia: «cerca sempre di vedere
il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto»… finora ho seguito questo
suggerimento e sono sempre stata molto ottimista, ma ultimamente ho realizzato
che forse non è un bene essere ottimisti. Infatti, pensare che le cose andranno
bene non ci protegge dalle delusioni, come invece, per certi versi, fa il
pessimismo, che, sotto questo punto di vista, parrebbe la scelta più saggia: in
questo modo, se le cose andassero male, sarei già preparata ad affrontare la
situazione, mentre, nel migliore dei casi, rimarrei piacevolmente sorpresa dal
modo il cui tutto si è concluso, quindi sarei più felice. In definitiva: ha
ancora un senso essere ottimisti?Deborah, IVA
Cara Deborah,
Hai giustamente notato che il
pessimista, nel peggiore dei casi, può sempre affermare: «io l’avevo detto»
e nel migliore dei casi può temporaneamente stemperare il proprio sguardo cupo
sulla vita, mentre l’ottimista sembra soffrire maggiormente le delusioni. La
logica, tuttavia, ci insegna che, date due alternative, le possibilità sono
quattro. Ossia possono essere felici o delusi sia gli ottimisti sia i pessimisti. Se consideriamo solo l’aspetto logico non emergono
particolari vantaggi o svantaggi, ma se consideriamo la componente psicologica,
allora il pessimista sembra subire meno frustrazioni, perché già predisposto
per eventuali esiti negativi. In verità, entrambi descrivono uno stato di cose
– il bicchiere è infatti sia mezzo pieno sia mezzo vuoto – e le loro posizioni
seguono una sorta di lettura “realistica” del mondo. Allora, se tutti e
due hanno parzialmente ragione, perché percepiamo delle differenze? E chi è più
felice? Nella storia della filosofia ci sono stati incorreggibili ottimisti
come Leibniz, secondo cui questo mondo «è il migliore dei mondi possibili»
o Rousseau, secondo cui «l’uomo è buono per natura», oppure Hegel che
vedeva il mondo retto da una struttura razionale e che nelle “Lezioni sulla
filosofia della storia” ribadiva costantemente la coincidenza tra Realtà e
Ragione. Ma ci sono stati filosofi pessimisti, come Schopenhauer, il quale
scriveva: «Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo
nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono». Capita
spesso che si consideri l’ottimista un uomo ingenuo e il pessimista un uomo
profondo. Il filosofo milanese Remo Cantoni (1914-1978), analizzando l’opera
sulla bomba atomica e il futuro dell’uomo di Karl Jaspers, ricordava che «Non è facile nel mondo
contemporaneo essere ottimisti senza essere superficiali».
Scriveva infatti che «Chi non è stato turbato nella sua limpida fede nel
progresso, nella tecnica e nella scienza, nell'uomo in genere, da tutti gli
eventi tragici che si sono verificati nel secolo ventesimo, è un uomo che non
ha messo la sua fede a cimento, che non ha assimilato e sofferto la negatività
del proprio tempo e rischia di parlare in astratto di umanità, di scienza, di
verità, di progresso, col tono falso e retorico in cui ne parlano i filistei».
C’è dunque un “ottimismo ingenuo”, quello criticato ad esempio anche da
Voltaire nel suo “Candide” (1759), quando Cacambo chiede
all’amico Candido: «Che cos’è quest’ottimismo? Ah, risponde Candido,
è la maniera di sostenere che tutto va bene quando si sta male», che
consiste in una visione eccessivamente rosea della vita, spesso indice di un
animo ingenuo o di incapacità di analisi appropriate. È un ottimismo privo di
fondamento, che può esporre maggiormente all’insuccesso e far precipitare le
persone nella disperazione se i risultati attesi, che spesso sono semplicemente
fantasticati, non si avverano. Tuttavia, c’è anche l’ottimismo di coloro che,
dopo aver «assimilato e sofferto la negatività del proprio tempo»,
preferiscono serbare uno sguardo fiducioso e mettere in risalto maggiormente
gli elementi positivi rispetto a quelli negativi. Li potremmo chiamare gli “ottimisti
realisti”. Se alla coppia ottimismo/pessimismo sostituiamo la coppia
ragione/azione, manteniamo le quattro alternative della logica. Ci sono stati
ottimisti della ragione che hanno agito per il bene comune e ottimisti indifferenti
alle sorti dell’umanità. All’opposto, il pessimismo della ragione ha condotto
molti uomini sia all’apatia sia alla perseveranza dell’agire. Molti grandi
pensatori, pur avendo una visione tragica della realtà, si sono impegnati per
costruire un mondo migliore. Direi pertanto che c’è un “ottimista ingenuo” che
attende invano che vengano soddisfatte le proprie fantasticherie e c’è un
“ottimista realista” che si impegna nel lavoro e nella vita e trae fiducia
dagli aspetti positivi della propria attività; così come c’è un “pessimista
ingenuo”, che si può deprimere fino a rinunciare alla vita, e c'è un “pessimista
tragico”, che può vivere con maggiore intensità il tempo che gli è concesso.
Non è detto, pertanto, che rinunciare all’ottimismo ti permetterà di essere più
felice. Il giudizio pessimistico o ottimistico sulla realtà non illumina
infatti la realtà stessa, ma rivela la disposizione cognitiva e affettiva di
colui che giudica. È sul versante psicologico allora che dobbiamo cercare una
soluzione. Oggi conosciamo i benefici dell’ottimismo: offre una sensazione di
maggiore autocontrollo sulla propria vita e vantaggi addirittura sul sistema
immunitario. Se il pessimismo sembra proteggerci, l’ottimismo realistico ci
aiuta ad affrontare con fiducia la vita. Nonostante le difficoltà.Un caro saluto,
Alberto
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