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Cor-rispondenze

lunedì 7 novembre 2016

E se si scordasse tutto?



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Caro professore,
A volte capita di aver paura di non riuscire più a ricordare niente, tutte le cose belle hai paura che svaniscano in un momento, che non ritornerai mai più come prima, che solo un momento basterà a farti scordare tutto. Magari non riderai come un pazzo ripensando a quel momento, perché non potrai ricordarlo. È un po’ questa la mia paura. È per questo che fotografo, per non lasciare che la nostra stessa mente porti via tutto. La domanda è: come si fa a non scordare tutto? Forse lei non mi conoscerà mai, ma è l’unico che ha appena letto la mia paura più grande, scordare tutto.
Eleonora, 1alfa

Cara Eleonora,
«Che esista un dimenticare, non è ancora dimostrato; sappiamo soltanto che la rammemorazione non sta in nostro potere», scriveva Nietzsche in Aurora. Non so se il progressivo oblio derivi da una inadeguatezza della ragione o nasca da una necessità della specie di programmare in un certo modo gli organismi. Forse in futuro non gioiremo più «come pazzi» per un evento che ci ha fatto ridere a crepapelle, ma neppure soffriremo per ferite apparentemente insanabili. Il fatto che «non scordare tutto» sia tuttavia un’operazione inutile è stato esemplificato magnificamente da Jorge Luis Borges nella Storia universale dell'infamia (Adelphi). Egli aveva immaginato una Carta dell’Impero che, per essere precisissima, era stata creata in formato 1:1. «I Collegi dei Cartografi – scriveva l’autore – fecero una Mappa dell'Impero che aveva l'Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso». Però, subito dopo affermava che quella carta era inservibile e superflua: «Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della Cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli Inverni». Ricordare tutto, infatti, comporterebbe una serie di problemi di non poco conto. La prima ragione è banale. Chi starebbe ad ascoltare quel serbatoio inesauribile di ricordi? Inoltre, avremmo bisogno almeno di un’altra vita per ripercorrere tutto il vissuto e di molte altre vite se volessimo interpretare gli eventi, considerarli da diverse prospettive, immaginare cosa sarebbe successo se avessimo fatto scelte differenti. Ma c’è anche una ragione più profonda. Gli esseri umani cambiano e cambiando danno valore in modo diverso ai vari momenti della loro esistenza. Se da bambino per una ricerca scolastica era fondamentale memorizzare la storia della Sardegna, poi diventa più rilevante ricordare la storia della propria infanzia o della propria famiglia. I ricordi sono condizionati e modificati dalle nostre aspettative e dai nostri valori. E poiché crescendo viviamo in modo diverso gli avvenimenti, ci saranno fatti che non ci coinvolgeranno più e altri che acquisteranno rilievo. Col passare del tempo, infatti, giudichiamo con occhi nuovi il passato e di solito consentiamo che emerga dallo sfondo solo ciò che per noi è stato significativo. Quando penso al desiderio di non essere dimenticati, penso al matematico, filosofo e sacerdote russo Pavel Florenskij, che al termine di ogni lettera scritta dal gulag in cui era rinchiuso, salutava sempre i famigliari dicendo loro: «Non dimenticare il tuo papà», «non dimenticare il tuo papà e sii buona con la mamma». Rileggendo il suo epistolario ho trovato questa illuminante intuizione: «La vita vola via come un sogno, e non si fa in tempo a far niente prima che ti sfugga l'istante della sua pienezza. Per questo è fondamentale apprendere l'arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti: quella di colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso non si ripeterà mai più come tale». L’arte del vivere dovrebbe insegnare a «colmare l’istante» di un contenuto sostanziale, ossia a dare valore all’attività in cui sei impegnata, alla relazione che hai intrapreso, alle persone e alle cose con le quali ti relazioni. Per non scordare i pensieri, Florenskij forniva in una lettera questi consigli: «Per non dimenticare: cerca di scrivere ogni giorno pensieri e osservazioni, senza rimandare la loro registrazione al futuro; infatti si dimenticano presto e, anche se rimangono nella memoria, diventano inesatti e pallidi. Da tali note, se le farai, si accumuleranno i materiali per le grandi opere, e questo modo di lavorare offre al lavoro vividezza e sostanza. La cosa migliore sarebbe che tu avessi sempre con te un taccuino per poter prendere gli appunti in movimento e in ogni situazione». Puoi fare molte foto, come già racconti; puoi fare anche delle riprese con il cellulare, ma la scrittura ha effettivamente la capacità di rivelare più aspetti della realtà: afferra un istante e ti mostra la prospettiva da cui guardavi il mondo in un certo momento. Non è un caso che i Diari siano così rivelativi: riproducono pensieri che abbiamo accarezzato e intuizioni momentanee che hanno aperto il nostro sguardo. In questi giorni a Cuneo c’è ancora una bellissima mostra sul pittore Ego Bianchi. Oltre alle sue opere, io sono rimasto incantato dal suo Diario, dalle riflessioni che ha scritto tra il 1945 e il 1948. Le opere esposte parlano certamente di lui, ma la sua scrittura schiude un universo di intuizioni e idee che non avrei mai potuto immaginare solo a partire dall’opera d’arte. Sono le intuizioni che hanno dato senso alle sue giornate. Allora anche tu, fotografa e scrivi, ma non dimenticarti di vivere e – come questo eccellente pittore – di «colmare i tuoi attimi».
Un caro saluto,
Alberto

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