Caro professore,
Eleonora, 1alfa
Cara Eleonora,
«Che esista un dimenticare, non è ancora dimostrato; sappiamo soltanto
che la rammemorazione non sta in nostro potere», scriveva Nietzsche in Aurora. Non so se il progressivo oblio
derivi da una inadeguatezza della ragione o nasca da una necessità della specie
di programmare in un certo modo gli organismi. Forse in futuro non gioiremo più
«come pazzi» per un evento che ci ha fatto ridere a crepapelle, ma neppure soffriremo
per ferite apparentemente insanabili. Il fatto che «non scordare tutto» sia tuttavia un’operazione inutile è stato esemplificato
magnificamente da Jorge Luis Borges nella Storia
universale dell'infamia (Adelphi). Egli aveva immaginato una Carta dell’Impero che, per essere
precisissima, era stata creata in formato 1:1.
«I Collegi dei Cartografi – scriveva
l’autore – fecero una Mappa dell'Impero
che aveva l'Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso».
Però, subito dopo affermava che quella carta era inservibile e superflua: «Ma le Generazioni Seguenti, meno portate
allo Studio della Cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e
non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli Inverni».
Ricordare tutto, infatti, comporterebbe una serie di problemi di non poco
conto. La prima ragione è banale. Chi starebbe ad ascoltare quel serbatoio
inesauribile di ricordi? Inoltre, avremmo bisogno almeno di un’altra vita per
ripercorrere tutto il vissuto e di molte altre vite se volessimo interpretare gli
eventi, considerarli da diverse prospettive, immaginare cosa sarebbe successo
se avessimo fatto scelte differenti. Ma c’è anche una ragione più profonda. Gli
esseri umani cambiano e cambiando danno valore in modo diverso ai vari momenti della
loro esistenza. Se da bambino per una ricerca scolastica era fondamentale memorizzare
la storia della Sardegna, poi diventa più rilevante ricordare la storia della
propria infanzia o della propria famiglia. I ricordi sono condizionati e
modificati dalle nostre aspettative e dai nostri valori. E poiché crescendo viviamo
in modo diverso gli avvenimenti, ci saranno fatti che non ci coinvolgeranno più
e altri che acquisteranno rilievo. Col passare del tempo, infatti, giudichiamo
con occhi nuovi il passato e di solito consentiamo che emerga dallo sfondo solo
ciò che per noi è stato significativo. Quando penso al desiderio di non essere
dimenticati, penso al matematico, filosofo e sacerdote russo Pavel Florenskij,
che al termine di ogni lettera scritta dal gulag in cui era rinchiuso, salutava
sempre i famigliari dicendo loro: «Non dimenticare il tuo papà», «non
dimenticare il tuo papà e sii buona con la mamma». Rileggendo il suo
epistolario ho trovato questa illuminante intuizione: «La vita vola via come un sogno, e non si fa in tempo a far niente prima
che ti sfugga l'istante della sua pienezza. Per questo è fondamentale
apprendere l'arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti:
quella di colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella
consapevolezza che esso non si ripeterà mai più come tale». L’arte del
vivere dovrebbe insegnare a «colmare
l’istante» di un contenuto sostanziale, ossia a dare valore all’attività in
cui sei impegnata, alla relazione che hai intrapreso, alle persone e alle cose
con le quali ti relazioni. Per non scordare i pensieri, Florenskij forniva
in una lettera questi consigli: «Per non
dimenticare: cerca di scrivere ogni giorno pensieri e osservazioni, senza
rimandare la loro registrazione al futuro; infatti si dimenticano presto e,
anche se rimangono nella memoria, diventano inesatti e pallidi. Da tali note,
se le farai, si accumuleranno i materiali per le grandi opere, e questo modo di
lavorare offre al lavoro vividezza e sostanza. La cosa migliore sarebbe che tu
avessi sempre con te un taccuino per poter prendere gli appunti in movimento e
in ogni situazione». Puoi fare molte foto, come già racconti; puoi fare anche
delle riprese con il cellulare, ma la scrittura ha effettivamente la capacità
di rivelare più aspetti della realtà: afferra un istante e ti mostra la
prospettiva da cui guardavi il mondo in un certo momento. Non è un caso che i Diari siano così rivelativi: riproducono
pensieri che abbiamo accarezzato e intuizioni momentanee che hanno aperto il
nostro sguardo. In questi giorni a Cuneo c’è ancora una bellissima mostra sul
pittore Ego Bianchi. Oltre alle sue opere, io sono rimasto incantato dal suo Diario, dalle riflessioni che ha scritto
tra il 1945 e il 1948. Le opere esposte parlano certamente di lui, ma la sua
scrittura schiude un universo di intuizioni e idee che non avrei mai potuto
immaginare solo a partire dall’opera d’arte. Sono le intuizioni che hanno dato
senso alle sue giornate. Allora anche tu, fotografa e scrivi, ma non
dimenticarti di vivere e – come questo eccellente pittore – di «colmare i tuoi attimi». Un caro saluto,
Alberto
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